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La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2014 Renzi visita i profughi in fuga dall'Isis in Kurdistan, il Parlamento italiano approva l'invio di armi ai peshmerga
Cronache di Pietro Del Re e Francesco Grignetti

Testata:La Repubblica - La Stampa
Autore: Pietro Del Re - Francesco Grignetti
Titolo: «Basta genocidi non ci sarà un’altra Srebrenica - Sì alle armi ai curdi “Ma si vince soltanto se l’Ue resta unita”»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 21/08/2014, a pagg. 1-2, l'articolo di Pietro Del Re dal titolo "Basta genocidi non ci sarà un’altra Srebrenica" e dalla STAMPA a pag. 5, l'articolo di Francesco Grignetti dal titolo "Sì alle armi ai curdi “Ma si vince soltanto se l’Ue resta unita” "

Segnaliamo il fatto che Matteo Renzi non ha indicato con quali mezzi dovrebbe essere vinta la battaglia contro lo Stato islamico e una "nuova Srebrenica" dovrebbe essere evitata.
E' evidente che soltanto l'uso delle armi può ottenere questi risultati. Dichiararlo apertamente può forse costare una perdita di popolarità, ma è una scelta di chiarezza politica e morale indispensabile di fronte al dramma che si sta consumando in Iraq.

Di seguito, gli articoli:

LA REPUBBLICA - Pietro Del Re: " Basta genocidi non ci sarà un’altra Srebrenica"

 
Pietro Del Re


Matteo Renzi incontra il leader curdo Massud Barzani

Erbil  «Io non vi lascio soli», ripete Matteo Renzi alle decine di profughi cristiani e sciiti ai quali stringe la mano nel campo di Bahrka, alle porte della capitale della provincia autonoma del Kurdistan.
Si conclude così, in un promiscuo e gioioso bagno di folla tra gli scampati all’ira jihadista, la visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi, primo capo di governo europeo in Iraq da quando i guerriglieri dello Stato islamico hanno lanciato la loro sanguinaria offensiva nel nord del Paese. «A Srebrenica fu un genocidio e la comunità internazionale rimase zitta. Oggi siamo in una situazione per alcuni aspetti simile, ma in realtà quello che sta avvenendo in alcune zone della Siria e dell’Iraq è la stesa cosa. Credo che la comunità internazionale possa permettersi tutto tranne che restare in silenzio», commenta poco dopo il premier, imbarcandosi sull’aereo che lo riporterà a Roma. Alle 17.30, quando con camicia azzurra, pantaloni grigi e scarponcini da trekking Renzi arriva al campo di Bahrka, tutto è ancora sotto controllo, con i rifugiati parcheggiati ai lati dell’ingresso, dietro un nastro di plastica. Ma dopo aver velocemente salutato dignitari e ministri locali ed essersi rifiutato di partecipare alla pagliacciata di una rimessa di doni italiani ai bisognosi del campo orchestrata per le tv curde, il presidente del Consiglio s’incammina verso le folle di profughi rompendo il protocollo e creando lo scompiglio tra gli uomini dei vari servizi d’ordine, il suo, quello dei politici curdi e quello fornito da Bagdad. Visibilmente commosso, Renzi ascolta le storie di questi disgraziati che hanno perso tutto salvo la vita, abbassandosi di tanto in tanto a carezzare i loro bambini ed entrando nelle loro tende, in una gigantesca calca dove si viene trascinati tra cameramen sgomitanti, operatori umanitari accalorati, guardie del corpo esasperate e rifugiati in visibilio. In privato, Renzi aveva detto che il principale motivo del suo viaggio era proprio quello toccare con mano il dramma di questi popoli per poterli meglio aiutare. Poco prima di lasciare il campo, dirà ai giornalisti: «L’Unione europea non è solo il vincolo di Maastricht o lo spread, ma è un’idea di mondo. Si deve reagire, l’Italia ha mandato aiuti umanitari e lo farà ancora nelle prossime settimane, ha autorizzato l’invio di armi per evitare che chi sta sconfiggendo la vita e le speranze delle persone non continui a farlo. Questa non è una battaglia alla periferia ma nel cuore dell’Europa. E oggi c’è un enorme rischio, quello di consegnare con il califfato una storia millenaria di convivenza al terrorismo e al fanatismo ». La visita di Matteo Renzi comincia diverse ore prima a Bagdad, dove giunge nella doppia veste di premier italiano e presidente di turno della Ue, proprio mentre a Roma le Camere stanno decidendo il sostegno del nostro Paese alla resistenza curda. Nella capitale, oltre al presidente iracheno Fouad Mazuum, incontra il premier incaricato di formare il nuovo governo Haidar Al Abadi e il premier uscente Nuri Al Maliki. Con quest’ultimo, Renzi sottolinea quanto sia «importante l’individuazione di una strategia chiara per far uscire l’Iraq da una situazione di violenza», insistendo sulla «opportunità costituita dal nuovo governo guidato da Al Abadi», il quale dovrà adesso tentare di formare una grande coalizione, spartendo il potere centrale anche con i sunniti, discriminati e a loro volta perseguitati dalle autorità dopo la caduta del regime di Saddam. Con il premier iracheno appena nominato, discute invece di sicurezza e di lotta al terrorismo, riferendosi anche al “barbaro assassinio” del reporter statunitense James Foley. Sbarcando a Erbil su twitter Renzi scrive: «L’Europa è nata per difendere la dignità dell’uomo. Ecco perché siamo qui oggi ». Eppure, per incontrare la minoranza più oppressa e massacrata in queste ultime settimane dalle bande del califfato, l’antica minoranza degli yazidi, il premier avrebbe dovuto recarsi nei campi di Duhok, a due ore di macchina. Gli è stato impedito da problemi di tempo e di sicurezza. A Erbil Renzi è comunque riuscito a incontrare il presidente curdo Massud Barzani, che è anche il capo supremo dei peshmerga, quei soldati che combattono a una sessantina di chilometri da qui, fronteggiando l’avanzata islamista. «Nella battaglia contro il terrorismo l’Europa sa bene da che parte stare, come ha dimostrato nel recente consiglio Affari Esteri a Bruxelles. Quindi questa battaglia noi la vinceremo, voi la vincerete», ha promesso Renzi a Barzani. Ma la promessa più bella e più difficile da mantenere l’ha fatta a un giovanissimo profugo, cristiano o forse sciita, al quale scompigliando i capelli ha detto: «Non ti dimenticherò ».

