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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
24.07.2014 I voli cancellati, le pressioni su Israele, la svolta pro-Hamas di Abu Mazen
Cronache e analisi di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Giovanni Bottero

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Giuseppe Bottero - Maurizio Molinari
Titolo: «Voli cancellati, è un pressing su Israele - Aerei bloccati, Hamas: grande vittoria - Voli allungati e più kerosene. Per le compagnie incubo costi - L'intifada 2.0 dei giovani di Ramallah costringe Abu Mazen a cambiare»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/07/2014, a pag. 15, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Voli cancellati, è un pressing su Israele", dalla STAMPA a pag.  8, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "  Aerei bloccati, Hamas: grande vittoria " e l'articolo di Giuseppe Bottero dal titolo "Voli allungati e più kerosene. Per le compagnie incubo costi ", sull'allarmismo ingiustificato intorno alla sicurezza dell'aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv,  e,  a pag. 9, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L'intifada 2.0 dei giovani di Ramallah costringe Abu Mazen a cambiare  ".

Di seguito, gli articoli:



Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Voli cancellati, è un pressing su Israele"


Fiamma Nirenstein

Gerusalemme A che punto siamo con la guerra? Quando cesserà il fuoco? Tutto il mondo  se lo chiede, Israele piange i suoi 32 soldati uccisi e desidera la pace mentre è decisa a metter fine ai missili da Gaza; Hamas è certamente indebolita, e si affolla la tribuna dei mediatori internazionali. In tarda serata Sa'eb Erakat, un importante politico di Fatah, ha annunciato che domani forse ci sarà la tanto sospirata tregua. Poco prima Khaled Mashaal, il capo politico di Hamas, aveva affermato che la tregua ci sarà solo se alcune delle condizioni della sua parte saranno accettate, ma così facendo ha alluso a colloqui in corso, e ha parlato di tregua umanitaria. Tutto questo, vantando una fantastica vittoria della sua parte.
Le posizioni sono lontane, ma forse può essere accettata la proposta di Ban Ki Moon e di John Kerry: pare che abbiano offerto di fungere da sostenitori esterni della posizione dell'Egitto, che chiede un cessate il fuoco preventivo. Hamas, che potrebbe accedere a una tregua umanitaria di qualche giorno, vuole restare in possesso di Gaza, possibilmente con tutte le sue armi. Fino a ora, ha rifiutato ogni accordo e seguitato a cercare un successo drammatico con attentati e missili. Israele, che ha accettato tre cessate il fuoco umanitari sempre rotti da Hamas, cerca di ripulire Gaza dalle armi e dalle gallerie da cui i terroristi penetrano sul suo territorio, e avrebbe bisogno di tempo per concludere l'operazione. Se dovesse fermarsi a causa di un cessate il fuoco senza condizioni molto presto avrebbe una nuova guerra e stragi terroriste, pensa il governo, e quindi vuole tempi chiusi alla fine dei quali sia sancito il disarmo di Hamas. L'unica condizione che può interessare veramente Netanyahu è quella del controllo