IC 7 - Il commento di David Meghnagi Dal 06/07/2014 al 12/07/2014
Testata: Informazione Corretta Data: 14 luglio 2014 Pagina: 1 Autore: David Meghnagi Titolo: «Il commento di...»
Il commento di David Meghnagi Dal 06/07/2014 al 12/07/2014 David Meghnagi psicoanalista, scrittore
Parlare con i nostri figli di quel che accade in Israele e nel Vicino Oriente in questi giorni, è importante.
Di fronte alla palese distorsione operata dai media, anche se in passato le cose sono andate molto peggio, occorre parlare e spiegare per aiutarli a comprendere meglio quel che accade interiormente e nei rapporti con il mondo esterno.
Parlare con i figli, proteggere le loro fragili esistenze dalle falsificazioni della realtà che devono fronteggiare ogni giorno, aprendo il giornale, ascoltando la radio, sentendo i compagni a scuola. Per chi frequenta la scuola ebraica, può apparire più facile perché ti senti in casa. Ma nemmeno lì sei psicologicamente al sicuro. Se l’ambiente esterno alla comunità e la città non li percepisci come amici, il rischio è di trasformare la propria sicurezza psicologica in una fortezza chiusa. Ciò che appunto vogliono i nemici di Israele e del popolo ebraico, rinchiuderlo in un ghetto psicologico. C’è un che di inquietante all’idea che nei principali centri europei le scuole ebraiche siano ormai diventate dei bunker assediati, bersagli di attacchi criminali contro bambini e insegnanti. E’ angosciante che i bambini escano in piccoli gruppi per evitare che un attentato si trasformi in strage. E la cosa più inquietante è che la città intera accetti tutto questo come la conseguenza “inevitabile” di un conflitto che avviene a migliaia di kilometri, e non invece come un attacco ai fondamenti della civiltà, un’offesa alla dignità. La cosa più inquietante è che in un complesso gioco di spostamenti simbolici “gli ebrei” protetti dalla polizia non siano più una parte del noi, ma “altri”.
Spiegando loro i fatti, costruendo con loro, trovando con loro le parole adatte all’età, li aiutiamo a fronteggiare l’angoscia prodotta da eventi che sfuggono alla comprensione. Per un ragazzo è difficile capire come il mondo possa da un lato sottovalutare la gravità di un attacco missilistico indiscriminato contro le città e le persone. Dall’altro condannare uno Stato perché difende la vita dei suoi cittadini tentando in ogni modo di non colpire i civili che risiedono nell’area da cui provengono gli attacchi missilistici. Da un lato chiudere gli occhi di fronte alla carneficina che si consuma da anni nei paesi confinanti, considerare quei morti a centinaia di migliaia come inesistenti. Dall’altro ingiustamente accusare Israele solo perché cerca di proteggere i suoi cittadini con il minor danno possibile per le popolazioni civili che risiedono nell’area da cui provengono i missili. Spiegare a un ragazzo che le cose possano andare nel mondo in questo modo, senza con ciò perdere la speranza e la fiducia negli umani, è una sfida grande che deve essere vinta con il pensiero e con l’azione. È la sfida di ogni processo educativo che si misuri per davvero con i grandi problemi del mondo.
Uno degli argomenti che ho utilizzato in questi giorni con i ragazzi delle comunità ebraiche, con cui ho avuto modo di parlare, è che se il popolo ebraico non è precipitato dopo la catastrofe della Shoah in un lutto senza fine, che lo avrebbe condotto all’auto estinzione, è perché ha saputo conservare una visione positiva del futuro. Le testimonianze dei sopravvissuti, il loro monito profetico, sono l’espressione morale più alta di questo grande sforzo. Se nonostante il rifiuto di cui è circondato, e le guerre di sopravvivenza che ha dovuto combattere per la sopravvivenza, Israele è riuscito a conservare e a consolidare le sue istituzioni democratiche, è perché i suoi figli non hanno mai perso la speranza in un futuro migliore.
