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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
22.07.2014 Hamas si infiltra in Israele dai tunnel, e continua a usare i civili come scudi umani
Cronache di Maurizio Molinari, Davide Frattini, Fabio Scuto

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Davide Frattini - Fabio Scuto
Titolo: «Hamas, blitz all’alba nei kibbutz - Il modello Hezbollah e gli arsenali dal Sudan - A Gaza colpiti case e ospedali - Nel ventre di Gaza ecco i tunnel di Hamas»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/07/2014, a pag. 2, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Hamas blitz nei kibbutz. Ma a Gaza è ancora strage di civili", a pag. 3 l'articolo dal titolo "Il modello Hezbollah e gli arsenali dal Sudan. Tsahal colta di sorpresa", dal CORRIERE della SERA, a pagg. 4-5, l'articolo di Davide Frattini dal titolo  "A Gaza colpiti case e ospedali, decine di morti " e da REPUBBLICA a pagg. 1-12-13 l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "Nel ventre di Gaza ecco i tunnel di Hamas che hanno scatenato il fuoco doi Israele " , preceduto da un nostro commento.

Di seguito, gli articoli:


Soldato israeliano di fronte all'ingresso di un tunnel costruito da Hamas

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "Hamas blitz nei kibbutz. Ma a Gaza è ancora strage di civili "


