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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
14.07.2014 Missili sul nord di Israele, mentre a Gaza, preavvertita, la popolazione fugge dal fronte
Cronache di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari
Titolo: «Missili sul Nord di Israele. Grande fuga nella Striscia - Blitz sulla spiaggia per fermare Hamas - Quel fiume di carretti in fuga dal fronte. 'Distruggono tutto' -gravissime. Sono le bombe dei droni»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 14/07/2014, a pag.12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Missili sul Nord di Israele. Grande fuga nella Striscia ", dalla STAMPA a pag. 2 l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Blitz sulla spiaggia per fermare Hamas", a pagina 3 l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Quel fiume di carretti in fuga dal fronte. 'Distruggono tutto'" a  pag. 2 l'intervista di Maurizio Molinari al medico Erik Fosse dal titolo "Amputazioni gravissime. Sono le bombe dei droni ".

Di seguito, gli articoli:



Preavvertita da Israele, la popolazione di Gaza fugge dalla zona delle operazioni militari

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Missili sul Nord di Israele. Grande fuga nella Striscia"


Fiamma Nirenstein

Gerusalemme - Giornata di normali missili per Israele: sono caduti su tutto il terreno nazionale, con due brutte sorprese: il primo ferito molto grave a Ashkelon, una ragazzino di 16 anni, più una decina di feriti leggeri; e alcuni missili sul nord estremo di Israele, vicino al confine. Anche ieri erano piombati due missili dal Libano, probabilmente lanciati da un'organizzazione palestinese locale. Ma stavolta gli R16 piovuti su Haifa, la capitale del nord e su Naharia, meno di dieci chilometri dal Libano non sono regali locali.
E' stata Hamas a lanciarli, per ottenere, con i missili da duecento chilometri di gittata, un effetto spettacolare. Hamas sta cercando infatti di accumulare risultati che le consentano di proclamare la sua vittoria quando si arrivi a un qualche accordo fra le due parti. Ogni blitz è una carta da giocare in un eventuale trattativa, ma anche sul terreno interno, per dimostrare ai palestinesi che il potere è saldo, anche se un milione e 800mila cittadini soffrono dopo che è stato negato loro ogni sviluppo per 7 anni in nome di una scelta furiosamente bellicistica.
Tuttavia ieri quando Israele ha diffuso tramite volantini e telefonate la richiesta agli abitanti della zona di Beith Lahia, 60mila abitanti, di lasciare le loro case perchè alle 12 Israele avrebbe bombardato, qualcosa si è mosso. Il bombardamento, spiegava il volantino, era dovuto alla presenza nell'area di pericolose rampe di lancio e missili. Hamas aveva già ordinato nei giorni scorsi alla popolazione di non lasciare le case, in alcuni casi anche di salire sui tetti per dimostrare la resistenza del popolo palestinese, diceva. In realtà per difendere coi loro corpi, da veri scudi umani, le riserve belliche, le strutture di Hamas e i loro capi militari.
Ma a sorpresa almeno 4000 persone si sono rifugiati nelle scuole che l'UNRWA ha aperto per ricevere i fuggitivi. Nei termini della disciplina dell'organizzazione, molto pervasiva e minacciosa, non sono poche. I messaggi informavano che gli attacchi sarebbero stati brevi e che non intenzione dell'esercito solo attaccare le infrastrutture di Hamas. I cittadini che si sono rifugiati, hanno spiegato che lo facevano per salvare i bambini. L'aviazione israeliana prima di attaccare è andata ben oltre l'orario programmato, attaccando al tramonto, verso le sei di sera.
Israele nella notte fra sabato e domenica aveva utilizzato unità speciali che erano penetrate a piedi nel sud della Striscia e avevano distrutto, riportando quattro feriti, un'importane postazione missilistica, individuata come responsabile del 10 per cento dei lanci. Sembra questa la tecnica del primo ministro Benjamin Netanyahu, cercare di evitare un'operazione molto costosa dal punto di vista delle perdite umane e dell'opinione pubblica internazionale, che di ora in ora, come al solito, si scalda in condanne umanitarie contro Israele. Se per caso Hamas dovesse riuscire in uno dei suoi tentativi di compiere una strage o con un attacco terroristico o con un missile, allora Bibi dovrebbe fermare i missili in ogni modo e subito. Fidando sul sistema "Kipat Barzel" e sul sistema di rifugi che salva vite umane senza sosta, il governo al momento seguiterà con azioni dall'aria, mentre cerca di un soluzione senza equivoci di una vittoria di Hamas, e con una ragionevole prospettiva temporale di quiete.
Si ripete l'idea che Hamas potrebbe consegnare i suoi missili a un terzo attore, 2000 sono stati distrutti, 700 sono stati usati, e ne restano nella mani di Hamas la bellezza di 10mila, fra cui 200 di lunga gittata.Un obiettivo che mette l'asta della pace molto alta. Comunque, da Tony Blair al Qatar, tutti cercano un posto al sole di qualche accordo, mentre l'Egitto con l'aria di darsi da fare in realtà aspetta che Israele distrugga il suo nemico Hamas.
Tutti danno volenterosi segnali di preferire la pace alla guerra, fuorchè il partner più naturale, gli Stati Uniti. Obama dichiara di essere molto "concerned", preoccupato, ma non si sa di nessuna iniziativa che coinvolga un'America sempre più indifferente e assente dalle svolte importanti del mondo.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Blitz sulla spiaggia per fermare Hamas"


