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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
14.07.2014 L' arsenale di Hamas, l'impotenza della diplomazia
verso il gruppo islamista come verso l'Iran

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Guido Olimpio - Paolo Valentino - la redazione
Titolo: «Cimici e commando, la caccia agli arsenali di Hamas - Guerra a Gaza, si muove l’Europa. Ma i razzi e le bombe continuano - A vuoto il summit del 5+1. Accordo con l'Iran più lontano»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/07/2014, a pag. 2, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "Cimici e commando, la caccia agli arsenali di Hamas "e l'articolo di Paolo Valentino dal titolo "Guerra a Gaza, si muove l’Europa Ma i razzi e le bombe continuano". Dalla STAMPA, a pag.  5, l'articolo dal titolo "A vuoto il summit del 5+1. Accordo con l'Iran più lontano".

Di seguito, gli articoli:

rocket map with m-302
L'arsenale di Hamas


CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: " Cimici e commando, la caccia agli arsenali di Hamas  "


Guido Olimpio

Raid aerei su Gaza, incursioni di commandos. Dall’altra parte lanci di razzi su Israele e messaggi mediatici. Tiri preceduti da un conto alla rovescia sugli schermi tv, come sui social network, per «avvertire» il nemico. La contabilità del conflitto dice che Hamas ne ha sparati quasi 900, oltre un centinaio solo domenica. Gli artiglieri hanno accentuato il fuoco in concomitanza con l’apertura dei tg israeliani che hanno rilanciato immagini e suoni di sirene in una ventina di località, compresa Gerusalemme. Una giornata trascorsa tra le esplosioni e gli allarmi. Compresa una segnalazione infondata di un ordigno M302 persino nella zona di Nahariya, nel Nord del Paese.
Hamas ha continuato ieri nella sua strategia e non ha motivo — per ora — di cambiare, sapendo che tocca a Israele prossima mossa. I soli bombardamenti aerei non bastano a disinnescare la minaccia e la prospettiva di un’invasione di Gaza piace poco ai generali. Meglio azioni mordi e fuggi per neutralizzare, se possibile, nascondigli e depositi, siti protetti perché ben mimetizzati o chiusi in tunnel. Ripercorrendo i passi compiuti da nordcoreani, iraniani e Hezbollah, i palestinesi hanno messo in piedi un sistema di postazioni per i razzi attorno a tre poli: a ridosso del confine nord di Gaza, nel centro, e nella parte meridionale. Ordigni lanciabili da piccoli veicoli, camioncini e «bunker».
L’arsenale è cresciuto grazie alle forniture iraniane e siriane, integrate dai «pezzi» prodotti localmente in semplici officine. Nel 2001 Hamas aveva solo i Qassam, un razzo che arrivava ad appena 3 chilometri di distanza. Nel 2008 il salto di qualità con i Fajr 5 arrivati da Teheran e gli M75 costruiti «in casa». Oggi hanno allungato il raggio d’azione con l’impiego degli M302, con i quali «battono» zone a 150-170 chilometri, nella parte settentrionale di Israele. A chiudere lo schieramento i vecchi Grad acquistati attraverso i trafficanti egiziani e quelli libici.
La risposta di Israele è stata su più livelli. In marzo la Marina ha intercettato vicino alle coste sudanesi la Klos C , una nave piena di razzi forniti dai mullah iraniani. Il Mossad ha preso di mira i «commercianti», riuscendo a piazzare delle cimici elettroniche in alcuni carichi bellici e in questo modo ha potuto seguirli fino a destinazione. Un aiuto è arrivato dagli egiziani che hanno bloccato delle spedizioni: l’ultimo episodio tre giorni fa a Rafah.
La cadenza di sparo mantenuta da Hamas in questi giorni — e la stessa cosa è avvenuta in occasione delle altre crisi — è la prova però che l’azione di contrasto ha un impatto limitato. E le incursioni affidate ai caccia presentano dei limiti. Non è facile trovare i bersagli anche per un’aviazione ad alta tecnologia. Molto importanti gli informatori che si muovono sul terreno, ma sono nel mirino del controspionaggio di Hamas. Per loro c’è la cella o il plotone d’esecuzione.

