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Testimonianza mentre suona la sirena 18/07/2014

Erano le 8 e mi dondolavo sulla mia nuova sedia rossa, mentre il mio bimbo di tre mesi mi regalava uno dei suoi primi sorrisi del mattino. Improvvisamente la sirena. I primi attimi sono sempre gli stessi: il cuore si ferma, perde un battito. Forse lo sto immaginando ancora. Perché da quando hanno cominciato a sparare missili io i rumori li ascolto tutti. Non sono mica nata qui a Tel Aviv. Mi devo abituare. Mi alzo dalla sedia e trascino il mio cane, chiamo mio marito e mia mamma, venuta a trovare per pochi giorni il suo primo nipote. Poi chiudo dietro di me la porta del bunker. Appena mi siedo un «boom» risuona nella stanza. Poi un altro. Un altro ancora. E la porta si apre improvvisamente. Non parliamo, per qualche secondo. Aspettiamo. In silenzio. Forse è finita, per ora. Usciamo. Ho paura e abbraccio il mio bimbo. Eppure mi sento fortunata! Avrò impiegato 45 secondi a scendere nel bunker. La sirena dà un margine di 1,5 minuti. A Sderot hanno 15 secondi per salvarsi: forse lì non sopravviverei.
Io a Tel Aviv sono venuta assieme a mio marito che è ebreo e israeliano. Sono una dottoressa. E sono una normale ragazza romagnola. La mia vita è stata sempre tranquilla. Ora sono spettatrice in un mondo diverso dal mio. Non è stato sempre facile. Ho imparato che gli israeliani sono difficili. Cocciuti. Orgogliosi. Ma che sono anche persone buone. Con un cuore grande. Sono sognatori. E sanno combattere come nessun altro per i loro sogni. Per capirlo bisogna solo venire in Israele.
Sono specializzanda in Cardiochirurgia e almeno la metà della mia giornata lavorativa la passo in sala a operare bimbi con patologie cardiache e provenienti da tanti Paesi nel mondo. E’ risultato dell'enorme sforzo di una associazione israeliana, "save a child's heart". Il mio primario, il dottor Lior Sasson, opera almeno due bimbi al giorno. Non si prende vacanze. Torna in ospedale a tutte le ore della notte. E lo sapete da dove vengono la magggior parte dei bambini? Da Gaza. Quella stessa che ora mi rinchiude con il mio bambino dentro questo bunker e minaccia di abbattere l'aereo che mia mamma prenderà oggi per tornare in Italia dopo essermi venuta a trovare.
Nonostante i missili e le minacce, però, il mio cuore è pieno di forza, e posso solo essere orgogliosa di essere una cittadina di questo meraviglioso Paese che è Israele, capitale dell’Umanità, della Compassione e dell’Inventiva.

Giulia Pula Machtey, Medico al Wolfson Medical Center di Holon


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