dei missili e delle gallerie, e per questo ha bisogno di un garante. La sola proposta che porterebbe a questo risultato è quella egiziana di Abdel Fattah el Sisi, che non contiene questo punto ma chiede che le armi tacciano a tempo determinato mentre si intraprende una trattativa. Questo Hamas non l'ha mai accettato: vuole l'accettazione immediata dell'apertura dei passaggi per l'Egitto e Israele, il controllo di aeroporto e porto, il controllo di acque territoriali, finanziamenti. Insomma, un solido potere su Gaza.
Onu, Usa ed Europa vogliono promettere a Hamas qualcosa per approfittare del suo interesse alla cessazione dei combattimenti. Israele avrebbe interesse a continuare la battaglia, perchè non può permettersi la sopravvivenza delle armi nemiche. Ma non può essere interpretata che come una pressione micidiale la decisione presa dall'FAA, l'organizzazione federale che fa capo al presidente Obama e regola i voli americani, di chiudere ogni connessione aerea con l'aereoporto Ben Gurion. Un gran successo per Hamas che Mashaal ha rivendicato ieri sera, una forma di boicottaggio mai sognata prima, subito imitato, certo in buonafede, da molte compagnie europee fra cui l'Alitalia. È uno dei peggiori incubi di Israele: restare isolata, unica scheggia di democrazia abbandonata in mezzo al mondo islamico. In queste ore sta accadendo, i suoi cittadini sono rimasti bloccati negli aeroporti di tutto il mondo, compresi quelli della Turchia, dove Erdogan ha appena dichiarato che Israele è peggio di Hitler. Poco piacevole. Gli aerei dell'El Al lavorano a massimo ritmo, e le autorità aeroportuali garantiscono la massima sicurezza. Anche se sono minacciose le immagini della casa distrutta da un missile nella zona di Yehud, vicino a Tel Aviv, Obama certo ha saputo aspettare l'orario giusto, 24 ore dopo, per consentire a Kerry di raggiungere, dopo la visita al Cairo, anche l'ufficio di Abu Mazen e quello di Netanyahu.
Abu Mazen ha tentato una trattativa con Hamas, visitando anche il suo sponsor miliardario, il Qatar. Turchia e Qatar sono i due mediatori scelti da Hamas, che alla fine ieri, e il messaggio allusivo del capo dell'ufficio politico Khaled Meshaal, lascia intendere che verrà loro concesso un qualche ruolo futuro. Anche Kerry suggerisce formule che promettono in cambio del cessate il fuoco un grosso contributo Usa per ricostruire Gaza e anche l'esame di «tutti i problemi della zona», ovvero della apertura dei passaggi. Sia Ban Ki Moon che l'Ue hanno usato parole di inusitata solidarietà verso Israele, dichiarando legittima la sua autodifesa e chiedendo il disarmo di Hamas. Questo potrebbe preludere a una candidatura per diventare i garanti di tale disarmo, la condizione di Israele, che intanto probabilmente dovrà accettare una tregua umanitaria limitata. Intanto le armi tuonano, altri tre Israeliani sono stati uccisi, l'esercito agisce dentro Shajaya dove ha bombardato un ospedale vuoto, quello di Al Wafa, mostrando con immagini filmate il suo uso come casamatta e sede dei terroristi. Ma le perdite dei palestinesi sono alte. Anche una galleria fatta saltare per aria era piena di armi, divise, mappe.

