Israele tra Hamas, al Sisi, Mogherini Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
A destra, la differenza tra i soldati israeliani e i terroristi di Hamas
Mentre il Gabinetto di Sicurezza autorizza il richiamo di altri 8.000 riservisti, oltre ai 42.000 già in servizio dall’inizio dell’Operazione “Zuk Eitan”, Israele accetta la proposta di un cessate il fuoco ‘umanitario’ di 5 ore. Una scelta che non deve né stupire né lasciar credere in un atteggiamento remissivo da parte del governo israeliano, che aveva già accettato il cessate il fuoco che sarebbe dovuto essere messo in atto se Hamas non l’avesse rifiutato, continuando in maniera ossessiva il lancio dei missili sul territorio israeliano. Oggi i commenti affrontano il ruolo che l’Egitto sta avendo nel conflitto. Da un lato c’è il generale Abdel al-Sisi, nemico giurato della Fratellanza Musulmana – della quale Hamas è tuttora stretto alleato- che continua le attività terroriste nel Sinai, dall’altro c’è però il ruolo dell’Egitto nelle vicende mediorientali, che al Sisi sta cercando di recuperare al proprio paese. Il fatto che Netanyhau proponga la totale demilitarizzazione di Gaza, la chiusura dei tunnel, dove sono nascosti gli armamenti di Hamas, non può che trovare favorevole il governo egiziano. I tunnel sono una minaccia tanto a Israele quanto all’Egitto. Nel proporre un cessate il fuoco, al Sisi non aveva neppure consultato Hamas, relegandolo a un ruolo decisamente subalterno, mentre rafforzava il proprio ruolo di fronte a Washington. Ma qui entrano in gioco quei tribali concetti dell’onore, comuni al mondo arabo-musulmano, Egitto compreso. Tutti ricordiamo quando Nasser, dopo essere stato sconfitto da Israele nella guerra dei 6 giorni, annunciò al popolo egiziano plaudente, di avere distrutto il ‘nemico sionista’. La storia si ripete, ad Hamas serve un’uscita ‘onorevole’, cosa non facile, dopo che l’organizzazione terrorista ha sbagliato tutti i suoi piani di guerra. Israele aspetta, mentre gli Iron Dome continuano a centrare con quasi assoluta precisione i razzi che arrivano da Gaza.
Federica Mogherini con Avigdor Lieberman ad Ashdod
E’ terminata ieri la vista della Ministra degli Esteri italiana Federica Mogherini, accompagnata dall’Ambasciatore d’Israele a Roma Naor Gilon. Dopo essersi incontrata con i massimi rappresentanti delle due parti in conflitto, ed essere stata al sud di Israele, vedendo con i propri occhi che cosa significa vivere sotto l’incubo degli attacchi missilistici, è stata ricevuta ieri sera dalla Comunità italiana in Israele, che ha ascoltato con pazienza e gentilezza il suo saluto. Lo stile è stato quello in voga oggi, soprattutto in Italia, quello che Papa Francesco a diffuso con indubbio successo. Non entrare nel vivo dei problemi – perché significherebbe prendere posizione- ma dare l’impressione di averli compresi e quindi di essere dalla parte di chi ascolta. Poco importa poi se le domande non ottengono risposta, ciò che conta è ripetere in continuazione la parola magica, pace, distribuire con generosità buoni propositi, trattare i conflittuanti con eguale distribuzione di responsabilità, soffermandosi di più con chi ha avuto molte vittime, facendo attenzione però a non chiedersi il motivo. Un incontro che non lascerà tracce, ma nemmeno ostilità. Mogherini non vestiva più i panni della fan di Arafat, un passato giovanile, né era al seguito della Morgantini. Un piccolo passo avanti, sufficiente ad accontentare un pubblico che non dimentica però la lunga tradizione italiana di stare dalla parte dei nemici di Israele, una tradizione che fatica a tramontare.
Di seguito, il video dell'incontro tra Benjamyn Netanyahu e Federica Mogherini
https://www.youtube.com/watch?v=pKHf-0GpJpw
Angelo Pezzana
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