CORRIERE della SERA - Paolo Valentino: "Guerra a Gaza, si muove l’Europa Ma i razzi e le bombe continuano  "


Paolo Valentino


NEW YORK — Si stanno muovendo tutti, nella partita mediorientale: americani, europei, arabi, le Nazioni Unite. I bombardamenti israeliani sulla striscia palestinese e i razzi lanciati da Hamas contro le città ebraiche, proseguiti anche ieri sia pur con minore intensità, hanno innescato una gigantesca operazione diplomatica fatta di telefonate, incontri, visite lampo e pressioni, tanto frenetica quanto al momento priva di ogni conseguenza significativa sul campo.
Almeno a parole il segretario di Stato John Kerry continua a provarci. Ieri ha parlato al telefono con Benjamin Netanyahu, dicendo al premier israeliano di essere pronto a «dare una mano per arrivare a un cessate il fuoco». Ma la determinazione espressa dagli Usa, di «fare ogni cosa in nostro potere» per una tregua, fosse pure provvisoria e fragile come quella del 2012, si scontra con la doppia impotenza di Washington, che da un lato non vuole e non può esercitare forti pressioni su Israele e dall’altro non ha canali di comunicazione con Hamas.
Così la nuova crisi israelo-palestinese diventa un altro caso, voluto o subìto cambia poco, di «leading from behind», guidare rimanendo indietro, che è ormai la misura della diminuita influenza americana nella regione.
È l’Europa in questa fase a prendere la testa dell’offensiva. Su iniziativa del ministro degli Esteri inglese, William Hague, della crisi di Gaza si è discusso ieri a Vienna, a margine del vertice preliminare sul nucleare iraniano: con il capo del Foreign Office c’erano il segretario di Stato John Kerry e i capi delle diplomazie francese e tedesca, Laurent Fabius e Frank-Walter Steinmeier. «C’è bisogno di una rapida azione concertata internazionale per una tregua. La situazione richiede una trasformazione radicale della situazione a Gaza», ha detto Hague, indicando i temi da affrontare subito: il ripristino del controllo dell’Autorità palestinese sulla striscia, la libertà di movimento legittimo, la fine una volta per tutte della minaccia dei razzi e di altre forme di violenza in partenza da Gaza verso Israele. Anche Fabius ha ribadito che «la priorità assoluta è il cessate il fuoco».
A farsi carico di portare il messaggio direttamente alle parti in conflitto saranno Steinmeier e la nostra Federica Mogherini, al battesimo del fuoco della presidenza italiana della Ue. Il tedesco arriva a Gerusalemme stamane, mentre il capo della Farnesina è attesa martedì. La visita del ministro degli Esteri italiano era in programma da tempo, ma l’acuirsi delle violenze a Gaza e i tanti focolai nella regione, dalla Siria all’Iraq, l’hanno messa al centro del grande lavorio in corso. Mogherini avrà incontri con tutti i dirigenti israeliani e palestinesi, andrà poi in Giordania e infine al Cairo, sempre più snodo cruciale della crisi, visto che l’Egitto del generale Al Sisi appare al momento uno dei pochi interlocutori in grado di trattare con Hamas. Steinmeier e Mogherini coordineranno i loro sforzi in un colloquio domani pomeriggio.
Sull’Egitto, invitandolo a mediare, sta esercitando pressioni anche l’ex premier britannico Tony Blair, che sembra finalmente riscoprire la carica di inviato del «quartetto» (Usa, Russia, Onu e Ue) per il Medio Oriente e ha incontrato al Cairo il presidente Al Sisi. Ma a dispetto delle rassicurazioni egiziane, un portavoce di Hamas ha detto al New York Times che non ci sono state finora «iniziative serie» di Al Sisi «per una tregua».
Anche le Nazioni Unite sono in piena azione. Mentre l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, affronta una drammatica emergenza sul terreno, con decine di migliaia di sfollati da assistere, il segretario generale Ban Ki-Moon ha inviato a Ramallah, in Cisgiordania, il suo rappresentante speciale Robert Serry. È a lui che il presidente palestinese Abu Mazen ha rivolto ieri una formale richiesta scritta di «protezione internazionale» per il popolo palestinese da parte dell’Onu.

LA STAMPA - "A vuoto il summit del 5+1. Accordo con l'Iran più lontano"


La centrale nucleare iraniana di Busher

L’accordo fra Iran e Occidente sul dossier nucleare è ancora lontano. Ieri i ministri degli Esteri iraniano e dei 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, più la Germania), sono tornati a Vienna per tentare d’imprimere una svolta ai negoziati. Ma l’intesa non sembra a portata di mano e il tempo stringe: per rispettare l’intesa provvisoria di gennaio è necessario trovare «la quadratura del cerchio» entro il 20 luglio. «Abbiamo divergenze significative», ha ammonito il segretario di Stato Usa, John Kerry. Un accordo in tempi rapidi «è improbabile», gli ha fatto eco il collega britannico William Hague; mentre il francese Laurent Fabius ha ammesso: «C’è stata una discussione approfondita ma non siamo ancora arrivati a un accordo». È necessario «dare prova di flessibilità», ha avvertito invece il viceministro degli Esteri cinese Li Baodong. Mentre l’iraniano Javad Zarif ha ricordato che «la fiducia deve essere reciproca». Stando a varie fonti, l’unico risultato raggiungibile pare al momento una proroga dei tempi del negoziato.

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