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La Stampa Rassegna Stampa
07.08.2014 Lo 'Stato islamico' rapisce cinquecento donne per ridurle in schiavitù
Scontro di civiltà ? Nooo !

Testata: La Stampa
Data: 07 agosto 2014
Pagina: 9
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Cinquecento donne fatte schiave»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/08/2014, a pag. 9, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo "Cinquecento donne fatte schiave "


Francesco Semprini


Protesta contro il rapimento in Iraq


Rapite per farne le schiave del «Califfo». È il nuovo capitolo del dramma che accompagna le minoranze etnico-religiose del nord dell’Iraq fagocitato dall’offensiva dello Stato Islamico. Dopo la cacciata dei turcomanni e la persecuzione dei cristiani, è questa volta il turno degli Yazidi, popolazioni di origini curde fedeli ad un’antica religione legata allo Zoroastrismo. Sono circa 500mila quelli che vivono nella provincia di Niniveh, la stessa dove gli jihadisti del Califfato comandato da Abu Bakr al Baghdad hanno messo a segno le ultime scorribande improntate all’odio e al sangue. Con l’offensiva nella città di Sinjar, i miliziani hanno giustiziato circa 500 uomini solo perché Yazidi, e hanno rapito un equivalente numero di donne. Alcune sono rinchiuse in un compound a Sinjar, altre, con i loro bambini, sarebbero state trasferite all’aeroporto di Tel Afar. La segnalazione, comunicata dal governo iracheno, è stata confermata da fonti Onu sul territorio, secondo cui il destino di queste donne è segnato: l’ex Isis vuole farne schiave al servizio del Califfo. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ieri ha espresso la sua «condanna» per gli attacchi contro le città di Sinjar e Tal Afar, e la persecuzione sistematica delle minoranze, rivolgendo particolare attenzione proprio agli Yazidi in fuga, «che necessitano di aiuti umanitari». «E’ importante far sentire la vicinanza della comunità internazionale alle istituzioni irachene», ha sottolineato anche il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, in visita ufficiale a Baghdad ed Erbil. Un’altra crudeltà che si aggiunge a quelle compiute nei due mesi passati dagli uomini del Califfo al-Baghdadi e che proseguono oggi con i duri combattimenti nella zona di confine curdo-irachena al nord e la regione centrale del Paese, la pancia sunnita di un Iraq in balia di una deriva politica. E proprio ad Auja, villaggio natale di Saddam Hussein a sud di Tikrit, durante gli scontri è stato danneggiato il mausoleo dell’ex Raiss, anche se la sua salma sarebbe stata trasferita già prima dei combattimenti. A sostegno delle attività dei Peshmerga curdi il premier sciita, Nuri al-Maliki, ha garantito la copertura dello spazio aereo nelle zone di conflitto. E ieri i caccia delle forze governative hanno ucciso 127 miliziani dello Stato islamico durante raid compiuti su varie aree di Mosul. Tra questi ci sarebbe Abu Ali Anbari, un assistente di al Baghdadi. Secondo fonti locali i «guerrieri che guardano in faccia alla morte» sarebbero stremati dai combattimenti, tanto è vero che a loro sostegno sono giunti nella regione guerriglieri curdi provenienti da Siria e Turchia. Le forze curde avrebbero messo da parte le rivalità tra Governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg), Partito dell’unione democratica che rappresenta i curdi siriani (Pyd) e quelli turchi del Partito dei lavoratori (Pkk). L’obiettivo è creare un fronte unico, al quale partecipano anche i combattenti cristiani riuniti sotto la sigla «Sutoro», ai quali appartengono anche volontari europei, che punti su Mosul dove gli jihadisti stanno ammassando uomini, forse in vista di un’offensiva.

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