Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 30/07/2014, a pag. 15, l'intervista di Andrea Tarquini ad Elie Wiesel, dal titolo "Netanyahu faccia come Rabin. Si deve trattare per i due Stati" e l'intervista di Anna Lombardi a Maria Elena Klugmann, dal titolo "Io ebrea in piazza con la stella di Davide".
Maria Elena Klugmann si chiede se sia lecito criticare Israele. Certo che è lecito, e molti usufruiscono di questo diritto. Peccato che invece. i nemici di Israele fucilino chi non la pensa come loro e ha la ventura di vivere a Gaza. Come la mettiamo ?
Di seguito, gli articoli
LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: "Netanyahu faccia come Rabin. Si deve trattare per i due Stati "

Elie Wiesel
L’ANTISEMITISMO è sempre legato a tutto ciò che è odio e male. In Medio Oriente Israele è minacciato dal terrorismo, ma conosco gli israeliani: vogliono la pace, non solo la sicurezza. Lo sapeva e voleva il grande Yitzhak Rabin. Credo, spero, lo sappia anche Benjamin Netanyahu. Occorre, Rabin lo fece, cercare interlocutori moderati tra i palestinesi. Andare in nome dei due popoli, anche se non so come, all’inevitabile soluzione dei due Stati». È la riflessione di Elie Wiesel, Nobel per la pace sopravvissuto ad Auschwitz, sempre in contatto con i Grandi, lui Voce della Memoria.
Professor Wiesel, in Medio Oriente si combatte, in Europa risorge l’antisemitismo.
Quanto è pericoloso?
«L’antisemitismo è legato al Male e all’odio. Gli antisemiti mi odiano senza avermi mai conosciuto, sapendo magari che non m’incontreranno mai. È il fenomeno più assurdo mai esistito nelle relazioni umane. Esiste da oltre duemila anni, a volte è più violento che in altre epoche. Vederlo rivivere oggi, è agghiacciante e disgustoso. Perché l’Olocausto non è stato solo un risultato dell’antisemitismo, ma certo senza l’antisemitismo non ci sarebbe stato. Per quanto sia difficile il momento attuale, bisogna sempre porre chiunque si dichiari antisemita davanti alla Memoria ».
In Europa molte persone scendono in piazza contro le operazioni militari israeliane, e dalla solidarietà coi palestinesi emergono anche slogan antisemiti… «Non vivo in Europa, mi è difficile commentare l’attualità da voi. Eppure, respingo ogni fenomeno di odio. Attenzione: è ben lecito, politicamente, eccome, essere e schierarsi contro alcune scelte e azioni di Israele. E contro molte cose che Israele dice. Per carità, deve sempre essere lecito. Ma senza odio. Sfortunatamente, oggi le critiche spesso si mescolano con l’odio».
Dov’è o dove dovrebbe essere la linea rossa di confine tra critica e odio?
«Alcuni grandi europei in passato hanno detto che in ore tragiche è essenziale saper parlare in modo critico e insieme favorevole a Israele. Criticare Israele è una cosa, a volte una necessità. Odiarlo è ben altro, e non è un’opzione».
Non teme che i tragici sviluppi militari a Gaza globalizzino l’antisemitismo?
«Io vivo qui a New York, sono ben più lontano dal Medio Oriente rispetto a voi europei. Però, insisto, rigetto l’antisemitismo in quanto è solo espressione di odio. Credo nell’educazione delle opinioni pubbliche alla pace».
Ma Israele sembra scegliere solo l’opzione militare. È senza alternative, o dovrebbero sforzarsi di cercare a lungo termine una soluzione negoziata?
«Conosco bene Israele: da quando fu fondato ci vado almeno una volta l’anno. E posso dirle con la mia esperienza una cosa precisa: gli israeliani, il popolo israeliano, vogliono la pace. Non ho dubbi, non mento. Se non lo ammettono o non riescono ad arrivare la pace, è un problema. Ma non è facile: sono attorniati da tanti paesi, alcuni violentemente ostili. Eppure parlo con gli israeliani ogni giorno. Sanno che la pace non è facile, ma necessaria».
