Le autorità islamiche condannino chi uccide 'in nome di Dio': la richiesta (tardiva e incompleta) del Vaticano e una riflessione del Rabbino Capo di Roma sul fanatismo religioso
Testata:Il Giornale - La Stampa Autore: Marinella Bandini - Riccardo Di Segni Titolo: «Il Vaticano ai religiosi islamici. 'Schieratevi contro il Califfato' -»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/08/2014, a pag. 13, l'articolo di Marinella Bandini dal titolo "Il Vaticano ai religiosi islamici. 'Schieratevi contro il Califfato' e dalla STAMPA, a pag. 29 l'articolo del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni dal titolo "Fermiamo il virus del fanatismo religioso".
Pur plaudendo alla ancorché tardiva inziativa del Vaticano di chiedere ai religiosi islamici una condanna del terrorismo, non possiamo non chiederci perché un'analoga richiesta non abbia riguardato il terrorimo anti-israeliano di gruppi come Hamas e Hezbollah, il quale non assume proporzioni genocide solo perché Israele ha la capacità e la volontà di difendersi. Forse che sterminare gli ebrei è meno grave che sterminare i cristiani ?
Di seguito, gli articoli:
Bandiere dell'Isis e bandiere palestinesi con la scritta "Hamas"
IL GIORNALE - Marinella Bandini: "Il Vaticano ai religiosi islamici. 'Schieratevi contro il Califfato' "
Marinella Bandini
Jean Luis Tauran
Bando all'ambiguità. La situazione in Iraq «esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani», una parola volta a «condannare senza alcuna ambiguità questi crimini e denunciare l'invocazione della religione per giustificarli». Nel giorno in cui l'inviato personale del Papa, il cardinale Fernando Filoni, è partito alla volta dell'Iraq, il Vaticano interviene in modo più che deciso a scuotere le coscienze. La nota, diffusa dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, reca l'impronta di un diplomatico di lungo corso come è il suo presidente, il cardinale Jean-Louis Tauran, già attore di primo piano nelle relazioni diplomatiche al tempo della guerra in Iraq del 2003. Nel messaggio una netta condanna del tentativo di restaurazione del Califfato promosso dall'Isis, identificando con precisione le «pratiche indegne dell'uomo» messe in atto dagli jihadisti: il massacro delle persone a causa della loro fede, la «pratica esecrabile» di torture oni) in piazza; la scelta imposta a cristiani e Yazidi tra conversione all'Islam e pagamento di un tributo, il rapimento delle donne come bottino di guerra; fino alla profanazione e distruzione di luoghi di culto cristiani e musulmani, del patrimonio religioso e culturale. «Nessuna causa può giustificare tale barbarie e certamente non una religione»: in un contesto di escalation delle violenze, il Vaticano sprona a una reazione forte dei leader religiosi esortandoli anche a «esercitare la loro influenza sui governanti» per ristabilire l'ordine. «Questi stessi leader religiosi non mancheranno – si legge ancora – di sottolineare che sostenere, finanziare e armare il terrorismo è moralmente riprovevole». La prima voce a levarsi dal mondo islamico è quella del Gran Muftì d'Egitto, Shawki Allam, che accusa i miliziani dell'Isis di «violare tutti i principi dell'Islam» e avverte che «questo sanguinario gruppo rappresenta un pericolo per l'Islam e per i musulmani nel mondo». «Quando una forza che affigge insegne islamiche viola tutte le regole sharaitiche e morali del conflitto, nessuna referenza religiosa potrà essere avanzata per giustificare tali comportamenti», ha rincarato l'Ucoii, l'Unione comunità e organizzazioni islamiche in Italia. La voce accorata dei vescovi iracheni è stata raccolta da Radio Vaticana: «Noi gridiamo a tutto il mondo: per favore, fate qualche cosa! Per favore non vendete le armi! Vogliamo i nostri diritti, vogliamo la pace», dice Shlemon Warduni, vescovo ausiliario di Baghdad dei caldei. E Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei latini: «Il problema non viene da qui, viene anche dall'Occidente! Si fermi questo “bulldozer“ che vuole cambiare tutto il Medio Oriente». Ieri è giunto nel Paese il cardinale Filoni, inviato da Francesco per portare la sua vicinanza alle popolazioni, in particolare i cristiani. «Il Santo Padre, probabilmente, avrebbe avuto anche piacere di essere qui, in mezzo a questa povera gente» ha detto prima di partire. Il 15 agosto, intanto, in tutte le chiese italiane si pregherà per i cristiani perseguitati. Papa Francesco da oggi sarà, invece, in Corea del Sud, altra terra segnata da un lungo conflitto e dal martirio di tanti cristiani. Sabato prossimo sarà proprio Francesco a beatificare 124 martiri figli di questa terra.
