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La Stampa Rassegna Stampa
03.08.2014 Ritiro unilaterale di Israele, ma prosegue la distruzione dei tunnel
Cronache e commenti di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 03 agosto 2014
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Israele ritira le truppe. 'Ma distruggeremo tutti i tunnel di Hamas' - E intanto l'Egitto tratta la tregua con i palestinesi - A Erez tra tank e missili. Così si attraversa il confine più bombardato del mondo»
Riprendiamo, dalla STAMPA di oggi, 03/08/2014, a  pag. 2, gli articoli Maurizio Molinari intitolati " Israele ritira le truppe. 'Ma distruggeremo tutti i tunnel di Hamas' " e " E intanto l'Egitto tratta la tregua con i palestinesi " . Da pagg. 1-3, sempre di Maurizio Molinari, l'articolo dal titolo " A Erez tra tank e missili. Così si attraversa il confine più bombardato del mondo ".

Di seguito, gli articoli:



LA STAMPA - Maurizio Molinari: " 
Israele ritira le truppe. 'Ma distruggeremo tutti i tunnel di Hamas' "


Maurizio Molinari

Israele declina l’invito egiziano a trattare un nuovo cessate il fuoco, inizia a ritirare le truppe da Gaza, preannuncia il completamento della distruzione dei «tunnel del terrore» e assicura che
l’operazione in corso contro Hamas «continuerà a tutta forza»: la scelta del premier Benjamin Netanyahu è agire in maniera unilaterale per «ripristinare la calma nel Sud», rinunciando a cercare intese con il nemico. La svolta nella posizione di Gerusalemme matura dopo il blitz con cui Hamas, nella giornata di venerdì, ha catturato il sottotenente Hadar Goldin sfruttando a proprio favore la tregua proclamata da Onu-Usa. Hamas nega di avere Goldin e afferma che «probabilmente è morto sotto i bombardamenti assieme alla nostra unità che lo ha catturato a Rafah» ma per Israele ciò che conta è l’inaffidabilità dell’avversario. Il ministro per l’Intelligence Yuval Steinitz comunica la prima mossa: «Non mandiamo una delegazione al Cairo a trattare la tregua perché Hamas ha già violato cinque cessate il fuoco, non sono interessati a raggiungere accordi e dunque noi procederemo unilateralmente». Sono parole che coincidono con l’annuncio delle forze armate ai cittadini di Bayt Lahiya: «Potete tornare nelle vostre case». I tank israeliani si ritirano da Bayt Lahiya e Beit Hanoun - due delle aree teatro dei maggiori combattimenti - ripiegando su posizioni a poche centinaia di metri dal confine. Altri reparti vengono riposizionati all’interno di Israele. I portavoce militari spiegano cosa sta avvenendo: «Entro 24 ore avremo distrutto tutti i tunnel offensivi di Hamas» creati per infiltrarsi dentro Israele. Era l’obiettivo più importante di «Protective Edge» e dunque le truppe di terra possono uscire dai centri abitati di Gaza. «Ma continuiamo a considerare ogni terrorista un obiettivo» dice il ministro della Giustizia, Tzipi Livni, facendo capire che l’operazione militare continua. Alle 21 è il premier, Benjamin Netanyahu, che parla alla nazione, con a fianco il ministro della Difea, Moshe Yaalon. «Stiamo completando la distruzione dei tunnel e ci ridislocheremo una volta terminata l’opera» dice il premier, sottolineando che «l’operazione iniziata continua a tutta forza» e «non ci fermeremo fino a quando la calma nel Sud non sarà ripristinata in maniera duratura». Ciò significa che il conflitto contro Hamas continua ma con uno scenario tattico diverso: le truppe si posizionano a ridosso della frontiera per impedire lanci di razzi e mortai contro le comunità del Negev, e la sfida ad Hamas viene lasciata alla combinazione fra aerei, droni e forze speciali. «Protective Edge» entra così in una nuova fase, la caccia aperta ai leader di Hamas nascosti sottoterra. Ovvero, i tunnel difensivi. Netanyahu è convinto che il nemico è alle corde: «Ha subito duri colpi, hanno perso centinaia di uomini». Una valutazione dell’intelligence indica il totale delle perdite di Hamas «nel 47 per cento dei morti palestinesi», quasi 700 uomini. Netanyahu accusa il Qatar di «finanziare Hamas», ringrazia gli Usa «dello straordinario sostegno» e cita l’Ue fra chi «sostiene la nostra difesa». Parla anche della ricostruzione di Gaza: «Possibile solo col disarmo di Hamas». Ma ha un grattacapo: la famiglia di Goldin gli chiede di «non ritirarci senza trovare Hadar». «Faremo di tutto per riuscire» promette il premier. La reazione di Hamas è irridente: «Netanyahu rivendica una vittoria falsa, continuiamo a combattere»