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  " Aerei bloccati, Hamas: grande vittoria "


Maurizio Molinari


È duello fra Onu e Israele sulle vittime civili nella Striscia di Gaza mentre la sospensione dei voli di molte compagnie straniere verso Tel Aviv viene salutata come una «vittoria» da Hamas.
È il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu che da Ginevra annuncia una «commissione di inchiesta» sui presunti «crimini di guerra» commessi da Israele a Gaza. La proposta palestinese passa con 29 voti su 46 con l’unico contrario degli Stati Uniti e l’Unione Europea che si astiene. Il testo votato dal blocco di Paesi arabi, musulmani, latino-americani e africani, sostenuto da Mosca e Pechino, preannuncia nei confronti di Gerusalemme un’inchiesta simile a quella guidata da Richard Goldstone nel 2008 dopo il primo conflitto Hamas-Israele, che sanzionò aspramente lo Stato Ebraico andando incontro a vivaci contestazioni.
Per Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, «l’uccisione di quattro bambini su una spiaggia solleva dubbi che devono essere oggetto di un’indagine». La risposta di Israele arriva dal premier Benjamin Netanyahu che parla di «farsa da condannare» perché «il Consiglio Onu sui Diritti Umani dovrebbe piuttosto indagare sulla decisione di Hamas di trasformare gli ospedali in centri di comando, usare le scuole come depositi di armi e posizionare le batterie di missili in parchi giochi per bambini, case e moschee». «Dando la colpa a Israele senza condannare il sistematico uso da parte di Hamas dei civili come scudi umani - aggiunge Netanyahu - l’Onu si schiera di fatto a sostegno di un’organizzazione terroristica». A evidenziare l’approccio di Netanyahu a questo tema è l’attacco che Israele conduce contro l’ospedale Wafa della Striscia, spiegando che «da lì Hamas lancia razzi». Evacuato dal 17 luglio, l’ospedale è stato colpito dai jet poco prima che Hamas lanciasse colpi di mortaio contro l’ospedale israeliano creato al posto di confine di Erez per curare i palestinesi feriti a Gaza. «Oltre all’attacco militare - spiega il portavoce israeliano Peter Lerner - Hamas impedisce ai palestinesi di avvicinarsi alla struttura sanitaria» mentre a Gaza «usa le autoambulanze per spostare armi e terroristi».
La dura condanna di Israele nei confronti del voto Onu a Ginevra si sovrappone alla tensione nei cieli con Hamas. Con un comunicato da Gaza, Hamas ha definito «una vittoria» la decisione frutto delle numerose compagnie straniere di sospendere i voli verso l’aeroporto di Tel Aviv, preannunciando «nuovi lanci di razzi». La contromossa israeliana è stata nell’annunciare l’apertura dell’aeroporto di Uvda, a Nord di Eilat nel Negev, come nuovo scalo internazionale per arrivare in Israele. «I nostri scali sono sicuri» ribadisce Peter Lerner ma il Dipartimento di Stato ribatte «Hamas ha razzi capaci di raggiungere l’aeroporto Ben Gurion anche se l’accuratezza è da verificare». Le compagnie Usa prolungano di 24 ore la sospensione e l’Ente Ue per l’aviazione civile «proibisce» di volare verso Tel Aviv. Intanto sul terreno gli scontri si concentrano a Sujaiya e Khan Yunis, investite da massicci bombardamenti israeliani. Hamas lancia razzi sulle città del Sud e fa sapere di aver tentato di abbattere un F-16 adoperando «missili terra-aria» ma Israele smentisce: «Tutto falso ma è vero che possiedono armi molto avanzate».

LA STAMPA - Giuseppe Bottero:  "Voli allungati e più kerosene. Per le compagnie incubo costi "


Giuseppe Bottero