LA STAMPA - Riccardo Di Segni: "Fermiamo il virus del fanatismo religioso "
Riccardo Di Segni
L’intolleranza è una malattia infantile di molte religioni, specialmente quelle monoteistiche. La malattia può guarire crescendo, oppure cronicizzarsi con alti e bassi oppure ricomparire all’improvviso come una recidiva pericolosa. Le recidive di questa malattia hanno insanguinato abbondantemente l’Europa dei secoli scorsi. Poi ad insanguinarla ci hanno pensato i nazionalismi e i totalitarismi, anche se qualche conflitto religioso non ci è mancato negli ultimi decenni (Irlanda del Nord, ex Jugoslavia). Però una volta sconfitti i totalitarismi e spenti i focolai locali pensavamo di essercela cavata. Invece no. Ecco che il nuovo millennio che comincia simbolicamente con l’attacco alle Torri gemelle di New York, un evento che avrà avuto pure radici politiche complesse, ma che non sarebbe stato possibile senza una carica di odio e fanatismo religioso. Ed ecco che ora scopriamo che intere regioni del continente africano e ampie zone dell’Iraq e della Siria sono devastate da eserciti che trovano la loro forza cementante ed identitaria in una visione religiosa espansiva e minacciosa e a farne le spese con la vita, la perdita della libertà o l’esilio, per chi ci riesce, sono masse di cristiani o di altre minoranze religiose di cui sapevamo a stento l’esistenza. Chissà per quale oscuro motivo mediatico di tutto questo si inizia a parlare nei titoli dei giornali e delle tv solo adesso, quando le cifre delle vittime vanno oltre alle decine di migliaia. Fino a poco tempo fa quando si scendeva in piazza per manifestare contro questi fatti (siamo riusciti a farlo a Roma un paio di volte mettendo insieme cristiani ed ebrei) il numero dei presenti era minimo e benché si gridasse all’indifferenza non c’erano molte autorità - anche religiose - e pubblico sensibile disposte ad ascoltare. Forse perché i Paesi di cui si parla ci sembrano lontani e con un inconfessabile subconscio senso di superiorità occidentale pensiamo che siano cose incivili tra gente incivile. Ma forse l’inciviltà è proprio quella nostra di non capire quanto questi eventi ci siano vicini, sia spiritualmente per la dignità e i diritti umani violati, sia geograficamente: non sono posti lontani, ci si arriva in tre ore di aereo. Non sono ideologie lontane, stanno già in mezzo a noi con i loro fedeli e sostenitori e non ce ne accorgiamo. Leggiamo del virus Ebola che miete vittime in Africa, ma stiamo quasi tranquilli perché qui, si dice, non arriva. Nessuno ci garantisce che il virus del fanatismo religioso non approdi da queste parti, se non è già approdato. Nella storia della nostra comunità religiosa degli ultimi millenni abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significhi odio, esaltazione e intolleranza, quale che ne sia la natura, ideologica o religiosa. E nel mondo occidentale si è riusciti a costruire sulle ceneri del passato un modello di convivenza al quale le diverse religioni, senza rinunciare a loro stesse, hanno portato un contributo decisivo. Oggi tutto questo rischia di saltare avviando un micidiale processo regressivo. Bisogna fermarlo. Non si possono tollerare i morti per religione. Non si possono tollerare gli intolleranti.
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