Tra i pionieri sionisti nel romanzo 'Due vendette', di Meir Shalev recensione di Giulio Busi
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 17 agosto 2014 Pagina: 19 Autore: Giulio Busi Titolo: «Racconto intriso di veleni»
Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 17/08/2014, a pag. 19 dell'inserto culturale DOMENICA, la recensione di Giulio Busi del romanzo di Meir Shalev Due vendette (traduzione di Elena Loewenthal, Bompiani, Milano, Pagg. 404, euro 19,00), dal titolo "Racconto intriso di veleni ".
Giulio Busi Meir Shalev
A ciascuno la propria arte. Al pasticcere il segreto dei dolci, al poeta la gioia dei versi. E al romanziere, poveretto, il peso di molte, troppe parole. Non c'è da stupirsi se, di tanto, anche il più mansueto degli scrittori non ce la fa più, e vuol vendicarsi di tutte le peripezie che s'è dovuto immaginare. Allora le buone maniere possono andare al diavolo, e resta a nudo la pagina, bianca, ostile, estranea. È vero che scrivere è spesso il male minore, poiché ci sono storie che a dirle a voce brucerebbero troppo. «Non è bello sentirne le parole dentro la bocca. Invece di pungere sulla lingua come scorpioni e processionarie, meglio che striscino sulla carta e ci schizzino sopra i loro veleni». Anche questa è arte, e qualcuno l'esercita con passione. I raccogli-veleni non sono mai troppi, e svolgono un compito meritorio e pericoloso. Basta un attimo, e il liquido acre versato sulla pagina contagia l'autore e gli instilla un malanno difficile da curare. È una malattia antica, che qualcuno chiama verità. «La verità non è vera ... Solo ciò che è scritto diventa verità». Può darsi che Meir Shalev sia un po' meno famoso di altre super star della letteratura israeliana, anche se, per secchezza di stile e per l'abitudine a raccogliere sostanze letali, non è secondo a nessuno. Due vendette, appena uscito per Bompiani nella traduzione di Elena Loewenthal, di veleno n'è intriso. Se vi prendete il tempo di sedervi un poco, e vi mettete ad ascoltare la bella Ruta mentre racconta di sé e di quello strano angolo di Israele dove le è capitato di vivere, il succo di morte scivola via veloce veloce, come acqua di un acquazzone estivo. Una faida di cent'anni fa e una vendetta recente, e poi una filastrocca. Tutto comincia con un carro venuto dalla Galilea. Cosa trasportava? I doni per un giovane di belle speranze: «un fucile, una vacca, un albero e una moglie», ovvero tutto quello che serve a un uomo nella vita, per ordine d'importanza, per primo il fucile e per ultima la moglie. Una storia da far west, insomma, tra i pionieri sionisti a cui Shalev ci ha abituato. Ma ci si può mai abituare al male, quello più cupo che si nasconde dietro le apparenze di ordine e normalità? Tutto il villaggio sa cos'è successo e nessuno parla, e certo non con la polizia. «Il male s'irradia lontano e chi ne ha il cuore pieno sente facilmente il male nel cuore del prossimo». Chi è senza male nell'animo e chi - anche il più sciagurato - senza una goccia almeno di luce? Ha ragione Ruta, che racconta e racconta e non la smette più. «Altro che fondare insediamenti e tracciare il primo solco. È questo che conta: nomi, nascite, morti». Il veleno lasciatelo pure a chi scrive.
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