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La Repubblica Rassegna Stampa
24.08.2014 Per la giustizia italiana non era un terrorista. Un'idagine sarebbe opportuna
Cronaca di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci

Testata: La Repubblica
Data: 24 agosto 2014
Pagina: 12
Autore: Giuliano Foschini - Fabio Tonacci
Titolo: «Raphael, guerriero di Allah,, suggito ai giudici italiani 'Vado a fare la Jihad con i fratelli dell'islam'»

 Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/08/2014, a pag.12, con il titolo "Raphael, guerriero di Allah,, suggito ai giudici italiani 'Vado a fare la Jihad con i fratelli dell'islam' ", l'articolo di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci.
Un appunto sul titolo: Raphael Gendrom, come si legge nel pezzo, non è "sfuggito" ai giudici italiani, questo appare solo nel titolo. E' stato invece giudicato non terrorista, quindi messo subito in libertà. E' ardire troppo se chi ha emesso quella sentenza di assoluzione venga almeno rimosso altri incarichi, che non abbiano nulla a che vedere con il terrorismo ? Stessa richiesta coinvolge gli altri giudici citati dell'articolo.

Ecco l'articolo:


Raphael Gendrom         Adel ben Mabrouk  Milano, Corte di Appello

Scriveva: «Ringraziando Dio immigrerò nei campi del jihad per trionfare la religione di Dio, per difendere il paese dei musulmani e proteggere i luoghi sacri dei musulmani e sarò un aiuto per i fratelli mujaheddin». Eppure Raphael Gendron, ingegnere belga considerato da tutte le polizie uno degli intellettuali della cellula islamica in Europa, per la giustizia italiana non era un terrorista. Arrestato a Bari con i complimenti dell'allora ministro degli Interni Maroni, è stato poi assolto dalla Corte d'Appello. E così uscito dal carcere è tornato in Siria dove, pochi mesi dopo, è morto combattendo mentre con il vessillo di Al Qaeda e dell'Is fronteggiava l'esercito di Damasco. Ma la storia di Gendron, il terrorista che per l'Italia non esisteva, non è un caso isolato. È la stessa di altri terroristi passati indenni dalla giustizia italiana e tornati poi a combattere la jihad. Un caso che ha fatto lanciare l'allarme ai servizi stranieri che ricordando il caso di Gendron, morto un anno fa, nei mesi scorsi hanno chiesto all'Italia di tenere l'allerta massima. «11 problema è serissimo perché — spiega una fonte altamente qualificata dell'antiterrorismo — il nostro codice punisce gli arruolatori della jihad ma non gli arruolati, e punisce chi partecipa a una associazione terroristica. Ma mentre in altri paesi basta aver combattuto in zone tipo la Siria o l'Iraq per avere la prova e sostenere un processo, in Italia c'è bisogno del presupposto che il soggetto combattente partecipi al gruppo terroristico. Non è che chi va a combattere con l'Isis non fa reato, il problema è cheda noi è abbastanza difficile provarlo e dimostrarlo». Gendron fu arrestato nel 2009. Inchiodato dalla perquisizione all'interno del suo camper mentre sbarcava in porto: una pen drive con i testi dei predicatori di Al Qaeda, il testamento di Hisham Abou Nizal, nome di combattimento del ventiquattrenne Beyayo Hisham pronto al martirio e una serie di riferimenti ad attacchi terroristici.Il suo nome era però da anni nei database di tutte le polizie europee proprio per la sua pericolosità. Ma a inchiodarlo (e poi a scagionarlo in appello, dopo la condanna in primo grado, perché furono messe in dubbio le traduzioni ) furono le conversazioni intercettate in cella con il suo compagno di viaggio, l'imam Bassam Ayachi. Parlavano secondo la Procura di un attentato all'aeroporto di Parigi. «Non preoccuparti — diceva Gendron — c'è l'altro lì, dove sono stato, lui ci ha offerto per una tonnellata di granate a cinque euro l'una... «. Ma quella di Gendron è solo una delle storie. C'è per esempio Abu Dujana, detenuto e torturato per otto anni nel carcere di Guantanamo dove lo chiamavano "Nasr l'Italiano". In realtà era tunisino, ma aveva vissuto per anni a Bologna. Era arrivato nel 1994 e l'esito della sua vicenda giudiziaria, oggi che l'uomo è diventato uno dei capi di una feroce milizia islamista infiltrata nella guerra civile della Libia, mette in imbarazzo, e non poco, l'Italia. Riad "Abu Dujana" Nasri infatti era finito nel sistema carcerario italiano. Arrestato anni fa con l'accusa di aver fatto parte tra il 1997 e il 2001 di una cellula legata al gruppo salafita per la predicazione e il combattimento: aveva base a Milano e il suo compito era reclutare "carne fresca" da mandare al macello in mediooriente. In primo grado era stato condannato dal tribunale di Milano a sei anni per terrorismo internazionale, per poi essere assolto in Appello. Appena scarcerato è rientrato in Tunisi dove fonti dell'intelligence lo hanno dato prima nell'ala militare di Ansar al Sharia, mentre poi è stato avvistato in Libia. U n destino non molto lontano da quella di Adel ben Mabrouk, anche lui tunisino. Secondo quanto riporta un'inchiesta dell'Espresso sarebbe morto nell'agosto del 2013 mentre combatteva in Siria con Al Nusra, il gruppo di rivoltosi armati affiliato ad Al Qaeda. Nato ne11970, Adel faceva il barbiere a Milano prima di rispondere alla chiamata di Bin Laden. Si è unito al gruppo qaedista tunisino in Afghanistan. Anche lui catturato dagli americani, anche lui finito nella prigione lager di Cuba viene rispedito in Italia nel 2009 e subito arrestato di nuovo grazie alle rivelazione di due pentiti islamici, che raccontano di un attentato al Duomo a Milano. Due anni di carcere ed è fuori. Pronto a combattere e a morire in Siria.

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