Abraham B. Yehoshua racconta la sua Gerusalemme in un'intervista di Wlodek Goldkorn
Testata: L'Espresso Data: 15 agosto 2014 Pagina: 78 Autore: Wlodek Goldkorn Titolo: «Com'era laica la città santa»
Riprendiamo dall' ESPRESSO datatto 21/08/2014, a pagg. 78-81 l'intervista di Wlodek Goldkorn ad Abraham B. Yehoshua, dal titolo "Com'era laica la città santa "
Wlodek GoldkornAbraham B. Yehoshua
1948: La battaglia per Gerusalemme: fotografia di Robert Capa
Ogni volta che mi viene richiesto il curriculum vitae comincio con queste parole: Nato a Gerusalemme nel 1936, quinta generazione a Gerusalemme. Non solo ripeto due volte il nome Gerusalemme, ma sottolineo il fatto di essere la quinta generazione.. Parole di Abraham B. Yehoshua, israeliano, ebreo, uno dei più grandi scrittori viventi (in Italia pubblica con Einaudi), che in questo colloquio racconta il suo rapporto con il luogo al centro dell'immaginario dell'Occidente (se si considera, com'è giusto, anche l'Islam parte della nostra civiltà). Qui, in poco più di un chilometro quadrato tra la Spianata del Tempio detta anche Spianata delle Moschee, il Muro del Pianto, la via Dolorosa e la Basilica del Santo Sepolcro, sono concentrate le utopie di un mondo a venire: di redenzione, di giustizia, del Regno del Bene. Insomma, di Gerusalemme ce ne sono tante quanti sono i sogni degli umani. Ma Yehoshua avverte: quei sogni, se declinati in chiave di fanatismo, sono forieri di morte, sangue, distruzione. Meglio quindi raccontare la città cosi corn' è. E allora, lasciamogli la parola:. Essere una quinta generazione nata a Gerusalemme settantasette anni fa è un vantaggio, considerando il fatto che la maggior parte dei miei amici coetanei appartiene alla prima o alla seconda generazione di ebrei in Terra d'Israele. Ecco perché non smetto di ripetere ai miei amici arabi - loro pensano che tutti noi siamo immigrati o figli di immigrati - che i miei avi sono arrivati qui da Salonicco e da Praga a metà dell'Ottocento, quando a Gerusalemme gli ebrei erano pochissimi, ma neanche gli arabi erano numerosi. Allora la città era piccola e misera, posta al limite del deserto, chiusa nelle Mura le cui porte venivano sigillate ogni notte». Il deserto di Giudea si può ammirare dal Monte Scopus, sede dell'Università ebraica, inaugurata 89 anni fa. Se vi si sale all'alba, la varietà e la potenza dei colori cangianti della luce che emerge dall'Oriente illuminando le pietre fa capire perché questa città da molti è considerata dimora di Dio. Nel bene, ma anche nei male. Non a caso, e da qui che Tito la ammirò, prima di raderla al suolo nell'anno 70. Yehoshua non si lascia trasportare da considerazioni mistiche. E torna alla sua Gerusalemme: «La Gerusalemme che ho appena descritto, negli ultimi 150 anni (da quando vi arrivarono i miei avi) è cresciuta ed è diventata la prima metropoli d'Israele; ma costituisce tuttora il nucleo profondo e contraddittorio della mia identità. A Gerusalemme sono vissuto per ventisette anni, fino al 1963. Da lì siamo partiti, io e mia moglie, per continuare gli studi a Parigi. E a Parigi abbiamo deciso di non tornarci più a Gerusalemme, per scegliere un'altra città in Israele, Haifa. Perché Haifa unisce i miei monti di Gerusalemme con il mare di Tel Aviv, dove è nata e cresciuta mia moglie». Una confessione personale preludio a un ragionamento che mette insieme letteratura e sentimento,ragione e pensiero politico. Questo. «Nella mia coscienza Gerusalemme è divisa in tre città: ognuna un po' diversa dalle altre. Ognuna fonte sia della mia produzione letteraria sia del mio pensiero ideologico e politico.. Vediamo le tre città. «La prima è la Gerusalemme della mia infanzia, fino al 1948 (l'anno della nascita dello Stato d'Israele). Città unita, araba ed ebraica, soggetta al potere dell'impero britannico. È la Gerusalemme della seconda guerra mondiale, dove si sta risvegliando il conflitto tra ebrei e arabi da un lato, e tra i due popoli e le autorità britanniche dall'altro. Ma nonostante le