Cadono gli ultimi veli sulla politica islamista del Movimento 5 Stelle il deputato Manlio Di Stefano chiede 'rispetto' per i terroristi dell'Isis
Testata: La Repubblica Data: 13 agosto 2014 Pagina: 10 Autore: Francesco Grignetti - Pietro Del Re Titolo: «Contrari a ogni tipo di intervento. e per capire l'Isis serve rispetto - Iraq, l'orrore della guerra negli occhi dei bambini. 'Venduti come schiavi'»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/08/2014, a pag. 10, l'intervista di Francesco Grignetti al capogruppo M5S alla commissione Esteri alla Camera, Manlio Di Stefano, dal titolo "Contrari a ogni tipo di intervento. e per capire l'Isisserve rispetto", da REPUBBLICA a pagg. 10-11, l'articolo di Pietro Del Re dal titolo " Iraq, l'orrore della guerra negli occhi dei bambini. 'Venduti come schiavi'".
L'articolo di Pietro Del Re informa sui crimini commessi dall'organizzazione terrorista islamista per la quale Di Stefano chiede "rispetto".
La bandiera dell'Isis
Di seguito, gli articoli:
LA STAMPA - Francesco Grignetti: "Contrari a ogni tipo di intervento. e per capire l'Isis serve rispetto "
Francesco Grignetti
Manlio Di Stefano
«Noi siamo contro ogni intervento armato in Iraq. Anche indiretto. Noi restiamo pacifisti senza se e senza ma». Le foto drammatiche che giungono dall’Iraq non scalfiscono le granitiche convinzioni dei grillini. Mai interventi armati, né intromissione negli affari altrui. Vale anche per i sanguinari islamisti del Califfato. Anzi, «fenomeni radicali come l’Isis - scrivono - sarebbero da approfondire con calma e rispetto». Quale rispetto, scusi? «Rispetto delle cause che sono dietro la situazione attuale», risponde il capogruppo M5S alla commissione Esteri alla Camera, Manlio Di Stefano. «Noi occidentali abbiamo dato per scontato che la nostra fosse l’unica democrazia possibile. Affrontare le cause con rispetto significa interrogarsi se non ci siano altre forme di governo e di democrazia che vanno bene per i posti dove sono». In Iraq intanto si muore, però. C’è il pericolo di un genocidio. Avete visto i bambini morti, e donne stuprate, le fosse comuni... Non è un caso classico di interventismo umanitario? «Intanto è evidente a tutti che gli Stati Uniti sono intervenuti di testa loro senza coinvolgere le realtà internazionali». Questo è un dato di fatto. Ma senza intervento lì muoiono tutti, sa? «L’ho capito... ma anche in Palestina muoiono in questo momento. Hanno fatto qualcosa gli Stati Uniti? Ci mancherebbe altro che non avessimo a cuore i morti, che siano da una parte o dall’altra, però vedo sempre un interventismo accanito quando si parla di alcuni territori e il totale oblio di altri territori, se non addirittura l’appoggio ad alcune realtà nemiche. È una situazione incredibile». Posizione chiarissima, non c’è che dire. Quindi in Iraq dobbiamo restare alla finestra? «Oggi è facile parlare di intervenire. Ma guai a dimenticare che lì abbiamo portato noi l’instabilità politica. Tra l’altro l’Italia fu complice di quella guerra». E accusate le ministre Federica Mogherini e Roberta Pinotti di giocare «a fare la guerra senza avere consultato preventivamente il Parlamento». Questo altolà vale anche per l’ipotesi allo studio nelle cancellerie europee di inviare armi ai curdi? «Sicuramente. Oggi dai le armi ai curdi, domani agli sciiti, dopodomani hai la reazione dei sunniti. Bombardamenti e forniture di armi non fanno altro che alimentare gli stessi fenomeni che si vogliono contrastare. È come curare un diabetico con iniezioni di glucosio». Senta Di Stefano, si può e si deve discutere su come è andata con Saddam Hussein. Ma il problema ora è l’oggi. Se non con le armi, secondo lei come si può intervenire? «Ci vorrebbe un intervento diplomatico forte. O anche intervenire con corpi non armati. Interventi umanitari. Invece abbiamo bombardamenti veri e propri: ma così si polarizzano ulteriormente le divisioni. Noi andiamo a gettare bombe contro i terroristi. È vero, sono terroristi. Ma siamo sicuri che per ogni terrorista morto non ne nascono altri cento? Quella provocazione del Califfato di arrivare fino a Roma significa questo: più voi intervenite, più noi reagiremo».
LA REPUBBLICA - Pietro Del Re: "Iraq, l'orrore della guerra negli occhi dei bambini. 'Venduti come schiavi' "
Pietro Del Re
Un'esecuzione di massa dell'Isis
ERBIL Bambine stuprate e poi vendute al mercato degli schiavi. Bambini arruolati di forza nelle milizie jihadiste e poi anch’essi violentati. Questo si legge nella “Horizontal note”, l’ultimo rapporto trimestrale preparato dal personale Unicef in Iraq, dove tra le cifre, le statistiche e le tante località scritte in arabo è facile percepire le grida di dolore e di spavento lanciate dalle giovanissime Raghad, Jinan, Louisee Zozan o dai piccoli Raed, Ayad, Shero e Clément. L’elenco di efferatezze e abusi compiuti sui minori dalle bande dello Stato islamico è stato redatto per conto del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Kimoon, il quale dovrà poi riferirne al Consiglio di Sicurezza.
