Un clown negli ospedali di Gaza: una storia che non aiuta a capire per restare nella Striscia non si può raccontare quello che Hamas non vuole
Testata: La Stampa Data: 19 agosto 2014 Pagina: 14 Autore: Federico Taddia Titolo: «'Io, clown fra ambulanze e bombe. Ma i veri eroi sono i bimbi di Gaza'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2014, a pag. 14, l'articolo di Federico Taddia dal titolo “Io, clown fra ambulanze e bombe. Ma i veri eroi sono i bimbi di Gaza”
Tra le molte notizie provenienti dal Medio Oriente, quella dell'attività negli ospedali di Gaza di un clown, forse sincero e ben intenzionato, ci sembra non meritasse un'intera pagina. Tanto più che sappiamo che per risiedere a Gaza bisogna sottostare alle regole di Hamas: violarle e raccontare verità sgradite significa essere certamente espulsi, e rischiare di peggio, anche la vita. Il racconto del clown, e del giornalista che riporta le sue dichiarazioni manca evidentemente di un elemento indispensabile a capire: il contesto. Che è quello dell'aggressione di Hamas a Israele, del suo dominio brutale su Gaza, dell'uso dei civili come scudi umani.
Alberto Flores D'Arcais
Il clown Marco Rodari
Portavoce di Hamas ripreso all'interno dell'ospedale Al Shifa
Girare il mondo «armato» di naso rosso per far sorridere il cielo, là dove cadono bombe e lacrime. È questa la missione di Marco Rodari, 38enne di Leggiuno (VA), che da una decina d’anni lavora nelle corsie degli ospedali con la sua valigia di cartone, indossando gli improbabili abiti de «Il Pimpa», uno stralunato e coloratissimo clown dispensatore di buon umore, anzi «claun» così come amano definirsi gli operatori dell’associazione «I colori del sorriso» di Varese. E il Pimpa, con il suo cappellino a elica, arriva ovunque ci sia guerra e distruzione: già 25 viaggi tra Iraq, Egitto, Giordania e Palestina. Il suo naso rosso ora fa capolino tra le macerie della Striscia di Gaza. «Sono riuscito a varcare il valico di Erez a inizio agosto, approfittando della prima tregua - racconta -. Nelle settimane precedenti ho lavorato presso l’ospedale St. Josef di Gerusalemme, con i bambini che venivano trasportati fuori dalla Striscia per ricevere le cure mediche. Adesso invece mi trovo nell’unica parrocchia cattolica presente a Gaza. Vivo alla giornata, cerco di cogliere ogni occasione per portare un po’ di gioia alla popolazione, che sia una scuola, un pronto soccorso, una visita in famiglia o semplicemente la strada». Un palloncino colorato, un trucco di magia, una smorfia con la sua faccia di gomma: vale tutto per strappare un barlume di serenità ai più piccoli, usando la clownterapia per offrire briciole di evasione e di leggerezza. Cercando di essere più forte dell’orrore che la realtà quotidianamente presenta, e di cui può essere solo inerte spettatore. «Davanti alla guerra non c’è umore. È impensabile rielaborare in diretta quello che si sta vivendo: bisogna buttare tutto, comprese rabbia e paura, in un grande sacco da riaprire una volta a casa e tolto il naso rosso. Ho costantemente impressa nella mente l’immagine delle ambulanze che arrivavano in ospedale e ogni volta che si apriva lo sportellone non sapevi cosa aspettarti: uscivano fanciulli senza una gambe, senza un braccio o con qualche altra parte di corpo spappolata». E poi, tra le urla di dolore e i resti irriconoscibili di quelle che erano abitazioni, scuole o piccole attività commerciali, c’è l’incontro casuale con uomini e donne capaci di gesti straordinari. «Porterò per sempre con me il sorriso di una madre nel momento in cui ha saputo che sua figlia era fuori pericolo: durante il bombardamento non ci aveva pensato un secondo e si era buttata sulla piccola per proteggerla dal crollo dell’edificio. E dal letto dell’ospedale, consapevole che non avrebbe mai più potuto camminare, era serena e gioiosa per la vita che aveva nuovamente donato alla figlia». In attesa di qualche barlume di pace, così da poter lavorare con continuità nelle tre scuole gestite dal Patriarcato Latino di Gerusalemme e nella parrocchia della Sacra Famiglia, Marco porta avanti anche corsi di clown per adulti e adolescenti, così da formare persone in grado di continuare il progetto quando lui se ne ritornerà in Italia i primi di ottobre. «Ogni persona che vive qui dentro ha perso qualcuno: chi la madre, chi il padre, chi un fratello o un amico. Sono stravolti dalla stanchezza, ma esiste una speranza che è più forte della rassegnazione. Ogni bambino è come un grande fuoco: le macerie della guerra possono coprirne la fiamma, ma non riusciranno mai a soffocare la brace. A volte basta un piccolo spettacolo o un numero da prestigiatore per soffiare via queste macerie e riaccendere con un sorriso queste piccole fiammelle». Un’occasione per crescere, come uomo e come clown. Un’occasione per gustare fino in fondo il sapore della pace. Significa anche questo per «il Pimpa» essere nel cuore di Gaza, con la sua faccia da schiaffi che dissemina buon umore. E se gli si chiede, «Ma chi te lo fa fare?», ti fa assaporare tutta l’inutilità della domanda. «Durante il mio primo giorno in ospedale un’infermiera mi ha immediatamente accompagnato da una bambina con una brutta ferita all’addome: era lacerata dal dolore e non voleva dire una parola. Appena mi ha guardato negli occhi, tutta stupita, ha smesso subito di piangere e ha ricominciato a parlare. Ecco, la magia del naso rosso sta tutta qua».
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