Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi 28/08/2014, con il titolo " 'Quella stella è un insulto alla Shoah'. E' bufera su Zara", l'articolo di Alix Van Buren. Come ha dichiarato il capo del Community Security Trust ebraico, a essere veramente scandalosa è l'ignoranza di chi non è riuscito a cogliere il riferimento alla Shoah.
A far riflettere c'è però un precedente, una svastica su una borsa, non molto evidente, ma c'era... a pensar male...
Di seguito l'articolo.
La maglietta a righe di Zara con la stella gialla
Una maglia a righe, una stella sul petto ed, ecco, si rovescia su Zara una bufera universale: «Un oltraggio alla memoria dell'Olocausto», esplode la polemica su Twitter. In effetti, a esaminarle bene, quelle righine bianche e azzurre stampate sul jersey della multinazionale (più di 2mila negozi in 88 Paesi, oltre 90 milioni di capi d'abbigliamento venduti l'anno), malgrado i tre bottoni sulla spalla fanno più divisa da carcerato che "vestivamo alla marinara". E poi, il distintivo giallo a sei punte: come può essere sfuggito il parallelo con l'odioso marchio imposto agli ebrei dal Terzo Reich? A poco valgono le flebili discolpe di Zara: «Ma no, che non è una stella nazista», si schermisce la corporation spagnola. L'intento era tutt'altro, si scusa «sinceramente per ogni offesa provocata ai nostri clienti»: il disegno voleva rappresentare il distintivo dello sceriffo in una linea per bambini ispirata al Far West. Ed è vero che le prime guardie dell'ordine nel Vecchio West americano s'erano rifatte ai medaglioni degli ordini cavallereschi inglesi: dal fondo di una lattina ritagliavano una stella, ora a cinque ora a sei punte, come lo storico "badge" di Jeff Carr, nell'800 capo della polizia a Cheyenne nel Wyoming, il quale arrestò e poi impiccò un assassino di nome Jack McCall. Quei distintivi vanno a ruba nelle aste storiche. E anche vero che, a zoomare sulla maglietta nel catalogo online, La scritta "Sheriff" compare bella chiara, rilucente fra due barre decorate proprio come nel trofeo di Jeff Carr, per giunta con le estremità arrotondate. Ma in tempi di Internet, la risoluzione della fotografia online, poco nitida, a prima vista inganna. Zara corre ad arginare la tempesta. Su Twitter informa che «l'oggetto in questione è stato rimosso dalla vendita». Questo non è il primo dietro front del gruppo di Amando Ortega, fondatore della catena e terzo uomo più ricco al mondo secondo Forbes. Con un forziere di 64 miliardi, Ortega può permettersi di ritirare dal mercato più di un articolo. Gli era successo già sette anni fa: quella volta i buyer avevano aggiunto al catalogo un variopinto borsone di tela a fiori dai colori sgargianti. Peccato non essersi accorti che nella fantasia si celava anche una svastica verde dentro un sole rubizzo. D'accordo, quell'astro reminiscente del Führer era ficcato in una piega del sacco: una svista dei compratori. Tanto bastò perché i clienti si dichiarassero «scioccati». Si offesero, per altro, anche indù e buddisti, giacché Zara vende anche in quei continenti, e lì la svastica è da trattarsi con il riguardo dovuto ai simboli religiosi. Ma la palma della gaffe forse più oltraggiosa spetta a Umbro, l'impresa di attrezzature sportive. Neppure i manager sanno farsi una ragione di come l'etichetta "Zyklon" sia finita sulle scarpe. Infatti, proprio i cristalli di Zyklon B vennero usati dai nazisti nelle camere a gas. «Una pura coincidenza», balbettò l'ufficio stampa accogliendo la condanna del centro Simon Wiesenthal. Tornando a Zara e alla stella gialla, il capo del Community Security Trust ebraico si dice più allibito che insultato: «L' autentico shock è che i disegnatori di Zara non se ne fossero nemmeno accorti».
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