A svelarci le atroci verità in esso contenute è Marzio Babille, triestino, pediatra con lunga esperienza nell’umanitario e rappresentante dell’organizzazione dell’Onu per l’infanzia a Bagdad ed Erbil. Dice Babille: «Sono accuse accuratamente vagliate dai nostri funzionari infiltrati sul terreno: negli ultimi sei o sette mesi, da quando è partita la vasta offensiva dello Stato islamico nel nord e nel centro dell’Iraq, i crimini contro i minori sono incredibilmente aumentati da Ambar a Tikrit, da Falluja a Mosul e Qaraqosh, ossia in tutti territori conquistati dall’auto- proclamato califfo Abu Bakr Al Baghdadi ».
Le vittime di queste violenze non sono solo i bimbi cristiani, ma quelli di tutte le minoranze che dalle periferie di Bagdad alla Piana di Ninive o alle fertili sponde del Tigri e dell’Eufrate sono rimaste intrappolate nel corso dell’irresistibile avanzata militare delle brigate jihadiste. Tra queste minoranze si contano gli yazidi, gli sciiti, i turcomanni e i curdi, ovvero tutti coloro che gli islamisti considerano infedeli, e a cui infliggono le peggiori umiliazioni. «Quando in una famiglia ci sono due bambine, una è automaticamente sequestrata dallo Stato islamico, che la mette all’asta nel mercato delle schiave sessuali o che ne fa dono ai suoi miliziani, magari come premio per una vittoria al fronte». Se nella famiglia non ci sono bambine, gli jihadisti si rifanno sui maschietti i quali, quando hanno le sfortuna di essere dei bei bambini, sono anch’essi trasformati in oggetti sessuali. Appena arruolati, questi bimbi sono immediatamente armati ed equipaggiati militarmente di sana pianta, ma essendo spesso spaventatissimi da quanto sta accadendo loro e troppo piccoli per potersi comportare da veri soldati, vengono selvaggiamente picchiati dai loro rapitori.
Per tutelare l’infanzia dalle violazioni nei Paesi funestati da sanguinari conflitti quali la Somalia, l’Afghanistan, la Siria o appunto l’Iraq, l’organizzazione delle Nazioni Unite ha stilato il seguente elenco di crimini-tabù contro i più piccoli: l’uccisione e la mutilazione di bambini, il rapimento, lo stupro e altri atti sessuali, il recluta- mento in bande armate, la distruzione di scuole e di ospedali, la restrizione volontaria dello spazio umanitario. «Ebbene, in Iraq tutti questi crimini sono attualmente compiuti dalle bande islamiste, come dimostrano le circostanziate testimonianze pazientemente raccolte dai nostri operatori presso famiglie per lo più restie a confessare agli estranei i torti che hanno subìto i loro bambini», aggiunge Marzio Babille. Ed è in questi scientifici questionari, in cui alle vittime si chiede quando, dove, a che ora e in quale luogo è stata trasgredita una legge contro i minori, che traspaiono le più abominevoli atrocità. Infatti, le risposte fornite spesso raccontano di famiglie dilaniate, di figli strappati dalle braccia dei genitori, di torture, omicidi e indicibili traumi, tutto compiuto in nome di una fede sviata.
Tra le minoranze irachene quella trattata peggio dallo Stato Islamico è forse quella yazida, perché la più piccola, la più chiusa e la più indifesa. A dar voce a questo popolo antico è la sua deputata al parlamento di Bagdad, Vian Dakhil, che per prima ha urlato al mondo il genocidio in corso. Ieri, la donna è rimasta ferita nello schianto dell’elicottero sul quale viaggiava e che stava conducendo una ricognizione umanitaria nel nord dell’Iraq, trasportando aiuti umanitari destinate alle decine di migliaia di persone rimaste intrappolate sulle montagne di Sinjar mentre fuggivano dagli jihadisti. Unica rappresentante politica della sua minoranza e deputata dell’Alleanza curda, quattro giorni fa Dakhil aveva rivolto un accorato appello al presidente del Parlamento proprio per salvare gli yazidi bloccati in montagna.
Domenica scorsa la donna aveva anche denunciato che ogni giorno muoiono cinquanta bambini di diarrea e disidratazione. Ieri, prima di imbarcarsi sull’elicottero, la deputata ha anche rivelato alla stampa internazionale che da giorni gli jihadisti tengono in ostaggio più di seicento ragazze yazide in una delle prigioni della provincia di Ninive. Adesso sappiamo anche quale sorte toccherà loro. Dice ancora Babille: «Nel corso della mia lunga carriera di medico di guerra mi sono morti tanti bambini tra le braccia, per lo più di malaria o di tifo. Ma vedere un bambino che muore di sete è davvero spaventoso. Nelle montagne sopra Sinjar saranno rimasti 30mila yazidi. Ma forse sono già molti di meno: la fatica e la carenza di cibo e di acqua ne stanno decimando a migliaia».
Tra le tante storie raccolte nell’ultima “Horizontal note” dell’Unicef in Iraq, una è particolarmente triste. Quella della piccola Gihan, cristiana di Mosul. Quando le milizie hanno sfondato la porta di casa sua per rubare i pochi beni della sua famiglia, i suoi genitori erano riusciti a nasconderla. Due giorni dopo, il padre ha caricato tutti in macchina per tentare la fuga verso il Kurdistan iracheno. Sono partiti in piena notte, ma l’auto sulla quale scappavano è stata fermata dagli islamisti dopo pochi chilometri. Da allora di Gihan si sono perse le tracce. Ha soltanto 12 anni.
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