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " E intanto l'Egitto tratta la tregua con i palestinesi  "


Al Sissi e Renzi

Una delegazione inter-palestinese è giunta al Cairo per concordare un’intesa sul cessate il fuoco sulla base del piano egiziano avallato dal presidente Al Sisi. A guidare la delegazione è Azzam El Ahmad, veterano dell’Olp e di Al Fatah, e i suoi membri includono rappresentanti di Hamas e della Jihad islamica residenti in Libano. È previsto per oggi l’arrivo anche di rappresentanti di Hamas e Jihad islamica provenienti da Gaza attraverso il valico di Rafah. L’intento dell’Egitto è far accettare a questa composita delegazione il piano che prevede l’immediata cessazione delle ostilità - rimandando a un secondo momento la trattativa sulle richieste di Hamas sulla fine del blocco alla Striscia - al fine strategico di trasformare l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen nell’interlocutore della comunità internazionale su sicurezza e ricostruzione di Gaza. Azzam El Ahmad infatti è fra i più stretti collaboratori di Abu Mazen e l’Egitto, secondo fonti diplomatiche arabe, si propone di giocare la carta più importante per aprire la strada di Gaza all’Autorità palestinese: impegnandosi a riaprire il valico di Rafah se sul lato opposto del confine ci saranno le forze di Ramallah e non quelle di Hamas. «La proposta egiziana è l’unica reale possibilità di trovare una soluzione alla crisi di Gaza ed alla fine del bagno di sangue» ha detto ieri Al Sisi ricevendo al Cairo il premier italiano Matteo Renzi. «Abbiamo tempo limitato e dobbiamo sfruttarlo al meglio per porre termine ai massacri» ha aggiunto Al Sisi. L’intento del Cairo è fare leva sul conflitto in atto a Gaza per spingere Hamas e Jihad islamica ad affidare ad Abu Mazen la gestione della sicurezza dei confini della Striscia, anche in base al recente accordo per un governo di unità nazionale che Al Fatah ha siglato con Hamas. Dietro l’iniziativa egiziana c’è l’Arabia Saudita, il cui sovrano Abdallah ha promesso 500 milioni di dollari di aiuti ad Abu Mazen per la ricostruzione di Gaza, facendo capire di voler in questa maniera contribuire al ripristino dell’Autorità palestinese nella Striscia, da dove fu espulsa nel 2007 per il colpo di mano militare di Hamas. Il premier italiano ha espresso pieno sostegno per l’iniziativa egiziana, spiegando che «è cruciale per la stabilità della regione ed è l’unica sul tavolo» al fine di porre fine al conflitto in corso e riportare il Medio Oriente sul binario del negoziato in favore della «soluzione dei due Stati». Al tempo stesso Renzi ha lanciato un appello per l’«immediata liberazione del soldato rapito da Hamas». Renzi, primo leader europeo ad arrivare al Cairo dopo l’elezione di Al Sisi, ha discusso anche dell’emergenza sicurezza in Libia, suggerendo all’Onu di «mandarvi subito un inviato speciale».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " A Erez tra tank e missili. Così si attraversa il confine più bombardato del mondo "