Maurizio Molinari

Hamas  si infiltra dai tunnel per dare l’assalto ai kibbutz d’Israele. L’attacco avviene alle prime ore del mattino, quando due gruppi commandos escono dal terreno, quasi contemporaneamente, nei pressi di Erez e Nir Am. Sono missioni suicide. L’obiettivo è uccidere militari e civili israeliani ma Mohammed Deif, capo delle Brigate Qassam, ha anche chiesto la cattura di ostaggi.
Uno dei due gruppi viene individuato dalla sorveglianza aerea ed è un F-16 che elimina almeno dieci membri di Hamas, l’altro commando invece riesce a infiltrarsi e lancia un rudimentale missile anti-tank contro una jeep di soldati. Le vittime sono quattro prima che le unità speciali di Tzahal intervengano eliminando gli aggressori. La battaglia dura almeno due ore.
Il comandante del fronte Sud, generale Sami Turgeman, ordina la chiusura dell’intera fascia di territorio compresa fra la strada 232 e il confine di Gaza, estendendo l’off-limits al kibbutz di Yad Mordechai, poco più a Nord. Si tratta della regione del Sud di Israele più vulnerabile alla minaccia dei tunnel.
Nel pomeriggio a Nir Am si riuniscono i responsabili della sicurezza dei kibbutz già colpiti dalle infiltrazioni terroristiche o che ne sono minacciati: Erez, Alumim, Kisufim, Keren Shalom, Ofakim, Ein Shloshà. Si tratta dei rappresentanti di migliaia di abitanti a cui Turgeman presenta una descrizione dettagliata della guerra ai tunnel di Hamas. «Da quando abbiamo iniziato l’operazione Protective Edge - spiega Arye Shalicar portavoce militare - ne abbiamo identificati 18 con altrettanti punti di uscita in Israele e 50 punti di entrata dentro la Striscia di Gaza».
La rete di tunnel
Sono tunnel che partono da dentro case ed edifici - per sfuggire ai droni - soprattutto a Beit Hanun, Baiyt Lahiya e Shejaiya - e scendono anche ad una profondità di 30 metri per raggiungere Israele snodandosi fino a 4 km di lunghezza. Uno dei tunnel scoperti ieri arrivava ad appena 1 km da Sderot, la città più vicina al confine. «Ogni tunnel è realizzato in cemento armato, dentro ha l’aria condizionata e luoghi per dormire - aggiunge Shaicar - in maniera da contenere gruppi di terroristi, mettendoli in grado di colpire di sorpresa, in profondità, fra le comunità civili». Fra le considerazioni che Turgeman condivide con i kibbutz più a rischio c’è quella sulle «migliaia di ore di lavoro di cui Hamas ha avuto bisogno per creare questi tunnel impiegando probabilmente centinaia o migliaia di persone».
Dopo il tramonto scatta un altro allarme, fra Zikim e Yad Mordechai. Nel kibbutz di Or Ha-Ner a coordinare la protezione dalla minaccia dei tunnel è Edy Polonsky, 50 anni, immigrato nel 1979 da Buenos Aires, le cui mansioni sono gestire 300 mucche da latte. Di giorno ognuno fa il proprio lavoro nel kibbutz e siamo tutti armati - dice Polosky - e di notte abbiamo le pattuglie che perlustrano il territorio, il pericolo di infiltrazioni terroristiche è costante ma siamo determinati a difendere questa terra, perché non ne abbiamo un’altra». Poco distante, nel kibbutz di Givim, a svolgere mansioni analoghe è Yair Harari che si sofferma su un altro aspetto della «costante minaccia di essere attaccati» ovvero «la necessità di dare assistenza psicologica a chi ne ha bisogno, a cominciare dai più piccoli». Davanti a ogni cittadina campeggiano manifesti biancoazzuri - i colori nazionali - con la scritta «Forti nelle retrovie, vincenti sul fronte».
Il razzo su Ein Shloshà
Il ministro della Giustizia Tzipi Livni si trova in visita a Ein Shloshà quando un razzo le cade a pochi metri di distanza. A Givim c’è Omer Barlev, ex comandante delle truppe scelte della Sayeret Matkal che dipendono dallo Stato Maggiore, secondo il quale «il problema dei tunnel nasce dal fatto che l’esercito non ha ancora identificato la tecnologia che consente di individuarli a distanza». Barlev, ex generale, conosce bene l’argomento: «Hamas ha due tipi di tunnel, quelli lunghi per raggiungere Israele e quelli corti per spostarsi dentro Gaza, in entrambi i casi costruiti con il cemento armato». Al suo fianco Micky Rosenthal, deputato laburista aggiunge: «Il premier Benjamin Netanyahu non voleva lanciare l’operazione di terra, se lo ha fatto è perché gli hanno mostrato le prove delle infiltrazioni dei terroristi attraverso i tunnel. Non ha avuto scelta. Stiamo combattendo per difendere i nostri civili». Questo spiega perché il sostegno a Protective Edge aumenta nonostante l’alto numero di caduti: con i 7 di ieri siamo a 25 in cinque giorni di operazioni ovvero un ritmo di perdite più alto dell’ultimo conflitto in Libano contro Hezbollah. A dare il polso del consenso è Paola Cantore, genovese residente a Tkuma da 30 anni: «Viviamo barricati, temiamo i razzi dal cielo e i terroristi che sbucano dalla terra». Per Hamas le incursioni in Israele sono «una vendetta per i morti di Shejaiya» del giorno precedente. La conferma della scelta di restare all’offensiva viene dai 50 razzi lanciati su Ashdod, Ashkelon e Tel Aviv.
La famiglia sterminata
Dentro la Striscia si combatte e cresce il bilancio di vittime: fonti palestinesi parlano di un totale di 550 civili morti 3350 feriti. A Deir el-Balah un tank israeliano investe con i propri colpi l’ospedale Al Aqsa, causando almeno 4 morti e 60 feriti mentre a Gaza è un raid aereo che uccide 9 componenti della stessa famiglia.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " Il modello Hezbollah e gli arsenali dal Sudan. Tsahal colta di sorpresa"

