Gli scudi umani nella roccaforte di Hamas Cronache di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Francesca Paci
Testata:Il Giornale - La Stampa Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Francesca Paci Titolo: «Civili come scudi umani. - Truppe speciali all'assalto della Maginot di Hamas -Le bande jihadiste a caccia di ostaggi -Mi sono svegliato, ero finito in trincea»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi a pag. 13 l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Civili come scudi umani. Così si arriva alla strage ", dalla STAMPA a pagg. 1-2-3 l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Truppe speciali all'assalto della Maginot di Hamas. Strage tra le case bunker", a pag. 3, sempre di Maurizio Molinari, l'articolo dal titolo "Le bande jihadiste a caccia di ostaggi. Occidentali in fuga ", e a pag. 2 , l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Mi sono svegliato, ero finito in trincea "
Di seguito, un video mostra l'esultanza della popolazione araba di Hebron per la morte dei soldati israeliani a Gaza
Ecco come agisce Tsahal, nel racconto di Fiamma Nirenstein. Se non ci fosse stata l’operazione di terra, Hamas avrebbe colpito attraverso i tunnel le popolazioni civili di Israele che vivono accanto al confine con Gaza. Spiega altresì bene come l’alto numero di civili che hanno trovato la morte sia da attribuirsi ad Hamas, che opera volutamente in mezzo ai civili, una tecnica che viene sottratta dall’informazione, sui giornali ma soprattutto nei servizi televisivi, non solo Rai ma anche sulle altre reti. Mostrare immagini strazianti è la regola, Hamas lo sa bene, e fornisce il materiale umano che impressionerà i telespettatori, non fornirà spiegazioni ma solo emozioni. Altrimenti dette propaganda.
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Civili come scudi umani. Così si arriva alla strage "
Fiamma Nirenstein
Di nuovo e ancora di nuovo, quando Israele è costretta a combattere, la BBC, la CNN, Al Jazeera si affrettano a denunciare orribili stragi perpetrate contro cittadini innocenti dai pessimi soldati israeliani, per poi dovere, nel tempo, ammettere che invece si è trattato di una durissima battaglia su un terreno fitto di combattenti mescolati a cittadini nelle cui case sono state stipate le armi, le rampe di lancio, nelle cui cantine si trovano le imboccature delle gallerie che sono l'autostrada degli attentati terroristi. Proprio come a Jenin, nell'West Bank, nell'aprile 2002 (dal posto testimoniammo la battaglia) dopo lo scontro i palestinesi con l'aiuto dell'ONU gridarono a una strage di 500 persone, per poi arrivare alla conclusione che erano stati uccisi 52 palestinesi e 23 soldati israeliani. Si era nel pieno della Seconda Intifada, quando gli autobus e i caffè saltavano per aria, Ariel Sharon lanciò "Scudo di Difesa" e fermò i terroristi suicidi. Ieri a Sajaia, un'enorme quartiere di Gaza, circa 80mila abitanti, si è verificata una situazione analoga in una battaglia per liberare Israele dall'assedio dei missili. Durante la notte, dopo avere ripetutamente chiesto alla popolazione di sgomberare la zona (e molti se ne sono andati), l'esercito israeliano ha attaccato. Gli obiettivi sono molto precisi: si devono trovare i depositi di armi, distruggere le rampe di lancio dei missili e i missili stessi, verificare se