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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Le prove di una terza intifada ? 26/07/2014

La prova di una terza intifada ?
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana

A destra, scontri al check point di Qalandia






      
Abu Mazen                                  


Qassam Barghouti

La cronaca di Maurizio Molinari sulla cosiddetta ‘marcia su Gerusalemme’ viene riportata in altra pagina di IC, ma ritengo importante pubblicarla anche nella ‘lettera’ di oggi, dopo alcune riflessioni.
1. Come si vede dalla cronaca, la marcia è stata organizzata con il consenso di Abu Mazen, il quale, ipocritamente, ha preferito non apparirne alla testa.  I partecipanti appartenevano a tutte le sigle politiche che operano in Giudea e Samaria, compresi i territori dell’Anp. A guidarla il figlio di quel Marwan Barghouti, che sconta alcuni ergastoli in una prigione israeliana in quanto responsabile della uccisione di alcune centinaia di civili israeliani.
2. Come scrive Molinari, la manifestazione è senza ombra di dubbio contro Israele, è Gerusalemme Est il luogo di arrivo finale; non è difficile immaginare ciò che sarebbe successo se fosse stato consentito di entrare nella capitale.
3. Le premesse c’erano già tutte. Discorsi che infiammavano i presenti – più di un migliaio – con slogan contro Israele e l’aggressione alla Striscia. Come se non fosse stato Hamas ad attaccare Israele per provocarne la reazione, secondo le regole della guerra asimmetrica, per poterla poi accusare di crimini di guerra.
4. Vengono fermati al check-point di Qalandia. Come poteva ignorare Abu Mazen quel era già nei programmi dei partecipanti, armati di pietre e bombe incendiarie ? inizia infatti l’assalto alle forze dell’ordine israeliane (saranno una trentina gli agenti feriti) che controllano l’entrata del posto di blocco e rispondono anche a colpi d arma da fuoco. Un palestinese viene ucciso e una ventina feriti.
5. Qual è il significato di una manifestazione simile, organizzata con molta cura, viste tutte le sigle politiche presenti, e con la benedizione personale di Abu Mazen ? E’ lui il leader che tanti raccomandano a Israele, in grado di trasformare la Striscia di Gaza in uno stato pacifico, quando nei territori che governa soffia sul fuoco di una possibile terza intifada ?
6. Il Medio Oriente arabo-islamico non conosce la via pacifica alla coesistenza, le apparenze ingannano, se Israele si fidasse delle promesse, come gli viene richiesto dall’Occidente, firmerebbe la sua scomparsa. La mentalità araba rispetta soltanto la forza, tutto il resto viene interpretato unicamente come un segno di debolezza. Se così non fosse, Gaza, in quasi 10 anni di totale indipendenza, sarebbe potuta divenire un luogo dove tutti potevano convivere, con un governo che avesse a cuore il benessere dei propri cittadini. Così non è stato, la povertà è ancora altissima, mancano le infrastrutture, lo stesso concetto di diritto è stato soffocato dalla Shari’a, gli enormi capitali arrivati dall’estero sono stai impiegati per fare la guerra contro Israele.
7. E l’Occidente continua a insistere sulla bontà di un governo Fatah-Hamas, quando è chiaro a chiunque non sia accecato dall’odio contro Israele, che le prove di una rivolta che abbiamo visto a Qalandia non sono altro che la dimostrazione di quel che avremo se quel governo entrerà in funzione.
8. Israele accetta iniziative umanitarie, aveva anche accettato un cessate il fuoco respinto però da Hamas, ma oltre non potrà andare, è in gioco la sua sopravvivenza.



Angelo Pezzana


*********

Ecco la cronaca di Maurizio Molinari uscita sulla Stampa di oggi:  