Il leader degli Hezbollah offre sostegno a Hamas e Israele bombarda in Sudan un deposito di razzi iraniani destinati a Gaza: il conflitto in corso nella Striscia mette in evidenza gli stretti legami fra jihadisti sciiti-libanesi e sunniti-palestinesi. La prima indicazione in merito è arrivata dalla tattica con cui Hamas sta combattendo Israele considerata «la fotocopia di quanto fatto dagli Hezbollah in Libano nel 2006» secondo analisti militari israeliani che identificano tre maggiori convergenze: l’uso di tunnel e bunker sotterranei per causare un alto numero di perdite alle truppe di terra, adoperando armi anticarro; il ricorso ai razzi per colpire le maggiori città al fine di indebolire il consenso politico per la guerra; l’apertura dell’ostilità con dei colpi «a sorpresa» come Hamas ha fatto adoperando razzi a lungo raggio, unità di commandos del mare e droni.
Ciò significa che Hamas ha studiato la campagna libanese del 2006 e ha ricevuto tanto armi che istruttori dal Paese più impegnato a sostenere militarmente il partito sciita-libanese: l’Iran. La decisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, di telefonare personalmente ai capi di Hamas e Jihad islamica palestinese - Khaled Meshaal e Ramadan Abdallah Challah - ha confermato tale interpretazione. Anche perché Nasrallah ha detto di «sostenere l’Intifada del popolo palestinese» come anche le «richieste di Hamas per il cessate il fuoco» affiancando argomenti militari e politici. «Siamo determinati a cooperare senza limiti per il successo della resistenza palestinese e la sconfitta dell’aggressione israeliana» ha aggiunto Nasrallah, le cui dichiarazioni sono state rese pubbliche dai media libanesi a poche ore di distanza dalle rivelazioni del giornale arabo londinese «Al Arab» su un blitz israeliano contro un deposito di armi alla periferia della capitale sudanese. In particolare, secondo «Al Arab», gli aerei israeliani avrebbero colpito e distrutto, venerdì scorso, una fabbrica e un deposito di razzi a lungo raggio che l’Iran avrebbe fornito al fine di far arrivare tali armi a Hamas.
Il blitz sarebbe inoltre avvenuto a pochi giorni di distanza da un incontro fra Meshaal e il presidente sudanese Omar al Bashir, a cui l’Iran avrebbe offerto un sistema antimissile per proteggersi dai raid israeliani. Per due volte negli ultimi 12 anni la Marina israeliana ha intercettato navi iraniane che portavano armi a Hamas - la Karine A nel 2002 e la Klos-C lo scorso marzo, proprio davanti al Sudan - e l’ex comandante della Marina israeliana, Yedidia Yaari, ritiene che Teheran abbia dedicato «risorse umane e finanziarie negli ultimi anni» a creare un network di rifornimento militare per Hamas fatto di «armi e istruttori» con l’intento di trasformare i jihadisti palestinesi della Striscia in una copia degli Hezbollah libanesi. Attraverso «rotte di traffici illegali che passano per il Deserto Arabico, il Sinai, il Mar Rosso e il Sudan» aggiunge Yaari. In effetti, fra le somiglianze che colpiscono c’è la protezione delle comunicazioni interne da parte di Hamas grazie a un «sistema chiuso che ricorda da vicino quello, assai più sofisticato, che difende Hezbollah in Libano dalla sorveglianza israeliana.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini:  "A Gaza colpiti case e ospedali, decine di morti  "