sono nascosti nelle case, nelle cantine, nelle scuole, negli ospedali. Sajayie è una delle principali fortezze di Hamas, con almeno dieci imbocchi di grandi gallerie, nascondigli di armi, manifatture di missili, centri organizzativi del terrorismo. I soldati sono dentro Gaza anche, e forse soprattutto, per scovare gli imbocchi delle gallerie (centinaia) che servono da rifugio e da passaggio per l' organizzazione integralista islamica che dall'interno di Gaza prepara attentati e rapimenti. Anche ieri ne è stata trovata una enorme sotto il kibbutz di Netiv Assarà. Anche nelle ultime ore i terroristi in Israele spuntano dalla terra presso il confine, anche se già una trentina di gallerie siano state eliminate. Se ieri il tentativo di prendere il kibbutz Ein ha Shlosha dalle gallerie fosse riuscito, ci sarebbe ora centinaia di morti e forse, questo valutano gli esperti, un rapimento di massa di bambini. Ieri a Sajayie è successo di nuovo quello che accade nelle guerre asimmetriche, dove i terroristi si mescolano con i cittadini, le case sono minate e saltano per aria se solo ci si entra, la gente diventa scudo umano. Dopo la battaglia si danno ora numeri fra i 60 e gli 80 morti palestinesi, purtroppo sembra siano numerosi, lo si vede nelle immagini TV, anche donne e bambini feriti. Ma Israele non ha compiuto una strage, come ieri tutto il mondo arabo ha ripetuto: ha combattuto una durissima battaglia di sopravvivenza, in una casbah di viuzze minate e agguati. Oltre ai cinque morti militari e ai 55 feriti (tutti soldati) di venerdì, con vari agguati Hamas riusciva a uccidere ieri, nella notte fra sabato e domenica,13 soldati dell'unità dei Golani, la più popolare d'Israele, e a ferirne 15 fra cui 8 molto gravi. Sette soldati sono stati colpiti dentro il loro mezzo corazzato, gli altri presso una galleria, altri dentro una casa e in altre situazioni. Il comandante sul campo reagisce alle accuse di avere ucciso civili innocenti spiegando che i soldati hanno fatto di tutto per evitare di colpire persone non implicate nella battaglia, mentre Hamas fa di tutto per colpire i cittadini, e usa i suoi come scudo. Mentre le televisioni nel mondo trasmettevano invocazioni e immagini terribili denunciando una strage "come quella di Sabra e Chatila" la tv di Hamas si vantava di aver ucciso i soldati israeliani. Ma va notato che a Sajayie si è notato un esercito di guerriglieri disordinati mescolati cinicamente alla gente, fonti locali raccontano che alcuni correvano carichi di armi fra i civili. La richiesta che Hamas accetti il cessate il fuoco si sente, secondo fonti, fra la sua gente. John Kerry come Ban Ki-moon che è già in zona, è in arrivo. Alla tv ha dichiarato che Israele, dato che bombardano le sue città, ha il diritto e il dovere di fermarli. Peccato, che nel suo stile da ragazzone disinvolto, si sia lasciato andare a microfono aperto a un commento che diceva: "Altro che operazione di precisione, l'escalation è significativa, dobbiamo andare lì stasera stessa". Poi però ha precisato di nuovo che Israele ha diritto a difendersi. Anche Laurent Fabius, qui nei giorni scorsi, ha detto lo stesso, come Angela Merkel, e gli inglesi sono d'accordo. Aspettiamo che il nostro governo prenda posizione: non basta dire "cessate il fuoco". Ciò che è in giuoco è la guerra contro il terrorismo, e ci riguarda tutti.