prime avvisaglie del terrorismo ebraico e palestinese, c'è ancora l'armonia di una città unita dove i quartieri arabi ed ebrei abbracciano l'un l'altro nella tranquillità relativa; aspettando tuttavia con angoscia il futuro. Yehoshua fa una pausa,poi, riprende il discorso parlando del padre, Yaakov. «Era orientalista e insegnante della lingua araba. Aveva non pochi amici tra gli arabi di Gerusalemme. Qualche volta mi portava da loro. Questi incontri che mi riempivano d'orgoglio (eravamo ricevuti da coloro che erano ormai considerati nemici) alimentano tuttora la mia fiducia nella possibilità, nonostante tutto, della pace. Però con la fine del potere britannico, nel maggio 1948 è cominciata una guerra crudele tra i due popoli, in tutto il Paese, e in particolare a Gerusalemme. Ogni strada e ogni quartiere erano teatro di battaglie. Il quartiere ebraico nella Città Vecchia è stato conquistato dagli arabi. L'università su Monte Scopus è rimasta isolata e per anni era una specie di enclave, in territorio nemico. Dall'altro lato, alcuni bellissimi quartieri arabi sono passati nelle mani degli ebrei. Ia legione giordana ha invaso la Palestina, ha messo sotto assedio la parte ebraica di Gerusalemme. E la sottoponeva a bombardamenti atroci». Yehoshua, allora, divise la sorte con quelli che oggi chiama «i profughi», gente arrivata dall'Europa dopo la Shoah: «Per due mesi siamo stati in un rifugio sotto la nostra palazzina. Quando gli assedianti arabi vennero sconfitti dalle forze israeliane, si arrivò a una tregua e fummo autorizzati a uscire dal rifugio. Ma davanti a noi è apparsa un'altra Gerusalemme; divisa da muri di cemento armato, da filo spinato e da campi minati. La Gerusalemme araba è diventata per gli israeliani la faccia nascosta della Luna, e così la parte ebraica per gli arabi.. Una città triste quindi? Non necessariamente. «Per me», dice Yehoshua, «comincia qui la seconda Gerusalemme, la Gerusalemme della mia giovinezza e dei miei anni da studente. E una Gerusalemme più piccola, omogenea, laica nella maggioranza della sua popolazione,città dei ministeri, tipicamente universitaria». Sono gli anni eroici di un piccolo e povero Stato, un po' socialista, dove politici come David Ben Gurion portano rispetto a filosofi come Martin Buber. Quando lo studioso scrisse al premier (chiedeva di evitare la messa a morte di Eichmann), il fondatore dello Stato volle andare a casa sua, e non convocarlo in ufficio: «Tu sei più importante di me», gli disse. Yehoshua ricorda: «La Gerusalemme dell'epoca è una città modesta; la residenza del capo dello Stato è una baracca nel cuore di un giardino pubblico. E il premier si sposta a piedi, accompagnato da una sola guardia del corpo. La città è senza segni di sacralità, senza il pesantissimo retaggio della storia, si è liberata dai suoi miti così esigenti e insieme all'effervescente Tel Aviv ha cominciato a costruire la nuova identità israeliana. In quella Gerusalemme ho cominciato a concepire i miei primi racconti, un po' astratti, senza tempo e luogo definiti». All'epoca Yehoshua era influenzato dalla letteratura surrealista. Forse per fuggire la realtà di un luogo mutilato? Commenta: «Qualche volta alzavo lo sguardo verso la città dell'Est, la Città Vecchia: proibita ed enigmatica. Cercavo di ricostruire nell'immaginazione il ricordo delle visite con mio padre nei vicoli, nei mercati pieni di colori, e ovviamente nelle case dei suoi amici e nei palazzi sontuosi dove avevano sede le autorità delle varie denominazioni religiose Spiega l'origine di quello che considera il suo romanzo «più importante e più significativo, "Signor Mani"». Dice: «È probabile che quella città invisibile abbia finito per svegliare il desiderio di ricostruirla non solo nella mia memoria intima, ma anche in un'opera letteraria e che ho scritto negli anni Ottanta, dopo la scomparsa di mio padre, il "Signor Mani". E un romanzo in cui ho rovesciato il tempo: parto dal presente per andare a ritroso verso il passato, e fino alla metà dell'Ottocento a Gerusalemme Si sente un filo di commozione, mista all'orgoglio: «Nel lavoro letterario e di immaginazione mi ha aiutato mio padre, che negli ultimi anni della sua vita si è lasciato trasportare da un'ondata di nostalgia verso i suoi avi e ha scritto dodici libri di folklore e di documentazione su Gerusalemme della sua infanzia, e in particolare sull'antica comunità degli ebrei orientali». E la terza Gerusalemme, signor Yehoshua ? .