Davide Frattini


GERUSALEMME — Lo ripete Benjamin Netanyahu, lo ripetono i suoi ministri: la missione è neutralizzare i tunnel scavati sotto la sabbia di Gaza. E aggiungono: «Non ci fermeremo fino alla fine». Perché sanno che la presenza al Cairo di John Kerry e di Ban Ki-moon segnala che gli americani e le Nazioni Unite adesso si stanno muovendo davvero per il cessate il fuoco.
Da una delle gallerie sotterranee che emergono in Israele ieri è sbucato un commando palestinese. I miliziani sono stati individuati e nella battaglia sono stati uccisi quattro soldati israeliani (7 nella giornata portando il totale a 25). Gli estremisti morti sarebbero una decina.
Le mosse più decise della diplomazia non frenano l’offensiva nella Striscia. In un solo raid contro l’abitazione di un comandante militare di Hamas sono state ammazzate 27 persone, tra loro 12 donne e bambini: facevano tutti parte della stessa famiglia allargata, l’attacco ha ridotto in macerie il palazzo. Un colpo di artiglieria ha centrato il terzo piano dell’ospedale Al Aqsa, uccidendo quattro persone. I portavoce dell’esercito accusano i combattenti fondamentalisti di sparare nascosti tra le case, vicino alle strutture sanitarie, di usare gli ospedali come depositi di armi. Nei quattordici giorni di guerra le vittime palestinesi sono 572, per la maggior parte civili, più della metà sono state ammazzate da quando è iniziata l’invasione di terra giovedì notte. Barack Obama, il presidente americano, ripete di «sostenere il diritto di Israele a difendersi»: «Ma sono molto preoccupato dal crescente numero di perdite civili palestinesi e di caduti israeliani».
Malgrado la pressione militare, le fazioni sono riuscite a continuare con i lanci di razzi verso le città dall’altra parte. Le sirene sono risuonate nel sud e nel centro di Israele. Due missili sono stati intercettati sopra Tel Aviv. L’intelligence israeliana sostiene che Hamas e gli altri gruppi hanno ridotto di oltre la metà (tra depositi distrutti e razzi sparati) l’arsenale: se la stima era di 10 mila missili, ne restano 5 mila sufficienti per andare avanti settimane.
I leader del movimento non mostrano segni di cedimento. Ismail Haniyeh, fino a un mese fa premier del governo nella Striscia, proclama in un discorso registrato che lo scontro proseguirà fino a quando le richieste dell’organizzazione non verranno soddisfatte. Le elenca: apertura dei valichi, fine dell’embargo e delle restrizioni imposte da Israele, liberazione dei prigionieri che erano stati già scarcerati nel 2011 (in cambio del rilascio del caporale Gilad Shalit, sequestrato nel 2006) e riarrestati di recente. «Non torneremo mai indietro — dichiara — al tempo dell’aggressione, della morte lenta. Gaza diventerà il cimitero degli invasori, come lo è sempre stata nella Storia».
Abu Mazen, il presidente palestinese, ha incontrato Khaled Meshal, l’altro capo di Hamas, in Qatar. Preme perché il movimento islamista accetti la proposta formulata dall’Egitto, che resta però lontana dagli obiettivi di Meshal e Haniyeh. Il Cairo ha mediato con Israele un’intesa in cui garantisce ad Hamas di riaprire il valico di Rafah, a sud della Striscia, se venisse affidato al controllo delle forze di Abu Mazen. Per il resto il documento prevede di tornare alla calma stabilita dopo gli otto giorni di guerra nel 2012.
Le trattative potrebbero venire complicate dall’annuncio di Hamas, che domenica notte ha proclamato di aver rapito un soldato israeliano. I portavoce delle forze armate non commentano. Il nome e il numero di matricola esibiti dai fondamentalisti corrisponderebbero a quelli di uno dei tredici militari uccisi nella battaglia a Shajaiya. I miliziani potrebbero essere riusciti a recuperare la piastrina identificativa o il cadavere.

Informandosi  sui tunnel scavati da Hamas, che i soldati di Tsahal sono impegnatia  distruggere, anche Gad Lerner, di cui critichiamo un articolo su un 'altra pagina di IC, potrebbe comprendere la differenza tra rischiare la propria vita per difendere la popolazione civile e il godersi la quiete estiva in una piacevole oasi agricola dell'astigiano.

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: " Nel ventre di Gaza ecco i tunnel di Hamas che hanno scatenato il fuoco doi Israele "