Non le sembra che Israele e il resto del Medio Oriente sia cambiato dai tempi di Rabin, o della pace tra Sadat e Begin?
Che dalle due parti si punti solo a soluzioni militari?
«Piano col pessimismo. Sono certo che nella comunità palestinese ci siano esponenti che vogliono la pace, e anche tra gli israeliani. Non esistono solo radicali contrapposti. E ci sono stati anche tempi senza guerre tra i due».
Non è una specie di “overreaction”, quella israeliana?
«Non pensa che Israele debba difendersi? Il terrorismo è terrorismo».
Sarà una guerra lunga, quella in corso?
«Spero di no, spero che israeliani e palestinesi capiscano che la guerra non è una soluzione e la violenza non è una risposta, e si decidano a sedersi al tavolo della trattativa. Chi è intelligente capisce che non c’è alternativa, in nome del destino dei propri popoli».
Yitzhak Rabin disse «la pace si negozia coi nemici, non con gli amici». S’immagina il premier Netanyahu e i leader di Hamas al tavolo della pace? O veramente i tempi sono troppo cambiati?
«Non è più la stessa cosa. Rabin fu un grandissimo premier. Lo conoscevo bene, divenimmo grandi amici: voleva la pace, fin da quando fu generale al fronte ed eroe di guerra. Adesso abbiamo Bibi Netanyahu: io credo, spero, che voglia la pace, a modo suo. Netanyahu sa, da leader, che la soluzione per Israele deve essere la pace».
I vertici militari israeliani temono una guerra lunga due anni. E lei?
«Può durare due anni, due mesi, o poco come fu la guerra dei sei giorni, chi può dirlo? Però dopo le guerre del ’67 e del ’73 scoppiò la pace tra Israele e alcuni vicini. I miracoli umani sono possibili. Accettando l’inevitabilità della soluzione dei due Stati coesistenti. Non so che volto avrà, ma prima o poi verrà, una realtà con i due Stati ».
Teme che gruppi fondamentalisti come l’Isis possano sedurre la popolazione palestinese?
«Il pericolo esiste. Gli estremisti non hanno solo sete di violenza e potere: esercitano un potere d’attrazione, occorre prendere bene in considerazione questa realtà».
LA REPUBBLICA - Anna Lombardi: " Io ebrea in piazza con la stella di Davide"

Esecuzione di presunto collaboratore di Israele a Gaza
«SONO pacifista. Voglio scendere in piazza per protestare contro questa guerra orribile. Sono anche ebrea: e non voglio nasconderlo. Ma oggi è possibile manifestare con la bandiera della pace e i simboli dei due popoli, la kefiah palestinese e la stella di David?». Maria Elena Klugmann, 62 anni, è un’ex maestra elementare che ieri ha chiamato un programma di Radio3, Prima pagina, e posto una domanda difficile: «Si può criticare Israele senza essere antisemiti?».
Cosa l’ha spinta?
«Ascoltavo le notizie: il rifiuto della tregua, le bombe israeliane sui bambini. Mi sono sentita rivoltare. Ho chiamato la radio per dire che vorrei partecipare a una manifestazione che si terrà sabato nella mia città, Pordenone, in sostegno della gente di Gaza. Solo che vorrei farlo non solo come cittadina italiana: ma come ebrea. Senza nascondere la mia identità».
Perché dovrebbe nascondersi?
«Perché tutte le manifestazioni in sostegno dei palestinesi in Europa stanno prendendo una piega antisemita. Come se tutti gli ebrei fossero d’accordo con la politica israeliana. Io non la condivido, voglio criticarla. Manifestando però per entrambe i popoli, ostaggi di politiche radicali scellerate» Ha paura di scendere in piazza con la stella di David?
«Temo che possa essere scambiata per provocazione» Lo è?
«No, affatto: sono convinta che dobbiamo manifestare insieme. Uscire dalla bolla di cui ha parlato David Grossman a Repubblica, dove ciascuno pensa di avere la verità. Sento l’angoscia di questa situazione e il dovere, come ebrea, di non nascondermi. Lo abbiamo fatto fin troppo».
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