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La Repubblica - L'Unità Rassegna Stampa
19.07.2014 I numeri del conflitto li fornisce Hamas, Israele è a priori l'aggressore
Critiche a Fabio Scuto e Moni Ovadia

Testata:La Repubblica - L'Unità
Autore: Fabio Scuto - Moni Ovadia
Titolo: «Tra i civili di Gaza in fuga verso un riparo che non c’è ostaggi dei tank d’Israele e delle bugie di Hamas - L'unica la sola la sempiterna vittima»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi 19/07/2014 a pagg. 12-13 l'articolo di Fabio Scuto dal titolo 'Tra i civili di Gaza in fuga verso un riparo che non c’è ostaggi dei tank d’Israele e delle bugie di Hamas'

Fabio Scuto cita dati sul numero delle vittime palestinesi e sulla proporzione di quelle civili senza indicarne la fonte. Si tratta di Hamas, che controlla il ministero della Santità a Gaza. I dati non sono verificati e inoltre non tengono conto del fatto che un membro di un gruppo terroristico può benissimo non indossare una divisa ed essere pertanto un 'civile", sebbene, naturalmente, non un civile innocente.

Moni Ovadia sull'UNITA' nell'articolo a pag. 13  dal titolo "L'unica la sola la sempiterna vittima" imputa a Israele e ai suoi sostenitori un "vittimismo"  che sarebbe all'origine del perpetuarsi del conflitto.
Scrive
: "Per esempio, Gaza dopo l'evacuazione dei coloni ad opera di Ariel Sharon è stata ridotta a una gabbia sigillata, il suo territorio, le sue acque territoriali, i suoi confini, il suo spazio aereo sono sotto il controllo dell'esercito israeliano, le risorse idriche, l'energia elettrica è sotto il controllo delle autorità israeliane, i movimenti dei cittadini, persino la loro identità sono sottoposte al controllo di Israele, il flusso delle merci e di quali merci lo decidono sempre gli organi di controllo dello stato di Israele, la popolazione palestinese gazawi vive in una condizione infernale, sottoposta allo stillicidio di un assedio permanente, il numero delle sue vittime civili e innocenti dei ripetuti conflitti con l'assediante è pauroso... Chi è la vittima? Israele".
In realtà, le misure di controllo ai confini di Gaza, descritte da Ovadia ricorrendo alle falsità della peggiore propaganda antisraeliana, sono rese necessarie proprio dall'aggressione di Hamas. Israele, dal momento che si difende, non è una vittima inerme, ma non vi è dubbio che sia l'aggredito.


Conferenza stampa del ministro della Sanità a Gaza

Di seguito, l'articolo di Scuto:




GAZA Corre scalza sull’asfalto bollente di mezzogiorno, una bimbetta di due-tre anni. Il viso impolverato, rigato dalle lacrime, è sola in questa stradina deserta di Sharjah che è un tappeto di detriti, vetri, immondizia e schegge di bomba ancora fumanti. Non piange. Non urla. Non è ferita, non sanguina ma ha gli occhi sbarrati e trema come una foglia. La sua casa era una di quelle lungo questa strada, che adesso sono accartocciate come uno straccio, da dove sale un odore di plastica bruciata, di fogna, di sangue e di morte. Sotto ci sono i suoi genitori, di cui forse non sapremo mai il nome. Lei invece si chiama Safah e si fa prendere in braccio da uno sconosciuto e si fa portare via, al riparo contro l’unico muro rimasto ancora in piedi. Minuti interminabili finché il bombardamento finisce e arrivano i soccorsi, da quelle case ridotte a tuguri escono decine di persone col volto disfatto dal terrore. Si avvicina un parente che la riconosce, lei tende le braccine finalmente verso un volto familiare. E poi via tutti insieme, in una folle corsa verso la bandiera dell’Unrwa che sventola su una scuola a meno di 500 metri di distanza. La “Jabalya Primary School” è stata aperta alle prime luci dell’alba per accogliere una nuova ondata di sfollati, spinti a lasciare le case prima con volantini e sms, poi con i proiettili ad altra penetrazione sparati dai Merkava 5schierati lungo tutto il confine nord della Striscia da dove partono buona parte dei razzi diretti contro Israele. In meno di due ore quattromila persone hanno varcato questo cancello per chiedere aiuto. La battaglia della notte scorsa, con le prime operazioni di terra delle truppe speciali israeliane dentro la Striscia e un bombardamento con un colpo ogni trenquasi ta secondi, ha spinto decine di migliaia di persone a cercare scampo sotto la bandiera blu dell’Onu, gli sfollati nelle scuole sono oltre quarantamila e più di centomila i senzatetto. Hamas, invitato ad accettare i termini di un cessate-il-fuoco, non sembra interessato a mettere fine a questa tragedia. I razzi continuano a partire contro le città israeliane, attirando la reazione da ogni fronte, dal mare dove due cannoniere aprono il fuoco a ritmo costante, da terra dove artiglieria e carri armati sparano su qualunque cosa si muova o sia identificata come sospetta. Il bilancio delle vittime cresce di ora in ora, quasi trecento i morti tutti civili – almeno 55 sono bambini – oltre duemila i feriti negli ospedali. I cieli di Gaza sono affollati di caccia F-16 che sfrecciano altissimi prima di lanciare i missili, più a bassa quota volano come calabroni i droni con i loro “Hellfire” che riempiono il silenzio spettrale di Gaza con il lugubre ronzio dei motori che annunciano la morte. Le strade – che in quella breve tregua umanitaria di giovedì si erano riempite di nuovo – sono tornate deserte e spettrali: negozi sbarrati e mercati chiusi, la vita è di nuovo sospesa. Per strada solo le auto di giornalisti e reporter con la scritta TV sul tetto per evitare nuovi drammatici errori come nelle passate guerre nella Striscia, ma spesso non basta. Perché la vita e la morte corrono insieme a Gaza, basta prendere la svolta sbagliata in un villaggio abbandonato sul confine. I boss di Hamas e della Jihad islamica non danno importanza a questa tragedia, al sicuro nei loro bunker sotterranei, dall’inizio dell’operazione “Protective Edge” sono diventati “fantasmi” e parlano solo attraverso i portavoce, che si esprimono nello stesso linguaggio dei generali di Saddam prima della disfatta del 2003. Descrivono una realtà piena di vittorie, del nemico israeliano in ritirata dopo aver subito incredibili perdite. Dalla tv Al Aqsa e dalle radio proseguono nella campagna di trasfigurazione della realtà. «Stiamo vincendo, i palazzi di Tel Aviv bruciano, i nostri uomini hanno respinto l’assalto dei sionisti », dice lo speaker di Radio Al Quds sui 106.3 dell’FM. Non escono jingle e canzonette dall’autoradio, ma lugubri canti di guerra intervallati dal sordo boato dei razzi che partono verso Israele. Sorvolano sul fatto che il sistema di difesa Iron Dome li polverizza come entrano nel territorio israeliano, che l’altra notte l’incursione notturna di migliaia di soldati di Tsahal ha distrutto dieci tunnel usati per infiltrare miliziani e compiere attacchi oltreconfine, che una quindicina sono stati catturati, che decine di rampe di lancio sono state identificate e distrutte prima che gli israeliani si ritirassero dalla Striscia, avendo subito una sola vittima, forse ucciso da “fuoco amico”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu era stato restio a lanciare un'offensiva di terra consapevole dei rischi. Hamas si è preparato per anni allo scontro e ha disseminato il terreno di trappole esplosive, è pronto all’imboscata in ogni piccolo villaggio e cittadina, ogni macchina potrebbe trasformarsi in un’autobomba. E l’alta densità della popolazione di Gaza trasformerebbe una invasione di terra in una carneficina per i militari e per i civili. Per questo i comandanti israeliani hanno scelto la strategia di incursioni di terra – anche in profondità per 3-5 chilometri – e il successivo ripiegamento sulla linea di confine. Sarà un’altra notte buia per quasi 1 milione di abitanti da giorni senza elettricità e senza l’acqua salmastra a malapena buona per lavarsi, con l’incubo di nuovi bombardamenti. A casa di Ahmad Battir che è sulla Salaheddin di Gaza City si prepara l’Iftar, la cena che rompe il digiuno del Ramadan, un tempo ricca di carne, riso, verdure fresche, frutta e gli immancabili kataef , il dolce fritto con miele e nocciole. La tovaglia è stesa in terra, perché il tavolo è stato messo davanti alla finestra per timore che un’esplosione trasformi il vetro in una miriade di schegge, e nei piatti al centro ci sono datteri, il pane del giorno prima e un barattolo di marmellata. Ma l’ospitalità è sacra. Si divide con l’ospite il poco che c’è. «Non mi importa delle privazioni », mormora sulle scale al momento del commiato Ahmad, «ma spero che il dio di tutte le religioni ci dia almeno una notte senza bombe»

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