«E' la Gerusalemme, nata a sorpresa, nella tempesta della guerra dei Sei Giorni. È stata una splendida vittoria su tutti i fronti. II suo coronamento, la conquista della Città Vecchia e dei quartieri di Gerusalemme Est, velocemente annessi allo Stato d'Israele. La parola d'ordine: liberazione di Gerusalemme e riunificazione della città sotto la sovranità israeliana». C'è un sottile filo d'ironia, o forse di amarezza in queste parole. Infatti, lo scrittore prosegue: «In quel mese drammatico, giugno 1967, io, mia moglie e nostra figlia eravamo a Parigi. Nel giro di due settimane saremmo dovuti tornare nel Paese. Ma già da lontano, mentre stavamo facendo le valigie e salutavamo gli amici, seguendo i media israeliani, sentivo la nuova estasi, spiacevole, di stampo messianico, una specie di risveglio di miti latenti attorno ai luoghi sacri. Espressioni come "Gerusalemme eterna" o "Cuore del popolo ebraico", stavano assumendo un'identità religiosa sciovinista, in particolare nelle preghiere di massa sotto il Muro del Pianto. Quelle preghiere erano accompagnate da brutte allusioni sull'eventualità di distruggere le moschee della Spianata e di ricostruire al suo posto il Tempio raso al suolo dai romani duemila anni fa. Ero ancora a Parigi, ma già mi accorgevo del fenomeno della rapida distruzione dei codici laici israeliani, costruiti nei 19 anni precedenti in una Gerusalemme divisa, la mia "seconda Gerusalemme". Si stava affacciando sulla scena pubblica qualcosa che certamente non poteva favorire la pace: visto che sono stati annessi a Gerusalemme unita, senza per altro chiedere il loro parere, decine di migliaia di arabi palestinesi, intrappolati dentro la nuova estasi messianica della popolazione ebraica. Così, io e mia moglie abbiamo pensato di non tomare a Gerusalemme, ma di mettere su casa a Haifa,città del tutto laica e del tutto israeliana e piacevole. Yehoshua tenta una conclusione provvisoria: «A mio padre, la nostra decisione dispiacque, ne scorse una sorta di tradimento, ma io avevo l'impressione che la distanza che ho messo tra me e Gerusalemme era buona per la mia famiglia e per la mia scrittura. La nuova identità degli ebrei di Gerusalemme che celebravano la presunta unità e"l'interezza"della città suscitava in me sentimenti di rabbia. Perché questa Gerusalemme che allargava i suoi confini municipali senza alcun bisogno e mescolava i nuovi quartieri ebraici con quelli vecchi arabi sarebbe finita per diventare il principale ostacolo sulla strada verso una soluzione del conflitto consistente in due Stati, l'israeliano e il palestinese. Una Gerusalemme che non può più essere divisa ci porterà a uno Stato bi-nazionale, che rischia di diventare uno Stato di apartheid». C'è da aggiungere qualcosa? Si. Yehoshua vuole terminare con un'annotazione. Dice che comunque nei suoi romanzi, i protagonisti ogni tanto fanno una breve visita alla città dove è nato, «per trovare genitori anziani o ex amanti». E confida: «Pochi mesi fa, in una sorta di riappacilicazione rassegnata, sono tornato davvero a Gerusalemme. Nel mio nuovo romanzo, appena pubblicato in Israele, intitolato "La comparsa", vi sono rientrato, sotto le spoglie di una donna, arpista 41enne, divorziata perché si rifiutava di avere dei figli. Ed ecco, dopo la morte di suo padre lei è stata chiamata ad abitare, provvisoriamente, nella casa della sua infanzia, in un vecchio quartiere, ora popolato da religiosi. In fin dei conti, è un quartiere della mia prima Gerusalemme, dove sono nato settantasette anni fa, quinta generazione a Gerusalemme».