Maurizio Molinari

Lo scontro militare fra Israele e Hamas si concentra sui razzi a lungo raggio, l’arma più pericolosa presente negli arsenali balistici della Striscia di Gaza. Sono i razzi Al-Fajr, M-75 e J-80 che bersagliano Tel Aviv, Gerusalemme, Lod, Hedera ed arrivano fino a Nord della città di Haifa. L’intelligence militare israeliana fa sapere al premier Benjamin Netanyahu che «Hamas probabilmente possiede vettori con una gittata fino a 150 km». Ciò significa poter colpire ogni angolo di Israele e la risposta delle forze armate arriva all’alba di ieri quando un commando delle forze speciali della Marina - Shayetet 13 - sbarca sulle costa Nord di Gaza per neutralizzare una piattaforma di lancio proprio dei razzi a lungo raggio.
I miliziani di Hamas vengono colti di sorpresa ma reagiscono con le armi pesanti. Il combattimento è aspro, si prolunga per oltre un’ora e illumina la notte di Gaza. Sul terreno restano quattro miliziani di Hamas, il commando si ritira con tre feriti e la piattaforma distrutta. È il secondo scontro in altrettanti giorni fra le truppe speciali israeliani e le brigate islamiche che difendono Gaza. Segno di un’accelerazione militare già incorso. L’intento di Gerusalemme è bloccare il lancio dei razzi più sofisticati - di produzione iraniana, siriana ma anche locale - ma Hamas si prende la rivincita sin dal primo pomeriggio. Nuovi M-75 piovono a grappoli verso Tel Aviv, raggiungono l’area di Gerusalemme e il Nord della Galilea, fino a Nahariya. Il duello non si ferma.
Le vittime civili
Le autorità mediche della Striscia di Gaza parlano di almeno 165 vittime, inclusi 33 bambini e 16 donne, mentre i feriti sarebbero 1085. A pesare è in particolare il bilancio dell’attacco di sabato alla casa del capo della polizia, Tayseer Al-Bash, nel quale sono morte 21 persone - lui incluso - e altre 35 sono state ferite. Il premier Benjamin Netanyahu, al termine di una riunione del governo, accusa Hamas di «usare i civili come scudi umani posizionando razzi, comandi e arsenali in luoghi densamente popolati, sotto scuole e moschee». Aggiungendo: «Quest’operazione prenderà tempo». L’esercito israeliano rende pubblico il video di una conversazione fra un pilota di jet e il comando nel quale un possibile attacco viene annullato per i rischi conseguenti per i civili nell’area. Ad Ashkelon c’è il primo ferito israeliano in serie condizioni: un ragazzo di 16 anni che al momento della sirena non è riuscito a entrare in un luogo protetto ed ha subito l’impatto diretto delle biglie di ferro.
Il fronte del Sinai
Le truppe egiziane schierate nel Sinai hanno trovato a smantellato due lanciarazzi posizionati a Rafah, sul loro lato del confine, per colpire Israele. Sono stati alcuni residenti a notare i razzi, avvertendo le forze di sicurezza. L’episodio conferma la cooperazione fra Egitto e Israele contro i gruppi jihadisti che il giorno precedente avevano rivendicato, con Beit Al Maqqdis, il lancio di cinque razzi sul Negev.
Missili sulla Siria
Sulle Alture del Golan un colpo di mortaio giunto dalla Siria causa l’incendio in un deposito israeliano e la risposta immediata è un attacco missilistico sulle postazioni dell’esercito di Damasco. Israele vuole soprattutto scongiurare un guerra su due fronti.
Disordini in Cisgiordania
A Hebron, Ramallah e Gerusalemme Est per il secondo giorno di seguito gruppi di militanti palestinesi hanno dimostrato a favore di Hamas attaccando con bombe incendiarie le postazioni e i check point dell’esercito israeliano. Nonostante tali disordini a Shuafat e Beit Hanina è stato riattivato il treno leggero di Gerusalemme le cui stazioni erano state distrutte dai disordini seguiti all’uccisione del giovane palestinese di 17 anni Muhammed Abu Khdeir.
Boomerang elettrico
Uno dei razzi lanciati da Hamas ha colpito un cavo di elettricità dentro la Striscia, con il risultato di interrompere la fornitura di corrente da parte di una centrale israeliana a una vasta area urbana della Striscia. Il risultato è un black out per 70mila palestinesi che potrebbe protrarsi per giorni. Netanyahu ha consigliato alla compagnia elettrica di «non inviare tecnici per le riparazioni in zona di guerra perché potrebbero rischiare la loro sicurezza personale».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Quel fiume di carretti in fuga dal fronte. 'Distruggono tutto' "

