Le lezioni di un lutto antico
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra, celebrazione di Tishà beAv presso il Muro del Tempio (Kotel)
Cari amici,
questa sera per gli ebrei inizia Tishà beAv, il 9 del mese di Av, la data più luttuosa del calendario ebraico, che ricorda la data della caduta sia del Primo 586 AEV) che del Secondo Tempio (70 EV) e secondo i maestri del Talmud anche una serie di altri eventi luttuosi come la rottura delle tavole della Legge in seguito all'episodio del vitello d'oro, “il peccato degli esploratori” che sconsigliarono il popolo ebraico dall'ingresso in Terra di Israele, ritardandone di quarant'anni il ritorno, e il tentato genocidio del libro di Ester. E' ricordato con un digiuno particolarmente severo, che comporta la privazione totale di cibo e bevande da stasera fino a domani sera, come accade nel Giorno dell'Espiazione, Yom Kippur, con la lettura del libro bibilico delle Lamentazioni (Eichà) e con riti religiosi penitenziali.
E' utile ricordarlo anche in una sede laica come Informazione Corretta non solo perché la ricorrenza coinvolge tutti gli ebrei che conservano un attaccamento alla tradizione, ma anche per il contenuto specifico di questo lutto, che è politico, oltre che teologico. Quel che si ricorda, in sostanza, sono situazioni di grave trasgressione collettiva, che misero a rischio l'identità collettiva del popolo ebraico. Non importa in questa sede discutere della storicità degli episodi e neppure della loro unificazione sotto la stessa data. Quel che conta è che la tradizione ebraica riconosce il filo rosso di una serie di comportamenti collettivi che hanno causato danni terribili, o meglio dal punto di vista religioso hanno costituito colpe tali da convincere la divinità, pur pensata come benevola, misericordiosa, particolarmente amorevole nei confronti del suo popolo, ad andare molto vicino a distruggerlo eliminando innanzitutto la propria protezione e il proprio rapporto con essa. Vi è un celebre brano del Talmud, all'inizio del trattato sui riti religiosi (Berachot) in cui si dice che Dio “ruggisce come un leone” per il dolore di essere stato costretto a distruggere il Tempio di Gerusalemme che era non tanto la sua dimora quanto il segno concreto della sua presenza in mezzo al popolo.
Bassorilievo nell'Arco Di Tito. Gli ebrei in esilio trasportano la Menorah
L'aspetto più significativo, per quel che ci riguarda qui, è che tutti o quasi questi “peccati” hanno natura politica, più che morale o teologica. E' politica la sopravvalutazione degli abitanti di Canaan fatta dagli esploratori (anche se naturalmente c'è il sottofondo teologico di una sfiducia nell'azione divina); è anche politico il peccato del vitello d'oro (che nell'interpretazione più evidente è inteso sostituire Mosè assente alla guida del popolo, non prendere il posto di Dio). Politici sono soprattutto gli errori che hanno portato alla caduta di Gerusalemme, la prima volta alla fine del regno degli eredi di Davide, la seconda dello stato ebraico. La lettura dominate dei maestri della tradizione ebraica vede questi disastri come conseguenza dell'odio civile, della mancanza di quel minimo di concordia e pace interna che garantisce l'integrità dello stato verso l'esterno.
La cultura ebraica è molto più memoriale che storica: tende a vedere sempre il presente alla luce del passato o piuttosto il passato continuarsi nel presente, dare ammonimenti, fornire modelli, illustrare pericoli; questa è la funzione esplicita di molte ricorrenze del calendario liturgico. Così accade per Pasqua, la festa della liberazione, che illustra la possibilità dell'oppressione, il prezzo da pagare per la libertà e la sua difficile conquista, così è per Hannukkah che ammonisce sul pericolo dell'assimilazione culturale e della perdita dell'identità. E così è anche per Tishà beAv, che da un lato mostra insieme a mille altri dettagli liturgici come Gerusalemme sia da trenta secoli il cuore dell'identità ebraica e che la sua perdita sia la peggiore punizione, il rischio imminente della distruzione collettiva. Dall'altro il pericolo è identificato con la discordia civile, con l'egotismo e la paura di chi pensa che i nemici siano irresistibili o abbiano una statura morale superiore, con chi pensa di poter sostituire il leader legittimo con dei simboli astratti di vita domestica e pacifica come il vitello d'oro.
Insomma c'è, anche in questa ricorrenza di guerra, materia di riflessione e di insegnamento per il popolo ebraico, c'è da trarne una consapevolezza più acuta e più chiara della necessità dell'unità, del coraggio, del rispetto delle scelte collettive, del rifiuto della viltà e della falsa ragionevolezza di coloro che continuano a spingere Israele sulla strada della resa o dell'estremismo anarchico che non fa i conti con la realtà.
Ugo Volli