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La Stampa Rassegna Stampa
03.09.2014 La barbara uccisione di Steven Sotloff
Analisi e commenti di Maurizio Molinari, Domenico Quirico, Angelo Pezzana

Testata: La Stampa
Data: 03 settembre 2014
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari - Domenico Quirico - Angelo Pezzana
Titolo: «Barbarie come armi da guerra: così gli islamisti fanno proseliti - La condanna terribile di quel 'presto' - Innamorarsi del nemico può costarti la vita»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/09/2014, a pag. 7, con il titolo "Barbarie come armi da guerra: così gli islamisti fanno proseliti", l'articolo di Maurizio Molinari; a pagg. 1, 7, con il titolo "La condanna terribile di quel 'presto' ", l'articolo di Domenico Quirico.
Segue un commento di Angelo Pezzana, dal titolo "Innamorarsi del nemico può costarti la vita".

Di seguito gli articoli:


Terroristi dell'Isis

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Barbarie come armi da guerra: così gli islamisti fanno proseliti"


Maurizio Molinari

Giovano a terrorizzare i nemici, attirano volontari jihadisti ed aiutano il Califfo a consolidare il potere: sono gli aspetti delle decapitazioni che ne fanno un’arma efficace nelle mani dello Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi, obbligando i Paesi che hanno dei cittadini in ostaggio ad affrontare le crisi in maniera assai diversa da quanto avvenuto finora.
Ad affermare che «le decapitazioni giovano ai terroristi che le praticano» è Aaron Zelin, esperto di gruppi jihadisti del «Washington Institute», secondo il quale «Isis ha conquistato Mosul, con 500 mila abitanti, perché i soldati iracheni che la proteggevano sono fuggiti alla vista delle sue bandiere nere, temendo crocifissioni, amputazioni, esecuzioni di massa ed ogni altro tipo di violenza brutale che distingue le milizie di al-Baghdadi». Il secondo aspetto delle decapitazioni è, secondo un recente rapporto d’intelligence britannica, «l’effetto sul reclutamento dei volontari stranieri». Fra i circa 12 mila combattenti di Isis almeno 3000 sono occidentali e monitorando quanto scrivono e postano sul web, gli 007 cybernetici britannici hanno trovato frequenti riferimenti alle decapitazioni. In un caso un jihadista inglese ha postato su Instagram la foto di un miliziano di Isis circondato da teste mozzate con a fianco un falso scheletro, scrivendo a commento: «Il nostro fratello Abu B di Isis posa con i trofei dell’operazione di ieri, ma lo scheletro è falso».
Timothy Furnish, islamista dell’Università della Georgia autore del volume «Mahdi islamici, le loro Jihad e Bin Laden», parla di «effetto-choc» per descrivere «ciò che i terroristi cercano sin dagli Anni Settanta ed Ottanta» spiegando che «iniziarono con il dirottamento degli aerei, hanno continuato con gli attacchi kamikaze ed ora hanno trovato le decapitazioni» riuscendo a «massimizzare lo choc fra i nemici e il sostegno nelle regioni dove si trovano ad operare». «La natura grafica della decapitazione, con il focus sull’individuo, ha un impatto dissacrante e violento assai più agghiacciante di un’autobomba» concorda Shashank Joshi del «Royal United Services Institute» di Londra. A differenza degli «effetti-choc» precedenti però le decapitazioni, continua Furnish, «si richiamano alle origini dell’Islam perché nella Sura 47 del Corano è scritto «quando incontri gli infedeli colpisci i loro colli» e nella Sura 8:12 si legge «colpirò nel cuore degli infedeli, levagli le teste e le punte delle dita». «È su queste basi che nell’Impero Ottomano le esecuzioni erano molto frequenti - aggiunge Fred Donner, storico dell’Islam all’Università di Chicago - così come ancor oggi l’Arabia Saudita pratica la decapitazione per le esecuzioni capitali, rifacendosi alla Sharia».
Il richiamo alle origini dell’Islam ha un valore particolare nel caso di al-Baghdadi, sottolinea Donner, perché «scegliendo per sé il titolo di Califfo si è autoindicato come successore di Maometto» lasciando intendere di voler combattere come si faceva allora.
Se questa è la cornice nella quale Al Baghdadi opera, la conseguenza per gli Stati a cui appartengono i suoi ostaggi - come nel caso della Gran Bretagna con David Cawthorne Haines - è l’«impossibilità di trattare» riassume Zelin. Se finora nei sequestri avvenuti in Afghanistan o in Iraq molti governi trattavano, magari anche pagando, ora Isis appare non interessato a tali esiti, obbligando gli Stati a esplorare «un terreno sconosciuto» conclude Zelin.