In queste settimane, nelle sale di sicurezza delle compagnie aeree, gira una cartina. Alle mete da monitorare attentamente - Libano, Sinai, Etiopia - si sono aggiunti tre cerchi rossi: l’Est dell’Ucraina, la Siria, adesso Tel Aviv, dove lo scalo Ben Gurion funziona a un decimo delle sue possibilità. Situazioni diversissime, ma cruciali per business e turismo.
È la guerra nella guerra, che fa svoltare le rotte, affossa i conti dei vettori, mette a nudo la debolezza di chi fissa i paletti. L’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa), per esempio, che ieri ha emesso un bollettino con una «forte raccomandazione» ad evitare il Ben Gurion «fino a nuove indicazioni». Uno stop? Nemmeno per sogno, perché l’ente non ha i poteri di blindare le tratte. «Raccomandazioni come queste hanno un impatto dissuasorio ma non rappresentano un divieto - ragiona Andrea Giuricin, docente della Bicocca ed esperto di trasporti -. I poteri dell’Agenzia sono abbastanza limitati e non è un caso che dopo la tragedia ucraina si discuta di una revisione delle procedure». Al momento, nel Vecchio Continente, la decisione è nelle mani delle compagnie e delle organizzazioni nazionali. Di solito i blocchi sono causati da eventi naturali - il vulcano del 2010 - oppure in vigore su aree limitatissime: la Casa Bianca, gli stadi durante i mondiali in Brasile. Questa volta no, questa volta il nemico sono i razzi, anche se quelli in dotazione ad Hamas hanno una tecnologia decisamente inferiore rispetto a quello che ha abbattuto il Boeing della Malaysia Airlines. «Sono rozzi, non hanno un radar: la probabilità che possano centrare un aereo di linea è abbastanza bassa» dice l’analista Gregory Alegi, docente della Luiss. «I rischi maggiori li corrono gli aerei parcheggiati. C’è una parte di emotività nelle scelte di queste ore, soprattutto perché in Ucraina tutti erano consapevoli dei pericoli». Chiamatela, se volete, coscienza sporca. Oppure- ragiona Alegi - di tentativo, da parte dell’amministrazione Obama, di far pressione su Netanyahu per portarlo al tavolo della trattative. L’unica certezza è che negli Stati Uniti, per ora, ha vinto la prudenza: la Federal Administration Aviation ieri sera ha esteso lo stop anche per le prossime 24 ore, spaccando il fronte degli esperti. Di fianco allo scalo, spiega la Faa, ci sono detriti e rottami. Volare lì sarebbe troppo rischioso. Alegi non ci sta. I gruppi europei, spiega, si stanno muovendo in ordine sparso. Questione di affari, ma non solo. «C’è un problema culturale» prosegue. British Airways tiene duro, EasyJet s’è arresa, Alitalia dopo una giornata di discussioni ha scelto di far slittare ancora la partenza del volo che decolla da Fiumicino. Se ne riparla stasera: l’orario sul biglietto segna le 22.30. Possibile che si parta.
«Il divieto di sorvolo di determinate zone di volo comporta un aumento di costi. Le aziende infatti devono effettuare delle rotte più lunghe per raggiungere le destinazioni con un sovrapprezzo dovuto al carburante. Bisogna ricordare che nel trasporto aereo il costo del carburante rappresenta il 35-40 per cento delle spese totali e dunque l’impatto economico di un allungamento delle tratte potrebbe comportare degli aumenti dell’ordine del 2-3 per cento», dice Giuricin. E poi, naturalmente, ci sono i biglietti: Lufthansa, che continua a lasciare gli aerei a terra, ha già rinunciato a 20 voli. Eppure, spiegano dal quartier generale di Colonia, «non ci sono informazioni disponibili che giustifichino una ripresa».