GERUSALEMME  La“ filosofia” del tunnel venne spiegata così da Mohammed Deif, il capo delle brigate Ezzedin al Qassam ai suoi luogotenenti: «Se siamo come topi in trappola per il nemico, allora dobbiamo scavarci delle tane e usarle per attaccarlo». Il tunnel è diventato per Israele la minaccia principale che viene da Gaza perché la Striscia è stata scavata in questi anni in ogni senso e direzione. Dai tunnel sotto la sabbia spuntano le rampe di lancio dei missili puntati contro le città israeliane, dai tunnel partono le incursioni nelle aree immediatamente circostanti, talvolta — come ieri — vestiti con le divise dell’esercito israeliano, per colpire le fattorie e le prime zone abitate come Ofakim o Nahal, dove la “zona cuscinetto” dal lato palestinese è larga soltanto trecento metri. A questo è servita l’azione di terra dell’esercito israeliano nel nord della Striscia, dove tra sabato e domenica dopo un bombardamento a tappeto su un fronte di cinque chilometri che ha provocato la strage di civili nella zona di Shajaya, gli uomini della Brigata Golani e quelli del Genio hanno cercato di avanzare, non per conquistare terreno ma alla caccia dei tunnel usati dai miliziani di Hamas. Per migliaia di persone l’unico scopo e lavoro nella vita a Gaza è quello di scavare, sempre di notte. Senza mezzi meccanici ma con pala e piccone. Il lavoro degli scavatori può durare mesi, tre o quattro in media, con un costo enorme. Anche di vite umane, perché il terreno è sabbioso, cede con facilità e va “incamiciato” di cemento man mano che si avanza. Durante le ultime 24 ore ne sono stati scoperti e fatti esplodere 13 dall’esercito israeliano ma ogni tratto di terreno può nasconderne altri, che spesso hanno un’unica entrata ma poi si dipanano per centinaia di metri — alcuni per chilometri — in altri tre-quattro bracci. Ci sono tre tipi di tunnel a Gaza, quelli del contrabbando lungo i 13 chilometri di frontiera con l’Egitto — da dove per anni sono passate non solo le armi e i missili destinati alle formazioni combattenti generosamente donati dalla Siria, ma anche generi di prima necessità che poi finivano nei market, cemento, macchine rubate in Egitto, pannolini, patatine, frigo e lavatrici. Poi ci sono quelli per il lancio dei missili occultati con una baracca o un pollaio: una sela zione si apre meccanicamente e dopo la partenza del razzo si richiude. Un minuto dopo il lancio tutto torna come prima. Ci sono quelli “offensivi” lungo i 37 chilometri di confine con Israele e poi le “gallerie strategiche”, sono quelle scavate sotto Gaza City e Khan Yunis destinate ad accogliere lo stato maggiore di Hamas durante i periodi di crisi. Al primo colpo, i boss islamici scompaiono inghiotti da questi rifugi, dotati di aria condizionata, tv, mezzi di comunicazione criptati, alloggi, cucine e dispense per i viveri. I dirigenti islamisti e i loro pretoriani possono stare per mesi sottoterra senza mai emergere, senza mai mettere in gioco la loro vita, abbandonando la popolazione civile in superficie al suo destino. Sotto la città di Gaza c’è addirittura un ospedale dove vengono curati i miliziani feriti, che non vengono portati mai in quelli civili. Dei quattordici container di aiuti e medicinali passati la scorsa settimana dal valico di Rafah donati dall’Egitto, solo sei sono arrivati alla popolazione civile. Il resto ha preso altre strade, inghiottito nel ventre della città sotto la città. Chi milita in Hamas o nella Jihad non subisce certo le privazioni imposte invece alla gente di Gaza.
Il “progetto” tunnel è organizzato e calcolato e non c’è spazio per il “fai da te”. È coordinato tra tutte le fazioni militari e comprende anche la registrazione di tutte le gallerie che attraversano la Striscia, le direzioni, gli ingressi e la destinazione per la quale sono stati costruiti. L’Idf pagherebbe oro per mettere le mani su queste mappe, perché i rilevatori di presenza umana, i sensori per cogliere rumori da sotto il terreno, non sono efficaci alla profondità con cui sono scavati che in media è di 27 metri. Quando la galleria viene scavata in direzione del confine con Israele, i responsabili di Hamas notificano al proprietario che ci sono dei “lavori in corso” e che potrebbe anche essere ricompensato per il suo disturbo. La terra in superficie appartiene a lui, il terreno sotto è sotto la responsabilità delle fazioni militari. Così alcuni proprietari sanno che c’è un tunnel sotto le loro terre ma non sanno dove. Da questi spuntano gli “incursori” di Hamas. All’inizio dell’operazione “Protective Edge” l’esercito israeliano ha provato a distruggere con le bombe ad alta penetrazione questi tunnel, ma dopo che 13 miliziani hanno tentato di infiltrarsi nel kibbutz di Sufa la scorsa settimana è stata decisa l’operazione di terra con lo scopo di allargarli prima e farli esplodere dopo. Ma i “topi” di Gaza sono già al lavoro su altri percorsi.

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