Maurizio Molinari descrive le operazioni militari, in particolare nle quartiere di Shejaiya, una roccoaforte di Hamas, dalla quale sono partiti molti dei razzi sparati contro Israele e che è percorsa da un fitto reticolo di tunnel.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Truppe speciali all'assalto della Maginot di Hamas. Strage tra le case bunker "
Maurizio Molinari È Shejaiya il teatro della più cruenta battaglia di terra fra Israele e Hamas dall’inizio dell’operazione «Protective Edge». Sono passate da poco le 22 di sabato quanto le navi a largo di Gaza e le artiglierie sul confine iniziano il fuoco incrociato sui quartieri orientali di Shejaiya. Durano tutta la notte. Said Jaber, 23 anni, si rintana con i 17 componenti della sua famiglia in due stanze della casa. «È stato un inferno, schegge ovunque, tremava tutto attorno a noi», racconta. Le fortificazioni di Hamas Il bombardamento si concentra sulla prima linea di difesa creata da Hamas. Si tratta di case trasformate in bunker, dalle quali si accede a tunnel che penetrano fino in territorio israeliano o si diramano verso la Striscia. Dalla fine di «Pillar of Defense» nel novembre 2012 il comandante militare di Hamas, Mohamed Deif, ha scelto di creare qui, come in altri quartieri esterni alle aree abitate, una rudimentale linea Maginot disseminata di trappole per gli israeliani. Obici e missili dal cielo servono per spianare la strada ai Golani. La «Prima brigata» dell’esercito israeliano entra con centinaia di soldati che procedono in fila indiana attraverso i campi, affiancati da carri armati e blindati. Trappola per i Golani È questo il momento che Deif aspettava per colpire. Sono le unità armate di lanciagranate e rudimentali missili anti-tank a sparare ad alzo zero sui soldati. Gli scontri sono cruenti, ravvicinati. Raslan Alan, il primo comandante druso dei Golani, viene ferito e 13 suoi soldati vengono uccisi. I feriti sono almeno 40. Per le radio di Hamas «sono caduti in una trappola» perché «i nostri eroi li hanno spinti su un campo minato». Altre fonti palestinesi parlano di «successo dei missili anti-tank» che riescono a bucare le corazze dei blindati leggeri, come il «Puma». È già avvenuto nei giorni scorsi. Ma questa volta si lega al bilancio più pesante per le truppe israeliane dall’inizio delle operazioni. Per evidenziare la «vittoria militare» Hamas diffonde i «trofei catturati»: un fuoristrada squarciato e due mitra nemici fotografati sullo sfondo di una bandiera inneggiante ad Allah. E nella notte annuncia la cattura di un soldato, spiegando che si tratta di Shaul Aron, il cui numero di matricola è 6092065, spingendo migliaia di persone in piazza a festeggiare. La grande fuga L’avanzata di Tzhal attraverso campi, trappole e case-bunker trasformate in cumuli di macerie è sostenuta dai tank che sparano verso l’interno di Shejaiya procedendo lungo Mansura Street. La parte alta della strada è trasformata in un deserto. Almeno 35 mila persone sono in fuga verso Ovest, si spostano come possono verso Jabalya, il più grande capo profughi a Nord della Striscia dove le Nazioni Unite aprono le scuole per accoglierli. Si ripete lo scenario della scorsa settimana, quando almeno 20 mila persone avevano lasciato Beit Lahiya. Sono già 81 mila i palestinesi che hanno lasciato le loro case. Abu Hammer, 30 anni, da Beit Lahiya era andato da parenti a Shejaiya ma ora deve fuggire ancora. Assieme a lui Esam Hahhiag, 17 anni, Rami Halil, 16 anni. Ripetono solo una frase: «Noi non siamo di Hamas, con questa guerra non c’entriamo». Camminano assieme verso Ovest circondati da famiglie su carretti, macchine che corrono ad alta velocità stracariche di persone e bagagli, anziani circondati da figli e nipoti. Fuggono perché l’esercito israeliano fa di tutto per spingerli ad andare via. Il capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, lo spiega così: «Gettiamo volantini, telefoniamo, mandiamo sms, vogliamo che si allontanino per evitare