LA STAMPA - Domenico Quirico: "La condanna terribile di quel 'presto' "


Domenico Quirico

Steven Sotloff, giornalista americano, sapeva di dover morire.
L’avevano annunciato due settimane fa i suoi assassini, gli uomini del califfato di Mosul, la cui vita è una partita doppia con Dio, lo pregano cinque volte al giorno e lo bestemmiano, negli atti, diecimila volte. Parlavano con assoluta freddezza, quasi che le parole uscissero loro di bocca come ghiaccio: «Ti uccideremo come abbiamo ucciso Foley, tu sarai il secondo e poi sarà la volta di un altro americano e un altro ancora…».
Talvolta c’è una parola che pronunciata con apparente indifferenza acquista, a una tratto, come un senso cabalistico. Si fa pesante e stranamente veloce, squarcia un vano, chissà dove, nelle regioni del futuro e poi torna al punto di partenza. La parola è piombata in Steven Sotloff come un proiettile, penetrando senza dolore e quasi inavvertitamente attraverso la carne, i tessuti, le cellule, i nervi; finché è scoppiata, ha prodotto uno squarcio orrendo e ha fatto sgorgare sangue vita dolore: presto morirai... Presto… e il terrore gli stava dentro, nel profondo. Terrore e certezza assoluta. Mai più, pensava, mai più vedrò questo luogo o altri, la faccia dei miei amici… mai più. Quando verrà quel «presto»? Il sangue gli sgorgò dal cuore, gli rifluì al cuore, circolava, la vita circolava e il battito del polso ormai non diceva altro che quel «presto»!
Non si riesce nemmeno a pensare non voglio morire! Ogni volta che si vuole formare quella frase, ti viene in mente, prepotente: «Morirò… e presto». Presto: che terribile parola. Ma quando è presto? Un secondo? un anno? Quel presto a te ostaggio, vittima già designata, comprime il futuro, lo rimpicciolisce e non c’è nulla di certo, nulla di nulla. È l’incertezza assoluta; presto non è nulla e presto è molte cose. Presto è tutto. Presto è la morte.
Presto sarò morto. Qualcuno fuori di te lo ha detto, che quel presto si realizzerà, e qualcosa dentro di te lo conferma. A ogni modo sarà prima che questa guerra infernale finisca. Ma quando finirà questa guerra? Può passare un anno, prima che le milizie islamiche cedano il terreno conquistato, e gli americani comunque bombarderanno. E allora… non vedrò più la pace, niente pace; non ci sarà più nulla per me, più nessuna gioia umana, l’America non tratta con i terroristi, l’America non paga riscatti. Il triste machiavellismo degli implacabili che non getta nulla in pasto al Minotauro. Presto morirò. Per gli altri ostaggi… forse… denaro, mercati… trattative comunque: ma per lui nulla. Tutto questo non ci sarà. Il futuro non ha più volto quando sei ostaggio, ostaggio così senza speranza, a un certo punto è mozzo, e più ci si pensa più ci si rende conto di quanto è ormai vicino a qual presto. Non ci sono più sogni...

