Le ragioni sono due. In primo luogo vi è il fatto che questa è una guerra essenzialmente politica. Hamas non ha mai potuto pensare di sconfiggere oggi sul campo l'esercito israeliano, ha sempre calcolato solo il modo di infliggere il massimo dei danni a Israele: danni economici, di morale, di relazioni internazionali, di consenso interno; e corrispettivamente ha cercato di trarne il massimo vantaggio per sé in termini di prestigio, di rapporti nel mondo arabo e con le potenze mondiali. Ferire o uccidere un soldato israeliano serve, nel calcolo dei terroristi, a minare il morale di Israele e il suo appoggio al governo; ma anche i danni che ha ricevuto sono stati usati per procurarsi simpatia, per toglierla a Israele, per apparire resistenti eroici o vittime innocenti ( http://elderofziyon.blogspot.com.es/2014/08/islamic-jihad-brags-that-dead-gaza.html ), a seconda del mercato politico arabo o internazionale cui ci si rivolgeva. La manipolazione dell'informazione è stata centrale nella strategia terrorista quanto i missili e i tunnel. Israele è consapevole di questo e cerca di mostrare coi fatti una ragionevolezza, una disponibilità a offrire tregue e accordi di cessate il fuoco che non corrisponde alle sue necessità militari, ma serve a smentire la costruzione propagandistica di Hamas. Di qui i numerosi cambiamenti tattici da una parte e dall'altra, che spesso hanno soprattutto un significato comunicativo e vengono modificati secondo le reazioni dell'altra parte e della platea internazionale.
Hamad bin Khalifa Al Thani, emiro del Qatar
Recep Tayyp Erdogan, premier islamista della Turchia
Con il che arriviamo alla seconda ragione. A Gaza non vi è affatto una guerra fra Israele e palestinesi, come si vede dal fatto che Israele non sta affatto combattendo in Giudea e Samaria né contro quel 20% arabo della sua popolazione, che vive tranquillo e con tutti i diritti. Vi sono sì, sia di qua che di là della linea verde, alcuni gruppi estremisti che cercano di provocare torbidi, vi sono state manifestazioni violente, scontri ed arresti; ma in proporzioni infinitamente più basse di quel che accadde durante le ondate terroriste degli anni Novanta e del 2000-2003. Israele non sta neanche semplicemente lottando contro Hamas, non si tratta di un conflitto isolato intorno a cui regna la calma. Tutto al contrario, il Medio Oriente e il mondo arabo sono molto più agitati e sanguinosi di Israele. Durante il conflitto, giorno dopo giorno, vi sono sempre più morti in Siria che a Gaza; poco più a Nord-est, in Iraq, il “califfato islamico” detto Isis continua la sua avanzata, scontrandosi ormai con le truppe curde e distruggendo tutto quel che trova di non strettamente islamico-sunnita: le moschee sciite, i monumenti sumeri, i millenari insediamenti cristiani. Col petrolio ha i soldi, Qatar e Turchia gli forniscono le armi, chi pensava che sarebbe durato poco è stato smentito: né i bombardamenti iraniani né le truppe Hezbollah lo hanno fermato. Più a Ovest di Israele, molto più vicino all'Italia, a quattrocento chilometri da Siracusa si è appena formato un nuovo califfato islamico. Se qualcuno ancora si ostina a dare la colpa a Bush per il disastro iracheno (ma sono passati 11 anni dalla Guerra del Golfo, gli errori si sono accumulati dopo), quella della Libia è una catastrofe fabbricata da Obama con la gentile partecipazione di Sakozy e Cameron, come di Obama e della sua folle serpentina di indecisioni è la colpa della sanguinosa palude siriana.