di coinvolgerli negli attacchi». La roccaforte dei razzi Da Shejaiya sono partiti almeno 140 dei 1800 razzi lanciati contro Israele negli ultimi 13 giorni, i genieri hanno già trovato 14 tunnel, dozzine di accessi e depositi di armi sotterranei. «Shejaiya è una roccaforte di Hamas» spiega Ariye Shalicar, portavoce militare, sottolineando che «è da zone come questa che i terroristi attaccano le nostre città». A confermarlo è il monumento al razzo a lungo raggio M-75 che Hamas ha scelto di dedicare proprio in questo quartiere ad Ahmed Jabari, il comandante militare eliminato da Israele nel 2012 considerato il regista del rapimento del caporale Gilad Shalit. Conquistare questo quartiere rientra nella tattica di «Protective Edge» che Yossi Melman, analista militare, descrive così: «Le truppe stanno creando una fascia di sicurezza, o una zona cuscinetto, larga fra 1 e 3 km lungo l’intero confine con Gaza, che è lungo 50 km». È un’operazione che mira ad allontanare i miliziani di Hamas dalle città israeliane, spingendoli a ritirarsi verso i centri più densamente popolati a ridosso della costa. Verso mezzogiorno Hamas chiede il cessate il fuoco per evacuare morti e feriti. Tzhal accetta la sospensione temporanea degli scontri e le autoambulanze della Mezzaluna Rossa raccolgono almeno 87 salme e 288 feriti, portandoli in gran parte all’ospedale Shifa di Gaza. L’intesa è per 120 minuti di silenzio ma dopo 45 minuti Hamas riprende il fuoco. Israele prolunga comunque la scelta unilaterale fino alle 17.30. «Ogni ora che passa si indeboliscono» assicura il generale Gantz, avvertendoli: «Non ci fermeremo». Un diluvio di ordigni Con l’arrivo della sera i bombardamenti riprendono. Navi, artiglieria ed F-16 - che sfrecciano bassi nel cielo - rovesciano un diluvio di ordigni sulle posizioni tenute da Hamas al centro di Shejaiya nascosto da nuvole di fumo nero visibili a decine di km di distanza. Ma i miliziani sono sottoterra, sparano da bunker che accedono a gallerie grazie alle quali possono spostarsi, ricevere rifornimenti e continuare a lanciare razzi. Che in effetti segnano il cielo, decollando verso le città del Sud di Israele: Beersheva, Ashkelot, Netivot. Se le truppe di Tzahal combattono in superficie, i miliziani di Deif da sottoterra. È un conflitto asimmetrico non solo per la diversità di armamenti - jet contro razzi - ma per il terreno di battaglia. Hamas è convinto di poter prevalere perché «continuiamo a sorprenderli militarmente e non sono in grado di sopportare perdite», dice Sami Abu Zuhri, portavoce del leader Islail Haniye. Fra le vittime a Shejaiya c’è uno dei figli del leader di Hamas, Khalil al-Hayya, assieme a moglie e due figli. Per Abu Zuhri «queste azioni sono crimini di guerra che il mondo non può tollerare». La replica arriva dal premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Il nostro unico obiettivo sono i terroristi, andremo fino in fondo».
Nel seguente articolo Molinari descrive invece un’altra tecnica terrorista, che non porta la firma diretta di Hamas che però, controllando tutto il territorio, non può che appoggiarla. LA STAMPA- Maurizio Molinari: " Le bande jihadiste a caccia di ostaggi. Occidentali in fuga"
L’atmosfera per i reporter stranieri nella Striscia diventa pesante e un folto gruppo tenta di lasciare Gaza. È avvenuto ieri, a seguito di un tam tam di voci in crescendo secondo le quali gruppi o bande irregolari di militanti jihadisti non legati a Hamas avrebbero avuto l’intenzione di catturare dei reporter per adoperarli come scudi umani proteggendosi in questa maniera dagli attacchi israeliani. Un numero consistente di reporter, di carta stampata e tv, appartenenti a più Paesi, si è così organizzato per lasciare la Striscia in maniera molto visibile. Un corteo di più auto, con vistose insegne «Press» su portiere e bagagliai, bandiere bianche e insegne internazionali si è così mosso, procedendo lentamente dal centro di Gaza per raggiungere il check-point di Hamas e