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Libero Rassegna Stampa
03.08.2014 Dalla Libia il califfato minaccia l'Italia
Analisi di Souad Sbai, Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 03 agosto 2014
Pagina: 15
Autore: Souad Sbai - Carlo Panella
Titolo: «Bengasi è il ponte dell’Isis per colpire Roma»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 03/08/2014, a pag. 15, l'articolo di Souad Sbai dal titolo " Bengasi è il ponte dell’Isis per colpire Roma" e, a pag. 16, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Da Gaza alla minaccia libica. Il futuro dipende dall'Egitto "


Al Baghdadi

Di seguito, l'articolo di Souad Sbai:


Souad Sbai

Con la Libia è stato raggiunto il vero capolavoro, tanto perfetto nella sua follia da ottenere il risultato peggiore nel Paese che più di tutti aveva le risorse per poter prendere il volo dopo la caduta del dittatore; la storia, si sa, non ha bisogno di segnali per trovare la strada giusta e anche stavolta lo farà senza problemi. Oggi, dopo la conquista da parte dei miliziani jihadisti di quella Bengasi che vide il massacro del console americano Chris Stevens, il tempo ci ha restituito intere e senza sbavature le responsabilità di un disastro politico e strategico, che pesa inesorabilmente sulle spalle di Nicolas Sarkozy, di Barack Obama e di David Cameron. Che issarono per primi la bandiera della fasulla, quanto nefasta, liberazione di Tripoli dal tiranno. Che inviarono i propri caccia sulla Libia, a bombardare tutto e tutti indistintamente, ancora prima che l'Onu desse il via libera alla risoluzione - farsa che legittimò un'operazione rivelatasi poi, in tutto e per tutto, un'aggressione. Ansar Al Sharia non aspettava altro che questo, la caduta di Muammar Gheddafi, condita da una orrenda e ingiustificabile eliminazione fisica mostrata in mondovisione; e mise a disposizione la sua manovalanza migliore, assoldata per il massacro del raìs. File di mercenari provenienti dall'estero e addestrati alla guerriglia, senza progetto politico, proprio come in Siria dove è fallita. Quei miliziani che tornarono utili nell'eliminare l’amico “generoso” ad un tratto divenuto troppo scomodo, oggi proclamano l'emirato islamico in Libia. Mettendo in fuga le truppe fedeli al generale Haftar, che non più di tre mesi fa aveva giurato di «disinfestare» la Libia dai terroristi e dagli estremisti. Nel mezzo un Paese devastato, nel quale il caos ha fatto scappare gli imprenditori che si erano avvicinati per la sua ricostruzione, un governo e un Parlamento sostanzialmente esautorati dopo aver tentato di realizzare una Libia autonoma, cosa che l'Occidente non ama quando va a negoziare. Un esercito inesistente e una popolazione terrorizzata. E frontiere, terrestri e marittime, ridotte a un colabrodo, come testimoniano i barconi che si arenano ogni giorno sulle nostre coste e nei quali non sappiamo chi si possa infiltrare fra i miliziani tornati dalla Siria. L'aeroporto di Tripoli raso al suolo e i depositi di armi sequestrate a Gheddafi pericolosamente lasciati al loro destino. Con aerei e armi che potrebbero essere tranquillamente usati verso l'Italia, a due passi dalla costa libica. Dall'Onu, dall'Unione Europea e dal Nordafrica sotto choc, silenzio di tomba. Mentre nasce, in meno di due mesi, il secondo emirato fondamentalista, dopo il califfato di Al Baghdadi in Iraq e parte della Siria. Il disastro libico rischia di avere conseguenze globali incalcolabili, perché la Libia è un Paese rivierasco con l'Europa e le sue risorse energetiche e monetarie sono praticamente illimitate. I leader d'Occidente e le monarchie del Golfo hanno implicitamente armato il jihadismo internazionale, rifornendolo indirettamente di denaro, armi e petrolio. Dall’Iraq alla Libia, il movimento terrorista detiene una quantità enorme di petrolio, capace di aumentare pesantemente il suo potere contrattuale nei confronti dei Paesi importatori. Il radicalismo jihadista accresce di ora in ora la sua forza, si espande e se l'avanzata in Libia sarà pari, in rapidità ed efficacia a quella in Iraq, a breve anche Tripoli rischia di cadere nelle mani dei miliziani. Rimane il timore per la nostra ambasciata, per motivi ancora sconosciuti unica rimasta aperta e operativa in Libia dopo la decisione di tutte le rappresentanze presenti di chiudere. In un clima che si fa di ora in ora più incandescente e pericoloso per chiunque rimanga sul suolo libico e rischia di divenire obiettivo di sequestri o attentati. Nell'attesa che il governo dia qualche segno di vita concreto, magari iniziando ad ordinare il rientro immediato dell'intera rappresentanza diplomatica. I qaedisti libici guardano con grande attenzione a Mosul, in ordine alla creazione di una cintura di fuoco fra Medioriente e Nordafrica, magari lanciando davvero l'ultimo sguardo, come Al Baghdadi ha più volte detto, verso Roma.