Ali Khamenei, "Guida Suprema" dell'Iran
Israele è insomma un bastione avanzato dell'assalto che l'islamismo sta dando prima di tutto agli stati arabi e poi in prospettiva all'Europa (e magari anche alla Russia e alla Cina, i sintomi ci sono tutti). Su Israele si sperimentano non solo armi e strategie militari, ma anche schieramenti, combinazioni politiche, rapporti mutevoli di forza ( http://edition.cnn.com/2014/07/31/world/meast/israel-gaza-region/ . E' chiaro che Hamas non avrebbe avuto i mezzi di tentare un'avventura bellica se non fosse stata massicciamente armata e finanziata dagli islamisti, prima dall'Iran, con cui ha avuto una relazione movimentata, di appoggio pieno fino a tre anni fa, poi di freddo per la posizione assunta da Hamas contro Assad, poi ancora di sostegno crescente, chiarissimo durante il conflitto ( http://www.weeklystandard.com/blogs/did-iran-scuttle-ceasefire-gaza_800476.html?nopager=1 ); e dalla Turchia e dal Qatar sempre di più negli ultimi anni. La cosa strana è che Iran e Turchia-Qatar si combattono in Siria e in Iraq, ma convergono nell'appoggio a Hamas. Sono i fulcri dei due grandi assi dell'estremismo islamista, quello sciita e quello sunnita, che si scontrano per il predominio nel mondo islamico e in particolare su quella grande faglia est/ovest che passa dal Libano alla Siria all'Iraq al Golfo Persico alla penisola arabica – il confine attuale fra nemici ormai più che millenari. Ma su una cosa sono d'accordo: l'odio per l'Occidente, per la modernità, per la libertà e per il loro punto avanzato che è Israele (con in più in questo caso la terribile molla, più che millenaria anch'essa, dell'antigiudaismo musulmano).
Il paradosso diventa più grave se si tiene conto che l'America di Obama, fallito il suo approccio alla Fratellanza Musulmana per la grave sconfitta subita in Egitto, ha deciso che i suoi interlocutori più importanti nella regione sono proprio gli estremisti da una parte e dall'altra: l'Iran, con cui si ostina a cercare di stringere un patto strategico nonostante la chiara volontà del regime degli ayatollah a non rinunciare all'armamento atomico ( http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/As-I-see-it-Iran-is-the-real-threat-and-the-US-is-on-its-side-369662 ); la Turchia, benché il regime di Erdogan sia sempre più apertamente intollerante e dittatoriale; il Qatar, cui l'America ha concesso di recente una vendita di armi avanzatissime per 12 miliardi di dollari. Obama è indeciso a tutto, salvo che nel suo sostegno agli islamisti di tutte le varianti e dunque si trova, per una proprietà transitiva che in politica funziona ad essere non solo alleato degli alleati di Hamas, ma lui stesso protettore dei terroristi contro cui Israele si batte ( http://conservativetribune.com/obama-funding-hamas/ ). Naturalmente non lo può dire così apertamente, perché il Congresso e il popolo americano sono dalla parte di Israele.
Ma il contesto internazionale è quello. Da un lato c'è Hamas, appoggiato da Iran, Turchia, Qatar e dell'amministrazione americana ( http://www.gatestoneinstitute.org/4561/qatar-gaza ), con al seguito un Europa sempre più vile e segnata di nuovo, come negli anni Trenta, da forti pulsioni antisemite; dall'altro per ragioni interne fanno il tifo per Israele (ma certo non gli sono alleati) i governanti di Egitto, Giordania, Arabia Saudita e stanno dalla sua parte anche il Congresso e il popolo americano, il Canada e pochi altri. La proporzione è la stessa anche per quanto riguarda le organizzazioni internazionali e la stampa. Nel piccolo teatro di Gaza Hamas è più debole, ma sullo schieramento internazionali gli islamisti sono certamente più forti. Israele deve giocare questa partita con astuzia, non può troppo approfittare della sua prevalenza locale per scongiurare la concentrazione degli attacchi globali. Questo è il compito di Netanyahu: fronteggiare una situazione in cui il presidente degli Stati Uniti è anche il capo della coalizione dei nemici di Israele ( http://www.discoverthenetworks.org/viewSubCategory.asp?id=1521&utm_source ); ma anche dei nemici dell'America – so che è un'affermazione forte, ma ne sono convinto e credo che la storia giudicherà Obama non come un inetto ma come un nemico consapevole del suo paese. Quello del governo israeliano è un compito difficilissimo, che non risale a oggi ma al 2009 quando disgraziatamente Obama divenne presidente. Per ora è riuscito a portarlo avanti senza gravi danni. Ma ci sono ancora due anni e qualche mese fino al cambio della presidenza americana, e chissà quanti anni e decenni e secoli fino a che l'aggressione islamica alla modernità occidentale e l'odio islamico (ed europeo) per gli ebrei si sgonfino. L'orizzonte temporale su cui giudicare le scelte di oggi è lungo. Bisogna avere pazienza e saggezza, non pensare che si possano risolvere i problemi di un colpo. Non illudersi con le fanfaluche della pace, che non verrà in Medio Oriente per molto tempo ancora. Continuare a lottare e ad appoggiare quel meraviglioso miracolo che si chiama Israele.