Riprendiamo da SHALOM di luglio-agosto 2014, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " La disinformazione usa il fioretto e non il bazooka"
Angelo Pezzana Vanna Vannuccini
Micha Bar-Am
“Come si diffonde la disinformazione ? A chi attribuirne la responsabilità ?”, domande che ci poniamo sempre più spesso, per la quali ci sono molte risposte. I mezzi di informazione di massa più diffusi sono i maggiori responsabili, tra questi la televisione e i giornali, si può affermare senza essere smentiti che, salvo pochissime eccezioni, i giornalisti pregiudizialmente ostili a Israele sono non solo sono incoraggiati nella loro opera di propaganda, ma – ed è il caso più diffuso – non trovano ostacoli che mettano in discussione quanto scrivono. Le direzioni, anche le meno ideologicamente condizionate, lasciano passare le opinioni più smaccatamente di parte, come se la libertà di stampa e di opinione venissero messe in discussione se la direzione – o la proprietà- intervenissero. Persino di fronte alle omissioni e alle menzogne il semaforo è verde, nessuno interviene. Goebbels, che in fatto di manipolazione della verità se ne intendeva, l’aveva già previsto sin dagli albori del regime nazista, quando insegnava ai suoi sgherri a mentire, sempre, perché “una menzogna, ripetuta molte volte diventa verità”.
I disinformatori più pericolosi sono quelli usano il fioretto, non il bazooka, essendo quest’ultimo uno strumento facile da smascherare. Oggi, la disinformazione stile Igor Man la si trova solo più su qualche foglio di estrema sinistra o nei siti violentemente schierati contro Israele. Nei giornaloni, non avrebbe più spazio. Gli strumenti si sono raffinati, la menzogna, l’omissione, il pregiudizio, inseriti ad esempio in una intervista, che contiene comunque elementi di grande interesse culturale o politico, riescono a infilarsi nella mente del lettore, condizionandone il giudizio complessivo. Quasi sempre l’intervistato non ne ha alcuna responsabilità, fa attenzione a quanto dichiara, non bada a come viene formulata la domanda, perché chi la pone non è immediatamente classificabile come ostile a Israele.
Un esempio può essere utile per capire questo meccanismo. La Repubblica del 15 giugno scorso, in occasione di una mostra romana dedicata al fotografo Micha Bar-Am, tra i più celebrati in Israele e nel mondo, ha dedicato due pagine a una intervista di Vanna Vannuccini. Scontate le lodi all’artista, più che dovute e meritate. Bar-Am non c’entra nulla in quanto stiamo scrivendo, sono le parole della Vannuccini che vogliamo esaminare.
Ecco qualche frase a contorno delle immagini, cito dal pezzo:
1) Gerusalemme 1978, giorno dell’Indipendenza. Un prato, tovaglie da pic-nic stese sull’erba.. in primo piano un uomo in maniche di camicia che cuoce carne sul barbecue. Un’immagine serena. Se non fosse per la pistola dentro la fondina che sta lì da una parte, quasi ai margini della fotografia. L’uomo al barbecue sicuramente in questo momento non ci pensa, ma sa che è lì, funzionante, se ne avesse bisogno.
2) Un’altra foto viene da Suez, 1973, non c’è bisogno di conoscere la data né di sapere chi siano quei soldati arabi bendati e in catene, ammassati in una trincea, per sentirne compassione. Alcuni sono girati di spalle, piegati su se stessi, per il dolore delle ferite forse, o per nascondere l’umiliazione di essere lì. Vicino ci sono soldati israeliani rilassati e indifferenti che si godono il trionfo…. Le ombre dei militari israeliani si allungano sulla trincea.. qualcosa ci fa sentire che anche quei soldati sono perduti.
3) Micha Bar-Am… per 60 anni ha accompagnato con la sua camera le speranze, i dolori del suo paese…. Le sue foto narrano delle storie… per parecchio tempo ha fotografao la vita miserabile delle famiglie di un villaggio arabo, un suo privato contributo alla pace.
4) Visivamente, il cambiamento che colpisce di più è quel muro, che per gli israeliani è un baluardo contro il terrorismo ma per i palestinesi un mostro che rende la vita impossibile.
5) Un cambiamento altrettanto vistoso che mi ha colpito visitando Israele, gli dico, è la decisione collettiva degli israeliani di non vedere, di non guardare, di non avere nulla a che fare con quello che succede in Palestina… come fotografo, questa cecità deliberata la percepisce ?
6) Una delle sue foto famose è quella di Eichmann nella sua gabbia di vetro…. Non le sembra che oggi l’Olocausto venga usato dai politici spesso per alimentare la paura ?
Ho scelto alcune frasi che la giornalista ha abilmente inserito nel pezzo, non in modo rozzo, ma insinuante, si comincia con l’israeliano sempre armato, anche mentre cucina durante un pic-nic. Ci sono poi i soldati egiziani catturati dopo che Israele è riuscita a vincere una guerra che aveva come obiettivo la distruzione del paese e la cacciata in mare di tutti gli ebrei, ma Vannuccini è colpita dalla condizione dei soldati sconfitti, ne sottolinea l’umiliazione, si guarda bene dal ricordare che appartenevano a un esercito invasore e che- se avesse vinto – non ci sarebbe più stato un Israele da visitare. Bar-Am viene anche raffigurato come un pacifista per aver fotografato poveri arabi in anni in cui la miseria era comune non solo fra gli arabi. Eppure le sue dichiarazioni su Israele e il Medio Oriente, che non potevano certo essere manipolate, rivelano quanto Bar-Am sia molto equilibrato nei suoi giudizi. Poteva mancare il muro ? Vannuccini lo chiama mostro, in modo che rimanga bene impresso nella mente dei lettori. C’è poi l’attacco all’intero popolo di Israele, che non vede quanto succede , è cieco, gira la testa dall’altra parte, una immagine che ricorda l’abbandono degli ebrei in una Europa che, essa sì, non voleva vedere quel che stava succedendo. Vannuccini la chiama addirittura ‘cecità deliberata’. Per finire l’attacco alla Shoah, riprendendo – senza renderlo chiaramente evidente - l’uso della Shoah che verrebbe fatto da non meglio identificati ‘politici’ per ‘alimentare la paura’. Come se un Iran che minaccia di cancellare Israele dalle carte geografiche potesse mai alimentare altro.
L’articolo della Vannuccini dovrebbe essere letto e discusso nei vari corsi di giornalismo, quale esempio di come funziona la disinformazione in Italia, con le scuse a Micha Bar-Am per essere finito intrappolato in un pezzo che sì ne elogia l’opera, ma che non rende un buon servizio né all’artista né alla correttezza dell’informazione.
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