All’indomani della proclamazione dello Stato, Israele fu mortalmente attaccato su tutti i fronti dagli stati della Lega araba. Invece di accettare la condivisione del territorio, come proclamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite, gli eserciti della Lega araba volevano gettare gli ebrei nel mare, non importa se fossero donne anziane, o bambini.
Nel corso della guerra del ’48-49 Israele perse l’uno per cento della popolazione. Morì la crema del movimento dei kibbutz e con loro ben due generazioni di studenti della Hebrew University. Ciononostante Israele conservò e sviluppò le sue istituzioni democratiche e fu capace in dieci anni di passare da 600.00 a un milione e ottocento mila abitanti, di cui 400.000 sopravvissuti alla Shoah e circa 700.000 fuggiti dal mondo arabo.
Per molto meno molti stati sono precipitati nella dittatura più insana. L’Italia, pur avendo vinto la guerra e riconquistato le “terre irredente” dell’Istria precipitò nella guerra civile e nel fascismo. Israele no: nonostante cinque anni prima dell’aggressione subita si fosse consumata la più immane delle tragedie, sei milioni di persone sterminate nel corso dell’avanzata nazista e nei lager. Se l’avanzata nazi-fascista non fosse stata fermata a El Alamein, l’Yshuv sarebbe andato distrutto. L’intero ebraismo dell’Africa settentrionale sarebbe perito insieme agli ebrei del Vicino Oriente. Le camere a gas mobili erano pronte ad Atene per l’uso, potendo contare sull’attiva collaborazione del Muftì di Gerusalemme e dei più alti esponenti del nazionalismo arabo.
Se non fosse per le implicazioni, verrebbe da ridere di fronte all’ossessiva e martellante accusa secondo cui le vittime di ieri sono i carnefici di oggi. Verrebbe da ridere amaramente all’idea che le università israeliane possano essere boicottate, e gli accademici israeliani allontanati dai comitati di redazione delle riviste. La delegittimazione e il boicottaggio sono solo una fase di un progetto più ampio che procede in modo concentrico e ha come sbocco la messa in discussione materiale dell’esistenza di uno stato e di una nazione.
Chi demonizza Israele affermando falsamente che le vittime di ieri sono “i carnefici” di oggi, non dice solo un’infame menzogna, che offende le vittime. Esprime in realtà un desiderio perverso che gli renderebbe più tollerabile il fallimento della sua esistenza psicologica e morale. Se Israele, fosse come viene follemente e falsamente descritta dalla nuova accusa antisemita (ma non lo sarà mai), i conti col passato antisemita potrebbero essere “pareggiati”. Per gli europei le colpe del passato sarebbero psicologicamente “più tollerabili” e le vittime apparirebbero finalmente spogliate dell’aura di sacralità da cui sono circondate. Dal canto loro i popoli arabi e islamici sarebbero falsamente liberati da ogni sentimento di responsabilità per i fallimenti della decolonizzazione e le colpe verso le loro minoranze religiose. Per non parlare del terrorismo a sfondo religioso.
“Confessando” le colpe del passato, schierandosi dalla parte dei più “deboli”, gli europei potrebbero considerarsi falsamente “redenti”. La rappresentazione di Israele come Stato occidentale ed europeo, a dispetto del fatto che oltre la metà della sua popolazione proviene dall’oriente, è un elemento di questa logica. Sul versante arabo e islamico, la demonizzazione di Israele. “permette” alle classi dirigenti arabe e islamiche di sfuggire alle loro gravi responsabilità per i fallimenti della decolonizzazione. Lo schiavismo, la persecuzione delle minoranze, lo sfruttamento dei bambini, la dilapidazione delle ricchezze non sono il risultato di un fallimento interno, come in realtà sono. Possono essere falsamente rappresentate come il risultato di un complotto esterno di cui Israele sarebbe l’agente principale. In questa perversa logica l’odio più antico può essere perversamente legittimato e falsamente declinato come una forma di “lotta al razzismo”. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90