Strade vuote, negozi sbarrati e i pochi sguardi umani che filtrano dietro porte semichiuse. Beit Lahiya si presenta come un luogo spettrale.
Sabato mattina ospitava circa 80 mila residenti, ora ne sono rimasti qualche centinaio. Per scoprire dove sono finiti bisogna percorrere l’arteria che porta a Jabalya, il maggiore campo profughi a Nord di Gaza. Più ci si avvicina a destinazione, più aumenta il numero di carretti trainati da asini sui quali sono appollaiate famiglie intere. I più abbienti hanno affittato un taxi e fra i ragazzi c’è chi viaggia in moto ma il disordinato fiume umano è soprattutto composto da famiglie che camminano a piedi, in gruppi disordinati.
La destinazione sono le scuole dell’Unrwa - l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi - che a Jabalya hanno aperto i cancelli per accogliere un fiume umano che non sa dove andare. Davanti alla «Boy School» si è creato un parcheggio di carretti e asini che invade la strada. È l’immagine dell’esodo di Beit Lahiya, composto da migliaia di microstorie come quella di Nabil Maarouf, 56 anni: «Ho una moglie, 4 figli e 10 figlie, sabato notte ho appreso che gli israeliani avrebbero bombardato il nostro quartiere e non ci ho pensato due volte, siamo saliti sul carretto e siamo arrivati qui». A Maarouf la notizia della minaccia israeliana l’ha data il notiziario in arabo di «Kol Israel», la radio di Gerusalemme, mentre Abdel Karim, 35 anni e 4 figli, dice di averlo saputo «guardando Russia Today», ovvero l’emittente russa in lingua araba molto seguita dai palestinesi della Striscia. «Poco dopo aver sentito cosa diceva la tv russa, era in mezzo alla notte, abbiamo sentito bombardamenti forti sul centro di Gaza e siamo andati subito via» aggiunge Karim.
L’altro mezzo con cui Israele ha comunicato la richiesta di «lasciare le vostre case entro le 12 di domenica per evitare attacchi duri» sono stati migliaia di volantini in arabo, gettati dal cielo. Hamas ha tentato di fermare la fuga stampando a sua volta dei comunicati scritti: «Non lasciate la vostre case, non fate il gioco del nemico». Ma il timore dei bombardamenti ha prevalso e Beit Lahiya si è trasformata in un deserto urbano, desolato al punto da evocare il «Day After» di una bomba ai neutroni perché gli edifici sono intatti ma gli esseri umani non ci sono più. Se si escludono alcuni uomini intenti a smontare i tombini per trasformare l’ambiente sotterraneo in rifugio o alcune auto in cerca dei parenti rimasti indietro. A ricevere i profughi nelle scuole sono insegnanti come Ibrahim Belbesi, 62 anni: «Di professione insegno inglese ma adesso aiuto questi disperati, hanno bisogno di tutto».
È l’esercito israeliano ad aver voluto svuotare Beit Lahiya perché è dal Nord della Striscia che, sin dall’inizio dall’operazione «Protective Edge», sono partiti il 36 per cento dei razzi lanciati da Hamas e il 30 per cento di quelli a lungo raggio destinati a Tel Aviv, Gerusalemme e l’aeroporto Ben Gurion. «Hamas usa Beit Lahiya per attaccare le nostre città - spiega Arye Shalicar, portavoce dell’esercito - e adopera la popolazione civile come un gigantesco scudo umano, l’evacuazione degli abitanti ci consente un confronto diretto con Hamas e forse farà cessare i razzi, perché la protezione umana non ci sarà più». Ciò significa che droni, satelliti e informatori israeliani hanno identificato in Beit Lahya una pericolosa piattaforma di lancio di razzi. Da qui i bombardamenti massicci, iniziati dalle 14 di ieri, con intensità crescente, facendo tremare la terra per chilometri.
A conferma della volontà di Tzahal - l’esercito israeliano - di imporsi a Beit Lahya c’è il blitz dei commandos della Marina - Shayetet 13 - che all’alba di domenica hanno attaccato dal mare la base di Hamas sulla spiaggia di Al-Sudaniya. Si tratta di un angolo di arenile popolato di casematte e con una base militare della Marina palestinese. È da qui che sono partiti molti dei razzi a lungo raggio: M-75 e J-80. «Ed è qui che le nostre truppe speciali hanno colpito, trattandosi di un obiettivo che dal cielo non poteva essere raggiunto» spiega Shalicar. Nello scontro a fuoco sono morti - secondo Al Jazeera - quattro miliziani di Hamas mentre tre commandos sono rimasti feriti.
A molti profughi di Beit Lahya la sovrapposizione fra il blitz dei «pipistrelli» - soprannome dei Navy Seals israeliani - e l’evacuazione obbligata fa ricordare «quanto avvenuto alla fine 2008» in occasione dell’operazione «Piombo Fuso». «Gli israeliani allora invasero Gaza passando da Beit Lahiya - ricorda Ahmed Kafarna, 46 anni - trasformarono la nostra città in una base per i loro carri armati, da dove bombardavano il centro di Gaza». L’obiettivo sarebbe dunque creare uno spazio per agevolare l’intervento di terra, creando il nuovo confine fra Israele e Hamas lungo la «Strada 17» ovvero il grande viale che prende il nome dalla caserma - oramai demolita - di Forza 17, le truppe scelte dell’Olp di Yasser Arafat. «Torneranno su questo viale, lo trasformeranno in campo militare e poi se ne andranno, lasciando solo macerie» prevede Kafarna. Ironia della sorte vuole che buona parte dei volantini sganciati su Beit Lahya sono stati portati dal vento alla vicina Beit Hanun, dove i residenti li hanno stracciati in mezzo alla strada, gridando «noi restiamo».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Amputazioni gravissime. Sono le bombe dei droni"