Angelo Pezzana: "Innamorarsi del nemico può costarti la vita"


Angelo Pezzana


Steven Sotloff                                          Daniel Pearl

Fra le inclinazioni pericolose che possono costarti la vita, quella di innamorarsi del nemico è la più insidiosa. Ti impedisce di riconoscere il pericolo, lo nasconde dietro una cortina di buoni sentimenti che caratterizzano il senso di umanità che è proprio della futura vittima, impedisce di capire con chi hai a che fare: persona, ideologia, fede. Il terrorismo islamico le rappresenta tutte e tre in modo esemplare. L’ultima vittima è Steven Satloff, il giornalista americano al quale l’ISIS ha tagliato la testa, mostrando il video della orrenda esecuzione con un macabro rituale mediatico. Steven era ebreo, un giornalista che aveva lavorato per importanti testate americane, il fatto che fosse ebreo non è apparso di grande interesse ai media internazionali, qualcuno l’ha riferito, ma ai più non è sembrata una notizia di rilievo. L’ISIS, abilmente, non l’ha ricordato, puntando l’accusa contro l’America tout court. Invece il suo essere ebreo, come per un altro giornalista, Daniel Pearl, anche lui ebreo, anche lui assassinato in Afghanistan, ha giocato un ruolo importante. Come Pearl, anche Satloff era affascinato dalla cultura ‘altra’ che l’islam rappresenta, aveva vissuto in Yemen, aveva imparato l’arabo e, come qualche giornale ha scritto, ‘amava profondamente il mondo islamico’. Fu così anche per Pearl, mentre il suo giornale e gli amici in America lo imploravano perché rientrasse, aveva scelto di rimanere, anche a rischio della propria vita, perché voleva conoscere le ‘ragioni’ del nemico. Daniel e Steven sono stati uccisi perché avevano creduto che anche quel nemico spietato fosse portatore comunque di una umanità che loro volevano rendere visibile. Erano due ebrei, ma questo, nella ‘logica’ del terrorismo islamico, non è l’unica condizione che motiva rapimento e successiva esecuzione, l’odio per gli ebrei è incluso in un odio più vasto che comprende l’America e l’intero Occidente. Come le guerre contro Israele hanno dimostrato, non è una questione territoriale la motivazione del contendere, ma una diversa ‘civiltà’, la volontà di distruggere i valori di libertà e democrazia per sostituirli con una società del Male – come l’ha definita Domenico Quirico – in un Califfato che governerà un mondo di schiavi, ebrei, cristiani, poco importa, il padrone sarà soltanto l’islam.


Chris Stevens                Vittorio Arrigoni

Un odio globale che ha causato una orribile fine per altre due vittime, anche se in comune avevano soltanto questa auto-distruttiva passione per il nemico. Il primo era l’Ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens, anche lui affascinato dal mondo islamico, destinato a Tripoli anche per questa sua indubbia conoscenza e apprezzamento per una società che in qualche modo lo attraeva e che invece ne causò l’orribile morte, due anni fa, avvenuta secondo la ‘tradizione’ locale - toccò anche a Gheddafi - picchiato a morte e poi impalato. L’altra vittima, molto diversa dalle precedenti, è stata Vittorio Arrigoni, fanatico odiatore di Israele e dell’Occidente, volontario a Gaza, dove credeva di aver trovato il regime che più di ogni altro (l’Isis non esisteva ancora) rappresentava il terrorismo applicato contro il ‘nemico sionista’, Israele. Ma, anche lui, non aveva fatto i conti con l’essenza dell’islamismo, che immaginava, invece, come il sistema che più di ogni altro metteva in pratica la sua parola d’ordine: restiamo umani. L’innamoramento del proprio nemico, gli fece sottovalutare che a Gaza nessun comportamento - meno che mai sessuale - poteva esprimersi in modi contrari alla feroce legge islamica. La sua condotta privata, che lui erroneamente aveva creduto di poter esprimere liberamente, lo consegnò nelle mani dei suoi assassini, che lo rapirono per sgozzarlo immediatamente. Stevens e Arrigoni non erano ebrei, ma come Pearl e Satloff non avevano capito la natura del Male che l’islamismo contiene.

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