Maurizio Molinari


 «Siamo qui per marciare verso Gerusalemme». In piedi su un pick-up, con il megafono in mano e una maglietta nera con la scritta «Libertà e dignità nazionale», è Qassam Barghouti a dare inizio alla protesta di Qalandia. È la più imponente dimostrazione anti-israeliana che si svolge in Cisgiordania dalla fine della Seconda Intifada. Qassam, 28 anni, è il figlio maggiore di Marwan, il leader dei Tanzim di Al Fatah condannato a molteplici ergastoli in Israele per essere stato il mandante di attacchi kamikaze che hanno causato centinaia di vittime. Marwan Barghouti è il leader palestinese più popolare nei Territori, la sua effigie è disegnata sul lato palestinese del muro di Qalandia - a fianco a quella di Yasser Arafat - poco lontano da dove Qassam parla alla folla.
«Oggi un bambino di due anni è stato assassinato a Gaza» esordisce, ottenendo il silenzio da un tappeto umano di oltre diecimila anime. «Era troppo piccolo ed è morto prima di comprendere abbastanza ma siamo qui per dimostrare alla gente di Gaza - grida Qassam nel megafono - che Cisgiordania e Gaza sono un solo popolo, uniti contro l’occupazione e contro l’aggressione alla Striscia». Il boato di risposta arriva da un parterre di militanti di Al Fatah, Hamas, Fronte popolare e molte altre sigle della galassia palestinese. Ma tutti innalzano solo i drappi della Palestina e indossano magliette nere con la scritta «Marcia dei 48 mila».
È il nome che duecento attivisti, incluso Qassam, si sono dati per tentare di marciare dal campo profughi Ameri fino alla moschea di Al Aqsa a Gerusalemme, provando ad attraversare il check point di Qalandia. Distribuiscono un volantino con le tappe che hanno in mente: un percorso impossibile perché di mezzo ci sono i posti di blocco. Ma ciò che conta per Qassam è «dimostrare solidarietà con Gaza» e anche con Hamas che, nelle richieste per il cessate il fuoco, ha incluso anche la libertà di accesso alla Spianata delle Moschee nella Città Vecchia.
Il luogo è carico di simboli perché Qalandia è il punto di transito più frequentato fra Gerusalemme e Ramallah: se c’è una frontiera dove Israele e Palestina dialogano è questa. Portare qui la rabbia popolare significa far sapere ad Israele che l’intera Cisgiordania è in ebollizione. «Marciamo verso Gerusalemme» grida il giovane Barghouti e i manifestanti ripetono lo slogan, in un crescendo di toni ed emozioni, trasformandolo in canto ritmato. «Se siamo qui in così tanti - dice Qassam dirigendosi da Ameri verso Qalandia - è perché il presidente Abu Mazen ha sostenuto questa marcia e perché c’è un sentimento dilagante di rivolta popolare innescata dal bombardamento israeliano di una scuola dell’Onu a Gaza, con bambini e donne uccise». Attorno a lui c’è una cerchia di fedelissimi e co-sponsor della marcia, tutti fra i 20 e 30 anni, che ripetono «Palestina, siamo una sola nazione». Ma quando il corteo arriva a 300 metri dal check point a prendere l’iniziativa sono gli shabab: ragazzi con il passamontagna che lanciano prima pietre e poi bombe incendiarie contro i soldati israeliani.
Micky Rosenthal, portavoce della polizia, assicura che «ci hanno anche sparato contro». Le forze israeliane rispondono con munizioni vere ed è battaglia: un palestinese viene ucciso, almeno 25 sono i feriti e gli arresti superano quota 150. Gli agenti israeliani feriti sono 29. Incendi ed esplosioni illuminano la notte, l’esercito fa arrivare gli elicotteri e i disordini si estendono a Gerusalemme Est dove prima dell’alba di ieri almeno altri 40 palestinesi vengono arrestati.
Qassam accetta di parlare con «La Stampa». È teso, usa l’espressione «successo» ma tradisce nervosismo per la svolta violenta che non voleva. «La partecipazione massiccia è stata una dimostrazione di forza venuta dal basso, non possiamo vantarci di averli portati tutti noi in strada - dice, parlando al telefono - ma abbiamo creato il vettore per esprimere la rabbia, la furia, che c’è in Cisgiordania per quanto avviene a Gaza». «Non volevamo spargere il sangue né creare martiri - precisa - ma sono stati gli israeliani a sparare per uccidere».
Ora l’interrogativo è se vi saranno altre proteste. La risposta è già in quanto avviene nel venerdì di preghiera: scontri in più centri della Cisgiordania con tre palestinesi uccisi a Beit Ommar e due a Hawara mentre Gerusalemme Est è teatro di scontri in più quartieri, con la Città Vecchia blindata. A Ramallah la protesta torna ai funerali della vittima di Qalandia, Muhammad al-Araj, 17 anni. Il padre Ziad durante le esequie racconta: «Mio figlio ha deciso di andare a Qalandia dopo aver visto le immagini dei morti di Gaza, mi ha mandato un sms dal cellulare scrivendo "Spero di diventare un martire", e lo ha fatto». La domanda a cui Qassam non risponde è se la battaglia di Qalandia può innescare una terza Intifada. Per alcuni «può essere l’inizio di un’esplosione più grande», per altri «la rabbia è un evento a sé, destinato a non avere conseguenze immediate».

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