Il valico di Erez


Raccontare la guerra di Gaza significa attraversare Erez, il posto di frontiera più blindato e bombardato del Medio Oriente attraverso il quale passa chiunque viva a cavallo fra Israele e Gaza. Di qui passano operatori internazionali, reporter, volontari delle ong e civili in fuga. Erez è zona di guerra e chiunque vuole superarlo, venendo da Israele, fa anticamera all’incrocio di Yad Mordechai, dal nome del vicino kibbutz intitolato a Moderchai Anielewicz l’eroe della rivolta del Ghetto di Varsavia contro i nazisti, che fu teatro di una delle più cruente battaglie della guerra d’indipendenza del 1948. È un incrocio che evoca la Berlino Ovest del 1945: è popolato da soldati israeliani che dalle vicine basi vengono a rifocillarsi al caffè «Joe», dove incontrano amici e fidanzate - o fidanzati - oppure parcheggiano jeep e blindati in attesa di ordini. «Joe» è anche il punto di incontro dei reporter diretti a Gaza, che a volte vi ricevono i briefing di Peter Lerner, portavoce militare. È fra questi tavoli che si incontra il capitano Nir, un ufficiale della riserva poliglotta, esperto di Africa, che Ariel Sharon volle con sé quando andò a conoscere Mobutu nell’allora Zaire. Il capitano Nir è il custode delle liste dei giornalisti che vanno e vengono da Gaza. La compilazione è frutto di un fitto scambio di email fra chi presenta richiesta, la «Foreign Press Association» di Tel Aviv e la sicurezza di Erez. Proprio da Erez arriva per email il via libera al passaggio ed è la stessa email che avverte Nir su chi può passare. L’incontro con il capitano è informale, davanti ad un cappuccino o durante un «Zeva Adom» - l’allarme per l’arrivo di razzi, assai frequente - ed è poi lui che dà appuntamento alle auto dei reporter davanti al kibbutz Yad Mordechai, dove il check-point volante di Tzahal dà luce verde all’avvicinamento a Erez. A gestirlo è la polizia militare che chiede i documenti, controlla la lista e si limita a dire «You can go» o «Kadima», avanti. Da quel momento si entra nell’ultimo tratto dell’autostrada 4 in territorio israeliano. Sulla sinistra ci sono i campi arati di Yad Mordechai e più in là, dietro gli eucaliptus, i blindati dei genieri incaricati di smantellare i tunnel di Hamas. Sulla destra invece le case di Zikim, il kibbutz che Hamas ha assaltato dal mare. In cielo il pallone aerostatico dell’intelligence e il ronzio dei droni accompagnano fino all’insegna bianca «Erez Crossing». Si gira a sinistra, e nel parcheggio dove in tempo di pace sostano i taxi adesso c’è l’ospedale militare creato da Tzahal per i civili palestinesi. È deserto perché Hamas non consente di arrivarci, ma i militari sono comunque indaffarati per il continuo passaggio di tank, blindati e altri mezzi. Sull’altro lato del confine Bayt Lahia e Beit Hanoun sono roccaforti di Hamas e dunque le retrovie israeliane coincidono con il fronte. Parcheggiare l’auto fra i blindati e mettersi il giubbotto antiproiettile è quasi un unico movimento per i reporter stranieri - agli israeliani è vietato entrare nei Territori - e da questo momento si è nel terminal che Israele ha ristrutturato dopo il ritiro dalla Striscia nel 2005. Assomiglia a un aeroporto internazionale e il passaggio avviene attraverso un controllo passaporti in piena regola. Superati i controlli si accede, attraverso porticine in metallo, tornelli e corridoi stretti ad una massiccia porta blindata, superata la quale ci si trova nella terra di nessuno. Davanti c’è un canale di metallo, reti e lamiera lungo circa 1,5 km da percorrere a piedi. In tempo di tregua significa essere osservati da entrambi i lati del confine, passo per passo. Con l’unico svago di imbattersi in qualche cammello al pascolo. Ma