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  " L'intifada 2.0 dei giovani di Ramallah costringe Abu Mazen a cambiare  "


Abu Mazen

«Le richieste di Gaza sono gli obiettivi dell’intero popolo palestinese». È notte fonda a Ramallah quando Yasser Abed Rabbo, veterano dell’Olp, esce dalla riunione dei vertici di Al Fatah nella Muqata per far sapere che la leadership dell’Autorità nazionale palestinese ha deciso di fare proprie le posizioni di Hamas nel braccio di ferro in corso con Israele ed Egitto sul cessate il fuoco. «Gaza vuole la fine dell’aggressione e del blocco israeliano e questi sono gli stessi obiettivi dei nostri leader» aggiunge Abed Rabbo parlando a nome del presidente Abu Mazen, che in questa maniera compie un rovesciamento drammatico di posizione.
Fino a poche ore prima era uno strenuo sostenitore della posizione egiziana, favorevole a un cessate il fuoco incondizionato, e si accingeva a volare in Arabia Saudita per consultarsi con il sovrano capofila del fronte arabo anti-Hamas. Ora annulla il viaggio a Riad, si chiude in una riunione fiume con i più stretti consiglieri e opta per il sostegno alla linea di Hamas. È un rovesciamento accolto con favore da Washington perché crea un canale di dialogo con Hamas. E ciò spiega perché il Segretario di Stato, John Kerry, arrivando a Gerusalemme, parla di «segnali positivi». Poco prima che da Doha Khaled Meshaal, leader di Hamas all’estero, si pronunci a favore di «una tregua umanitaria».
Se Abu Mazen dovesse riuscire a rappresentare Hamas si aprirebbero nuovi scenari, inclusa una possibile risoluzione Onu per assegnare alle forze dell’Autorità palestinese il controllo dei confini di Gaza. In attesa di sapere quali sviluppi la soluzione diplomatica prenderà ciò che conta a Ramallah è «la marcia indietro di Abu Mazen» che Ahmad Rafiq Awad, politologo palestinese in passato feroce critico di Hamas, spiega così: «Non aveva alternative perché i palestinesi provano orgoglio per la resistenza di Hamas, per la purezza ideologica e le qualità militari dei suoi leader, mentre sono scontenti di un presidente che finora ha pietito negoziati e trattative con israeliani, americani e occidentali».
Sono questi sentimenti a spiegare perché, da oltre una settimana, ogni giorno alle 22, gruppi di manifestanti si riuniscono nella centrale Manara Square per protestare contro la «Dayton Police» e i «Dayton Friends» ovvero leader politici e militari locali identificati con il generale americano Keith Dayton fino al 2010 responsabile dell’addestramento delle forze palestinesi. C’è chi ha tirato sassi contro il quartier generale della polizia, che è uscita armata di bastoni picchiando i manifestanti e arrivando a investire i cameramen tv. «Quando le forze palestinesi infieriscono sui palestinesi anziché perseguire la creazione della nazione significa che qualcosa non funziona», assicura Issam Bakin, coordinatore dell’associazione Partiti politici islamici e nazionali che dalla Seconda Intifada costituisce un raro ombrello bipartisan ed ora è protagonista delle proteste a Manara Square. Bakin è rauco perché «a forza di strillare nel megafono parlo a fatica». È lui che ha tentato di guidare i manifestanti verso l’insediamento ebraico di Beit El «fino a quando i nostri poliziotti ci hanno fermato».
Nel suo ufficio si alternano militanti, uomini e donne, che affermano di «provare vergogna per una leadership finora troppo timida nel sostenere il popolo di Gaza». Una ragazza di 25 anni, jeans e senza velo, accusa Abu Mazen di «aver tardato nel dire a Gaza che non è sola». A pochi metri di distanza, davanti al municipio, un tappeto di oltre 600 bare coperte con drappi palestinesi rappresenta le vittime di Gaza. Abu Mazen ha ordinato tre giorni di lutto ma Bakin sostiene che «al punto in cui siamo serve ben altro, bisogna denunciare Israele al Tribunale penale internazionale e chiedere un’indagine dell’Onu sui crimini che commette».
A pensarla nella stessa maniera è Mash-hour Arouri, imprenditore di 29 anni e fra i duecento promotori della «Marcia dei 48 mila» che questa sera partirà dal campo profughi di Amari tentando di superare i posti di blocco e arrivare a Gerusalemme «per pregare sulla Spianata delle Moschee». «Siamo laici e non islamici - dice Arouri, ingegnere elettronico formatosi a Dubai, alla guida di uno start up da tre milioni di dollari - e vogliamo dimostrare solidarietà a Hamas per provare che il popolo palestinese è uno, a Ramallah, Gaza o Nazaret». Il gruppo «Marcia dei 48 mila» (un richiamo al 1948, anno della «catastrofe» della nascita di Israele) nasce su Facebook, si sviluppa con un network di 500 mila likes e riceve il sostegno dei due leader palestinesi più popolari: Marwan Barghouti, ex capo dei Tanzim, e Ahmed Sadaat, del Fronte popolare, entrambi condannati all’ergastolo in Israele per molteplici attacchi terroristici.
Il figlio di Barghouti, Qassem, è un altro degli organizzatori. «Abu Mazen vive nel passato, persegue mete superate, non ispira più i giovani e i militanti - assicura Arouri - tocca alla nostra generazione guidare una mobilitazione dal basso, per ottenere ciò che più vogliamo: Gerusalemme e il diritto al ritorno per i profughi». Ciò che accomuna Arouri, Bakin e Awad è l’essere contro la violenza armata «per una militanza attiva basata sul rispetto dei diritti». Arouri si spinge fino a dirsi «contrario al lancio di razzi contro Israele» e promette che «non lanceremo pietre contro i soldati israeliani al check point di Qalandia ma se ci fermeranno torneremo la sera seguente, e poi ancora quella dopo». Nell’intento di «esprimere nella West Bank l’orgoglio palestinese rafforza la gente di Gaza» affinché «la battaglia per l’indipendenza non resti solo nelle mani di Hamas». Con una base palestinese protagonista di tale ebollizione, Abu Mazen è rimasto senza altra scelta possibile che il sostegno ad Hamas.

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