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La Repubblica Rassegna Stampa
31.08.2014 Golan: i jihadisti di al-Nusra al confine con Israele
Cronaca di Alberto Flores d'Arcais

Testata: La Repubblica
Data: 31 agosto 2014
Pagina: 15
Autore: Alberto Flores d'Arcais
Titolo: «Sul Golan dove l'Is minaccia Israele»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 31/08/2014, a pag. 15, con il titolo "Sul Golan dove l'Is minaccia Israele", l'articolo di Alberto Flores d'Arcais.

Alberto Flores d'Arcais


Terroristi delle brigate al-Nusra alle pendici del Golan, che segna il confine tra Siria e Israele

MOUNT BENTAL (CONFINE ISRAELE-SIRIA)
I guerrieri  di Allah sono lì sotto, poche decine di metri da questo crinale dove la bandiera bianca e azzurra con la stella di David segna l’ultimo avamposto d’Israele sulle alture del Golan. Sono nascosti tra quelle case di pietra che si vedono ad occhio nudo, hanno già conquistato il crocevia di Quneitra, hanno issato sulle case distrutte la loro bandiera nera. Quella siriana sventola ancora, ma più lontano, su quel che resta di un edificio che sembra un granaio. I lealisti di Assad sono in fuga, sconfitti dai jihadisti di al-Nusra (i ribelli affiliati ad al Qaeda che si sono impadroniti del confine nord-est tra Siria e Israele), sparano gli ultimi colpi di mortaio ma la battaglia l’hanno persa.
L’hanno persa anche le quattro dozzine di caschi blu venuti dalle isole Fiji, catturati e presi in ostaggio dai qaedisti — «stanno bene, li teniamo per la loro incolumità », lo stringato messaggio fatto arrivare alle Nazioni Unite — in quella striscia di terra arida e polverosa tra la linea alpha e la linea bravo, la terra di nessuno che delimita la zona del cessate-il-fuoco del 1974 dove i soldati delle Nazioni Unite per quarant’anni si sono dati il cambio senza colpo ferire. Adesso sparano i caschi blu, sono quelli filippini (una settantina) assediati nelle postazioni 68 e 69, che al contrario dei loro colleghi hanno rifiutato di cedere le armi agli islamici e hanno difeso per ore quel poco che rimane del diritto internazionale. Sono stati attaccati all’alba, hanno risposto al fuoco, poi, prima di essere sopraffatti e grazie a una manovra diversiva di caschi blu irlandesi, in 32 sono riusciti a sfuggire all’assedio, rifugiandosi in Israele. Altri 40 continuano ad essere circondati dai jihadisti.
«Saranno cinquanta metri in linea d’aria, chi l’avrebbe mai detto». Due soldati israeliani fanno da scorta a un grosso camion che trasporta un carro armato, l’autista, un uomo ben piantato che indossa la maglia dello Zenit di San Pietroburgo ride della sua battuta («noi russi siamo dappertutto, in Ucraina e adesso anche qui») mentre la jeep (modificata in Israele) di un ufficiale sgomma sulla strada sterrata. I due soldati, poco più che adolescenti, erano a Gaza «una ventina di giorni fa a combattere Hamas», adesso scoprono che un nemico forse più feroce è lì «cinquanta metri dai nostri kibbutz». Non sanno o non possono dire molto («dovreste chiedere all’Intelligence »), gli “uomini neri” di al Nusra li conoscono solo dai macabri video che girano in rete, «è certo che taglierebbero la gola volentieri a noi ebrei».
«Vede lì in mezzo ai meli? Quello è un proiettile di mortaio, lo hanno sparato tre giorni fa». Merom Golan è uno dei kibbutz di frontiera, la case distano dal confine quasi un chilometro ma tra le abitazioni e i fili spinati che delimitano il territorio israeliano è ancora kibbutz, la parte agricola con gli alberi di mele e i filari di vite. Gaby Coneal è arrivato qui dall’Argentina nel 1967, a ridosso della ‘guerra dei sei giorni. Aveva cinque anni, Israele aveva appena conquistato il Golan, i suoi genitori sono stati tra i primi coloni ad arrivare, qui ha conosciuto quella che oggi è sua moglie («la prima ebrea israeliana a nascere nel Golan», dice con orgoglio). «Per decenni questo è stato il posto più tranquillo d’Israele, dell’ultima guerra, quella con Gaza finita pochi giorni fa, non ce ne siamo praticamente accorti. E poi, d’improvviso, ecco che ci troviamo i qaedisti a un palmo di naso ». È il responsabile del lavoro agricolo, ha frequenti contatti con i militari, a lui l’Intelligence qualcosa rivela. «Da tre anni, da quando è iniziata la guerra civile in Siria ovviamente qui ci sono maggiori controlli. Non è la prima volta che Assad perde questi posti di frontiera, altre volte erano arrivati fin qui ribelli ‘moderati’, qui vicino abbiamo un ospedale dove accogliamo i feriti, sì, certo, anche i combattenti islamici. Quelli di al Nusra? No, quelli non credo che vogliano farsi curare da medici o infermieri ebrei». Gli ultimi avvenimenti non lo hanno colto troppo di sorpresa («sapevamo dell’offensiva jihadista »), quel che teme è che rafforzino le loro postazioni lungo tutto il confine. «Può sembrare assurdo, ma qui si sentono al sicuro, l’aviazione di Assad non può bombardarli, rischierebbe di colpire noi e a quel punto Israele dovrebbe rispondere ».
La maggiore preoccupazione per chi lavora («negli ultimi giorni andare nei campi è stato impossibile») nel kibbutz più che la sicurezza («i nostri militari sono esemplari») è la vita quotidiana, la produzione e la distribuzione. Storicamente questa parte del Golan è stata abitata da drusi ed anche dopo le due guerre (‘sei giorni’ e ‘kippur’) con la Siria sono rimasti qui. «Con le famiglie divise, drusi israeliani da una parte, drusi siriani dall’altra, c’è stato sempre un gran commercio, mele, vino, con la nostra uva qui vicino fanno il migliore vino di Israele. E i caschi blu con i loro camion ci hanno dato una mano in questi ultimi tre anni. Spero li liberino presto».
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