Di seguito, l'articolo di Carlo Panella:


Carlo Panella


Matteo Renzi ha finalmente assunto una posizione marcata sulla crisi di Gaza e si è svincolato dalle eccessive prudenze delle posizioni espressa da Federica Mogherini. Con la sua scelta di volare al Cairo per un vertice col presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, il premier ha indicato con nettezza che l'Italia assegna all'Egitto - che considera. Hamas una organizzazione terroristica e che la combatte - un ruolo fondamentale. Un Egitto - si noti-  che condivide in pieno la posizione di Israele - di cui è oggi un quasi-alleato - di arrivare ad una smilitarizzazione reale di Gaza, elemento sempre presente nelle proposte di mediazione del Cairo. Con questo Renzi ha voluto marcare - e ha fatto benissimo - una certa distanza da J. F. Kerry che sbanda disordinatamente alla ricerca di una mediazione con la Turchia e il Qatar. Due paesi avversari acerrimi dell'Egitto che armano e proteggono Hamas.
DISARMARE HAMAS Eccellente dunque la prima uscita internazionale di Renzi in una crisi, tanto più che la scelta di indicare la centralità dell'Egitto dà uno scossone a un Europa in preda alle solite confusioni. Nessuna ambiguità nelle parole di Renzi: «Per risolvere la crisi di Gaza la leadership egiziana è cruciale e la proposta del Cairo è l’unica possibilità per uscire dalla crisi; per fermare le emorragie di sangue, se non c’è un ruolo forte dell’Egitto non c’è spazio per la discussione. Per questo la mia presenza qui è di chi riconosce alla leadership egiziana un ruolo cruciale per la stabilità dell’area e il futuro delle nuove generazioni». Parole accolte con soddisfazione da un al Sisi, che vede oggi crescere il suo ruolo dopo che la diplomazia Usa è di nuovo andata a sbattere contro un muro. J. F. Kerry infatti aveva incaricato di definire una nuova tregua a Gaza il suo braccio destro Jeffrey Feltman, grande sostenitore del ruolo del Qatar e della Turchia, considerato da Israele troppo vicino ad Hamas. Ma la tregua di Feltman s'è rivelata solo una trappola che ha permesso ad Hamas di organizzare 90 minuti dopo il suo inizio il rapimento del militare israeliano Hadar Goldin. Uno smacco che ha costretto persino  il segretario dell'ONU Ban Ki Moon e Obama a prendere atto dell'inaffidabilità assoluta sia di Hamas che dei suoi padrini turchi e qatarioti. Naturalmente, anche Matteo Renzi ha chiesto dal Cairo la liberazione immediata di Hadar Goldin.
TEMA SCOTTANTE  Nella seconda parte dell’incontro Renzi ha affrontato con Al Sisi la crisi  della Libia, che ritiene «il più scottante tema sul tappeto per l'Italia». Il caos in cui versa il Paese, dopo la espulsione da Bengasi delle milizie "laiche" e appoggiate dall'Egitto, del generale Khalifa al Haftar, la conseguente proclamazione dell'Emirato islamico in Cirenaica da parte dei terroristi di Ansar al Sharia e il prevalere nella battaglia di Tripoli delle milizie di Misurata, legate ai Fratelli Musulmani, incrementano due gravi minacce per il nostro paese. È infatti certo che ora aumenterà  il flusso di immigrati dalle spiagge della Cirenaica, nelle quali Ansar al Sharia lucrerà lauti guadagni dagli scafisti (cui potrà affidare terroristi per azioni in Italia e Europa). È poi ancora più sicuro che i rifornimenti dell'Eni di petrolio dai terminali di Mellitah e di metano da Green Stream saranno ora  sottoposti a ricatti, minacce, esazioni da parte di Ansar al Sharia  (come. è già accaduto).  L’ALLEANZA ATLANTICA  Anche su questo scenario Renzi ha marcato la convinzione che l'Egitto debba giocare un ruolo fondamentale: «Per la Libia ci vuole ci vuole un intervento forte. L’Italia  porrà il problema alla Nato in occasione del prossimo vertice del 4-5 settembre ed è indispensabile che l’Onu mandi un inviato speciale».  È  certo che  Renzi si sia informato riservatamente sulla reale situazione in Libia da un Al Sisi che è sponsor dello sconfitto generale Khalifa al Thani e che teme che Ansar al Sharia, con tutti gli armamenti che ha rubato ad al Haftar (inclusi carri armati e autoblindo)  renda la frontiera tra Egitto e Libia un colabrodo che permetta a Fratelli Musulmani e jihadisti di penetrare in Egitto. Il solo, drammatico, problema è che la strada indicata da Renzi è senza sbocco.
GIOCO SPORCO La Nato non è in grado di effettuare un Intervento militare efficace in Libia che necessità di un centinaio di migliaio di militari. Perderà solo tempo. Quindi, o Renzi deciderà di “giocare sporco” appoggiando una dura risposta militare egiziana (con copertura Nato, naturalmente) a Ansar al Sharia e alle milizie di Misurata con lo stile di Sarkozy (servizi segreti e commandos) oppure l'Italia subirà dalla Libia spaventosi contraccolpi.

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