Nell’ospedale Al-Shifa di Gaza è un chirurgo di Oslo a curare i feriti più gravi causati dai bombardamenti israeliani. Erik Fosse è arrivato venerdì dalla Norvegia «grazie a un visto israeliano della durata di sei mesi». Lo incontriamo durante una sosta fra gli interventi che esegue nelle sale operatorie sotterranee. Camice verde, scarpe bianche comode e nessun cellulare, Fosse esordisce affermando «sono qui da pochi giorni ma posso già fare delle osservazioni sulle ferite più frequenti che mi sono trovato ad affrontare».
Di che ferite di tratta?
«La maggior parte delle persone ricoverate arrivano con ferite molto gravi alle gambe ed alla parte bassa del corpo. Sono ferite vistose e molto serie».
Da che cosa sono provocate?
«Dalle bombe lanciate dai droni israeliani. Sono ordigni molto efficienti, come il sito Internet chi li produce afferma con un certo orgoglio, ma causano queste gravi conseguenze».
Ci spieghi queste conseguenze...
«Le bombe dei droni mirano a uccidere una, o al massimo due persone. L’esplosione è infatti limitata ma dopo aver investito l’obiettivo le bombe toccano terra e sprigionano del metallo fuso che al contatto con il terreno rimbalza verso l’alto, causando ferite molto gravi, che assomigliano a grandi tagli».
In che maniera le curate?
«Non è facile curarle perché questo genere di ferite causa spesso delle amputazioni. Per questo le persone immediatamente vicino alle vittime designate, che in genere sono i suoi famigliari, arrivano da noi menomate, con arti inferiori o genitali mancanti. Solo in due casi siamo riusciti a salvare la vita a questi poveretti, che spesso sono donne e bambini, e li abbiamo trasferiti in Giordania per consentire loro di sottoporsi ad ulteriori cure mediche».
Perché è venuto a Gaza?
«Perché ci ero già stato, comprendo la grande situazione di sofferenza e difficoltà dei medici palestinesi e ritengo giusto aiutarli. E credo sia anche giusto far sapere all’opinione pubblica che i droni israeliani, e i missili che lanciano, non sono solamente armi chirurgiche ma anche armamenti anti-persone che dovrebbero essere vietati o almeno regolamentati».

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