LA STAMPA - Francesco Grignetti: " Sì alle armi ai curdi “Ma si vince soltanto se l’Ue resta unita”"


Francesco Grignetti


Peshmerga curdi


Incassato il via libera dalle commissioni parlamentari, il governo si appresta a spedire le armi ai curdi. Questione di giorni. Il problema non sono le armi in sé: l’arsenale segreto kalashnikov, missili e razzi di fabbricazione sovietica sequestrato nel lontano 1994 ai croati è pronto. Gli armamenti sono stati ben custoditi e revisionati di recente. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha ironizzato: «Non dalla sottoscritta, come pure è stato scritto, che non saprei nemmeno come tenerle, ma dai nostri tecnici delle forze armate». Tutto è pronto per la spedizione. Il problema è evitare di muoversi disordinatamente. Perciò prima di far alzare gli aerei in volo ci si dovrà coordinare con gli altri governi - quelli americano, inglese, francese, tedesco, e naturalmente le autorità centrali irachene e regionali curde - per evitare duplicazioni inutili.
«I curdi ci chiedono armi contro i blindati e i carri armati di cui si sono impossessati gli islamisti. Vogliono in particolare mortai e razzi, ma anche fucili e munizioni», spiegano fonti della Difesa. Ecco perché il ministro Pinotti ha tenuto a precisare, nel corso dell’incontro in Parlamento, che saranno consegnate armi di «difesa personale» e di «difesa d’area». In gergo militare, significa mitragliatrici pesanti e appunto razzi anticarro. «Per armi leggere - ha detto - si intende mitragliatrici che usavano le nostre forze armate e che non usano più, munizioni e razzi anticarro». Nell’arsenale segreto c’erano ben 11 mila razzi Rpg, oltre a 30 mila kalashnikov e 5000 razzi katiuscia. Oltretutto sarà un contributo «a costo zero», salvo le spese di trasporto, considerato che si manderanno armi sequestrate o dismesse.
Fin qui, il possibile contributo italiano. C’è poi quello massiccio degli americani e quello altrettanto solido annunciato da Francia, Gran Bretagna e Germania. Ma basterà questo riarmo dei curdi a fermare l’avanzata dell’Isis e a salvare dal genocidio le minoranze cristiane, yazide e sciite finite nel mirino dei fanatici islamisti? Secondo gli analisti dell’intelligence italiana, valutazioni condivise con gli stati maggiori, i peshmerga potrebbero rovesciare la situazione, tanto più se reagiranno adeguatamente anche le milizie sciite e l’esercito regolare a Sud, ma soltanto se proseguiranno i martellanti bombardamenti aerei americani. Sarà la copertura aerea, oltretutto guidata in maniera infallibile dai satelliti, a fare la differenza sul campo e a cambiare i rapporti di forza. Se invece gli Stati Uniti decidessero di disimpegnarsi dal conflitto troppo presto, allora si teme un nuovo rovesciamento di fronte. Ecco perché, secondo il governo italiano, è indispensabile che la lotta ai terroristi dell’Isis venga portata avanti anche dall’Ue nel suo complesso. L’obiettivo è (anche) non far sentire soli gli Stati Uniti di fronte al mondo arabo sunnita.
La partita militare s’intreccia indissolubilmente con quella diplomatica. Per Roma, occorre che gli europei in Kurdistan ci siano e non in ordine sparso. La presenza di Matteo Renzi a Baghdad risponde, tra l’altro, anche a questa esigenza. Quando il premier sottolinea che chi pensava a un disimpegno europeo «non ha capito questo Semestre», è evidente qual è la sottolineatura.
E quando il ministro degli Esteri Federica Mogherini replica che il vertice di Berlino a quattro - Germania, Francia, Russia e Ucraina - comunque non ci esclude «perché ci sono costanti contatti», è una forma elegante di fare buon viso. Anche se poi la frecciatina non manca: «È vero, c’è distanza tra la nostra visione e quella di altri, che non mettono a fuoco, o lo fanno in modo meno nitido di noi, il livello della minaccia di questo Medio Oriente e questo Mediterraneo contro l’Europa».

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