Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 30/08/2014, a pag. 21, con il titolo "Quei giovani ai margini preda degli imam", l'intervista di Jim Sciutto a Ed Husain, ex militante estremista, ora analista di Tony Blair.
Jim Sciutto Ed Husain
«MOLTI giovani immigrati non si sentono europei. Alle spalle del reclutamento di tanti jihadisti occidentali c'è un problema di integrazione...». Ed Husain è l'autore inglese di un libro pubblicato nel 2007 intitolato The Islamist, l'islamista: dove racconta la sua esperienza personale di recluta della Jihad a metà anni Novanta e perché ha deciso di non perseguire quella strada. Un ex fondamentalista, insomma, che dopo aver voltato le spalle alla Jihad è diventato consigliere dalla Tony Blair Foundation e della Council on Foreign Relation americana.
Alla luce della sua esperienza, può aiutarci a capire in che modo, oggi, un giovane che cresce in Occidente può lasciarsi coinvolgere in qualcosa di estremo come la Jihad? «È la mancanza di senso di appartenenza all'Europa, che rende i giovani sensibili alle parole dei predicatori più radicali che arrivano dai paesi arabi proprio per reclutare giovani. Per questo abbiamo una generazione di giovani musulmani affascinati dal messaggio accattivante dei predicatori jihadisti»
In cosa consiste questo messaggio? «"Voi non siete europei — dicono — non siete inglesi, non siete francesi, non siete tedeschi, siete musulmani. Non avete doveri verso il paese dove vivete, ma solo verso l'Islam. Dovete dedicarvi alla costruzione di una leadership, un califfato, spirituale, religioso e politico. Combattere per costruire un mondo musulmano: che sia contro Israele, Stati Uniti, Russia, Cina". Così imparano a pensare che l'Islam è solo guerra, scontro aperto, morte».
Il problema sembra particolarmente grave in Gran Bretagna perché qui le comunità musulmane sono più chiuse. In America i musulmani sono meno isolati, prevale un senso di identità nazionale. Però anche molti americani vanno a combattere a fianco dell'Is. Perché? «Spesso si tratta di convertiti, che sono sempre i più fanatici. Oppure immigrati arrivati di recente, che entrano nel paese e avvertono il medesimo disagio dei giovani immigrati europei, il medesimo senso di rifiuto. Altri sono piccoli delinquenti, gente che viene avvicinata in carcere. Senza dimenticare il reclutamento online e nei campus universitari. Ma sempre sono soggetti non integrati, che non hanno un tessuto sociale forte, persone che hanno già in sé motivi di odio. E che non hanno una forte conoscenza della religione. Il fanatismo religioso tende a fare più breccia nelle menti incolte»
Lei ha scelto di abbandonare il radicalismo e uscire da un gruppo musulmano estremista. Chi l'ha aiutata? «Innanzi tutto la mia famiglia: i miei genitori, i miei fratelli e mie sorelle, che non hanno mai accettato la mia scelta e mi hanno sempre criticato energicamente. Respingevano la mia scelta, il mio attivismo».
È stato un percorso travagliato? «Lungo più che travagliato. Sulla mia strada di fondamentalista ho incontrato persone che mi hanno fatto riflettere sulla mia visione univoca, ad esempio verso Israele e Hamas. Poi mentre ero in Medio Oriente, cosa ironica e paradossale, ho incontrato degli studiosi islamici che mi hanno aperto gli occhi sulla differenza tra Islam tradizionale, praticato da un miliardo di persone, e la versione ideologicamente — e tecnologicamente — esaltata: quella forma di attivismo estremo dov'ero finito anche io».
Crede che l'Occidente stia facendo le mosse giuste per fermare i tanti giovani che entrano nei gruppi estremisti? «Non mi sembra che si stiano prendendo misure intelligenti, anche se si potrebbe. Si combatte l'Islam puntando a vecchie soluzioni, che secondo me appartengono al passato, come "bombardiamoli, diamoci dentro..."».
E invece cosa si dovrebbe fare? «Quello che andrebbe fatto, invece, è combattere una vera battaglia delle idee all'interno dell'Islam stesso, coinvolgendo i musulmani. Perché non va dimenticato che la grande maggioranza dei musulmani è dalla parte dell'Occidente. Bisognerebbe scatenare una sfida ideologica, capace di conquistare menti e cuori. Soprattutto essere capaci di offrire un'alternativa, una versione migliore dell'Europa, una strada positiva da seguire alternativa a quella feroce e disumana dell'Is».
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