poi spostarsi verso il confine israeliano. La scelta di procedere tutti assieme, con una carovana di mezzi riempiti in ogni ordine di posti, puntava proprio ad evitare movimenti solitari di reporter nella zona del confine, dove i combattimenti sono più intensi e i rischi maggiori. Arrivati e sbarcati dalle auto, i reporter sono stati singolarmente identificati da ufficiali di frontiera di Hamas che hanno dato a tutti luce verde per il passaggio della frontiera. Il transito è così iniziato, in una zona teatro di intensi bombardamenti, a piccoli gruppi. I primi due gruppi, per un totale di sette reporter, sono riusciti ad arrivare a piedi al terminal della frontiera israeliana. È proprio nel momento in cui sono entrati nel terminal che, dal lato palestinese, è partito almeno un razzo mirato contro il confine israeliano. Si è trattato di un attacco diretto, che ha fatto scattare le procedure di sicurezza sul lato israeliano, portando la polizia di frontiera alla decisione immediata di chiudere il valico. La conseguenza è stata che gli altri reporter ancora in attesa sul lato di Hamas - almeno una decina - si sono trovati nell’impossibilità di procedere. Hamas a sua volta ha comunicato loro l’immediata chiusura del transito e quindi sono dovuti tornare a Gaza, con la conseguente decisione di aumentare le misure di sicurezza personale. Il valico di Erez fra Israele e Gaza è fra i più sofisticati e blindati esistenti, prevede un lungo percorso a piedi in una zona di nessuno e dall’inizio delle ostilità fra Israele e Hamas è stato più volte oggetto di attacchi da parte di razzi palestinesi. Sul lato di Gaza vi sono due check-point, uno gestito dall’Autorità nazionale palestinese e l’altro da Hamas. Quest’ultima postazione è stata colpita pochi giorni fa dall’artiglieria israeliana ed è ora ridotta in macerie, obbligando la polizia di frontiera di Hamas ad operare da una posizione protetta, poco distante.
Francesca Paci intervista un abitante di Gaza contrario alla guerra di Hamas. Ve ne sono probabilmente molti come lui, trascinati nel conflitto solo dalla volontà del gruppo islamista di usarli come scudi umani. Purtroppo, in genere non vengono intervistati dalla nostra stampa
LA STAMPA - Francesca Paci: " Mi sono svegliato, ero finito in trincea"
Francesca Paci
Mohammed Sabtia, è laureato in letteratura inglese e fa il traduttore, ha compiuto 27 anni 4 giorni fa, poche ore prima dell’invasione. Fino a ieri viveva a Shejaiya, il quartiere a nord di Gaza City teatro degli ultimi violentissimi scontri: «Alle 7,30 abbiamo raccolto soldi, documenti, computer e siamo scappati, io, i miei genitori, fratelli, sorelle, cugini, siamo una famiglia numerosa e abitavamo tutti vicini, una dozzina di case. Mentre ci mettevamo in marcia, 4 km a piedi per raggiungere l’amico che ci ospita a sud di Gaza City, alle nostre spalle sono iniziati i raid: vedevo il fumo e sapevo che era il mio passato mentre davanti a me, nella colonna in fuga, le bombe colpivano a caso e la gente cadeva ferita. Da una settimana gli israeliani telefonano per dirci di evacuare, ma stando a 2 km dal confine ci sentivamo sicuri. Abbiamo deciso di andar via perché sabato notte ci siamo accorti che Hamas preparava armi e postazioni nella nostra strada e la mattina ci siamo svegliati in una specie di trincea. Mai visto nulla del genere. Sono uno normale, mi piacerebbe trasferirmi in Belgio e sposarmi, non passo la giornata a lanciare missili ma a studiare. È molto peggio delle volte scorse e per giunta veniamo da 2 anni durissimi a causa dei problemi di Hamas con l’Egitto. Sono confuso, se l’Egitto aprisse davvero Rafah correrei. Non so se rifiutare la tregua egiziana sia stato un errore, forse ci umiliava, non so più quali condizioni sarebbero dignitose, ma so che oggi accantonerei il sogno di emigrare e accetterei la condanna di stare a Gaza per sempre pur di avere in cambio la fine di questo inferno».
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