i combattimenti hanno trasformato questo percorso in un battesimo del fuoco. Hamas lancia razzi, gli israeliani rispondono a cannonate, le esplosioni possono essere ravvicinate. Ciò significa che nell’ultimo tratto del «budello di metallo» - come alcuni lo chiamano - si corre, con l’elmetto in testa. A volte Tzahal crea dei corridoi di silenzio nei combattimenti, al momento del passaggio dei reporter, ma non sempre funziona: la scorsa settimana Hamas ha violato il cessate il fuoco mentre i giornalisti stavano per entrare nella terra di nessuno. Fino all’8 luglio il passaggio era frequentato da operatori Onu, diplomatici stranieri e volontari delle ong ma dopo l’uscita in massa degli stranieri, nella terza settimana di luglio, i reporter sono rimasti gli ultimi a frequentare Erez. Anche perché i pochi civili palestinesi che escono, in genere grazie a permessi israeliani ad personam, spesso per ragioni mediche, sono scomparsi assieme alle loro montagne di valige. Arrivati sul lato opposto del confine, la frontiera dell’Autorità palestinese è deserta. I doganieri di Abu Mazen hanno lasciato il posto ad alcuni tassisti che, anche sotto le bombe, negoziano sul prezzo della corsa per Gaza. A circa 800 metri di distanza il confine gestito da Hamas è in macerie: gli israeliani lo hanno raso al suolo perché temevano celasse razzi. All’indomani del blitz i doganieri di Hamas si sono spostati sotto un vicino albero per controllare chi transitava ma anche questo confine volante è svanito. La scomparsa di Hamas dal confine ha consentito ai tank israeliani di posizionarsi nella terra di nessuno e a Tzahal di creare qualcosa che ben descrive l’imprevedibilità del Medio Oriente: un servizio shuttle palestinese per trasportare da Erez e Gaza, andata e ritorno, reporter e personale del terminal. A gestirlo è una società palestinese, a cui Tzahal garantisce il «salvo passaggio» del bus bianco che arriva fino al centro di Gaza, depositando i passeggeri in hotel non troppo distanti dalla cittadella di Hamas a Sheick Radwan. Il tutto al costo di 100 Shekel (21 euro) a persona, incassati dall’autista. L’anomalo bus ha in bella vista kefiah e sciarpe nazionaliste palestinesi, mentre sul cruscotto espone un permesso del ministero dei Trasporti israeliano che lo «autorizza a circolare a Gaza». Ciò lo trasforma in una sorta di confine itinerante fra Israele e Hamas, fino alla soglia dell’hotel Deira, ultima fermata della corsa. Per chi torna indietro il percorso è lo stesso - inclusi i combattimenti intensi - ma il terminal di Erez è tutt’altra cosa perché attraversarlo in senso opposto significa imbattersi in un sistema di sicurezza fra i più rigidi del Pianeta. Percorrendo al contrario il «budello di metallo» ci si trova davanti ad un muro di cemento. Le quattro porte si aprono solo quando la sorveglianza elettronica ha identificato chi ha davanti e da quel momento in poi si imbocca un cammino ad ostacoli fra metal detector, porte blindate e tornelli, governato da altoparlanti con le voci di addetti alla sicurezza che non si palesano. A meno che non ci sia qualche sospetto e il malcapitato finisca in una sala piccola, con un pavimento oscillante, dove viene ispezionato senza complimenti. A governare il percorso è l’esigenza della massima sicurezza a fronte del rischio di attacchi kamikaze - avvenuti in passato - ma per gli stranieri significa immergersi negli aspetti più aspri del conflitto. Da qui le reazioni più imprevedibili: da alcuni anchorman Usa che tentano, senza successo, di tagliare la fila alle Iene argentine di «Caiga Quien Caiga» che decidono di scaricare la tensione girando, seduta stante, una puntata su Erez.

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