Colpa collettiva?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra, Mohammed Abu Khdeir
Cari amici,
bisogna ammetterlo, per sanità mentale ancor prima che per onestaà intellettuale e politica. Contrariamente ai dubbi e alle perplessità che ancora ieri vi scrivevo, sembra proprio che ad ammazzare il ragazzino arabo a Gerusalemme Est siano stati dei nazionalisti israeliani. Mi riesce ancora difficile capire come, venendo da Petah Tiqva, vicino a Tel Aviv, siano arrivati a quella casa di Gerusalemme Est, proprio nel momento in cui il ragazzo ne usciva o l'abbiano aspettato, chissà perché lui e chissà come nascosti e non notati in un quartiere arabo assai poco amichevole. Immagino però che gli investigatori si siano posti le stesse questioni e le abbiano poste a loro e penso che prima o poi capiremo i dettagli. Per ora, lo ripeto, bisogna prendere atto. E riconoscere che si tratta di un crimine orrendo e condannarlo pienamente.
In attesa di un processo e di una punizione, la cronaca finisce su questa constatazione: si sono trovati i presunti colpevoli e sono israeliani; ma il ragionamento politico deve partire di qui. Cambia qualche cosa questo per Israele, per le sue ragioni ? Non dovrebbe. Gli ebrei in Israele sono sei milioni, ci sono fra loro maestri spirituali e prostitute, profittatori ed eroi, geni della scienza e ignoranti matricolati, commercianti e musicisti, contadini e grandi artisti. E ci sono criminali, anche criminali politici che non capiscono il limite della legalità e dell'umanità nella lotta politica, compresi quelli che hanno ammazzato Rabin, compreso quel dottor Baruch Goldstein, bravo medico e persona perbene fino a un certo giorno in cui la sua passione religiosa lo portò a entrare armato nella Tomba dei patriarchi e a sparare all'impazzata. E' vero che, come afferma un detto tradizionale di origine talmudica, “tutti gli ebrei sono responsabili l'uno dell'altro”; non solo per ragioni religiose ma anche per il semplice fatto che fanno parte di un piccolo popolo che vive da sempre in mezzo a gruppi molto più grandi, e dunque a ciascuno viene chiesta ragione del comportamento di tutti. Ma bisogna ribadire che Israele è una società normale, non quel modello religioso che alcuni vorrebbero, non solo i rabbini che cercano l'elevazione spirituale del popolo insegnando l'obbedienza alle norme tradizionali, ma anche dei laici e soprattutto degli antisionisti che attribuiscono come colpa collettiva a Israele comportamenti che riguardano i singoli.
In generale nel nostro mondo una società sana non è una società perfetta. Non è una società che non conosce devianza, colpa, egoismo, corruzione, violenza, follia. Pretendere che lo sia, volere l'utopia in terra ed eliminare radicalmente tutto ciò che può generare questi mali non è la politica di una società democratica, ma del totalitarismo. La pretesa di costruire l'”uomo nuovo”, lo “Stato etico” e di abolire il male si traducono sempre nel totalitarismo, che conosce tutti questi crimini e inoltre pratica l'oppressione e l'inquisizione, con la corruzione e la violenza che ne seguono. Una società sana riconosce l'esistenza dei suoi lati oscuri e li combatte. Non ha la pretesa di esserne immune, ma usa la giustizia per limitare i danni, tenere sotto controllo e ridurre al massimo l'attività criminale, condannare i colpevoli. Innanzitutto una società sana non approva la violenza, la corruzione, il ricatto; solidarizza con le vittima, non con il criminale.
Questo è il test cui sottoporre con la massima onestà Israele, ma anche i movimenti palestinisti. Non si tratta di rivendicare né per l'una né per l'altra parte la perfezione assoluta, che non c'è neanche altrove. Apriamo le pagine dei giornali e scopriamo che in Italia esistono delitti continui ai danni dei gay, delle donne, dei bambini, di tutti. Qualche giorno fa è morto un tifoso del Napoli, cui avevano sparato a Roma delle pistolettate ad altezza d'uomo. Diremo per questo che Roma è corrotta e Napoli santa? Bisognerà che i romani smettano di amare Roma e così gli abitanti di tutte le città che vanno in prima pagina per la cronaca nera ? Nessuno si sogna di farlo. Con Israele invece questo accade, ed è un problema.
Gilad, Eyal e Naftali rappresnetati come topi presi all'amo
Torniamo dunque all'uccisione del ragazzo palestinese e a quella dei tre ragazzi israeliani che l'avrebbe provocata per vendetta. La società israeliana ha condannato unanimemente il delitto, la polizia israeliana ha catturato velocemente i presunti colpevoli, nessuno ha solidarizzato con loro né fra i politici, né fra i religiosi, né fra la gente comune. Tutti ricordiamo invece per il rapimento dei tre ragazzi le feste fra gli arabi di Gaza, della Giudea e Samaria e anche di Israele. I dolci offerti per strada, l'epidemia di foto con il segno delle tre dita in segno di gioia per i tre catturati, l'approvazione dei capi di Hamas e anche di un paio di deputati arabi nel parlamento israeliano, quel manifesto particolarmente orribile e diffusissimo che rappresentava tre topi presi all'amo da un grande palestinese. Tutti ricordiamo l'appello a non collaborare con le indagini, a cancellare le registrazioni delle telecamere di sicurezza, gli scontri per cercare di opporsi alle ricerche, le minacce ai pochissimi arabi che deplorarono il rapimento. Ricordo questo non per alimentare un complesso di superiorità morale che trovo inutile, ma per fare una constatazione politica. La società israeliane è sana, è moderna, ha gli anticorpi al crimine, anche se ha dentro di sé gli assassini del ragazzo arabo. Quella palestinista (e bisogna dire allargando lo sguardo al resto del medio oriente, quella araba in generale) no, non è sana, non ha gli anticorpi alla violenza o ne ha pochissimi. Pratica l'odio come un merito, gode delle disgrazie altrui, non ha e non vuole avere una giustizia sopra le parti, accetta e pratica la vendetta, non la rifiuta. Anche da questa storia si debbono trarre buone ragioni per cui una persona che crede nei valori della modernità, dei diritti umani e della democrazia deve stare dalla parte di Israele.
Shelly Dadon, ragazza ebrea assassinata in Galilea
Vale la pena di suggerire ancora questo: delitti come quello di cui stiamo parlando, e i precedenti che ho citato, maturano in situazioni di forte tensione, sono crimini di reazione. Come nel calcio anche in politica e nella vita i falli di reazione vanno puniti senza esitazione. Ma se si fa un'analisi politica della situazione bisogna rendersi conto che su Israele si esercita una pressione terroristica molto forte e senza fine. Il rapimento dei tre ragazzi ha fatto seguito all'assassinio terroristico di una ragazza ebrea in Galilea ( http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182564 ); negli ultimi mesi c'era stato il caso del ragazzo indotto ad andare nei territori e ammazzato lì, del poliziotto ucciso mentre andava alla cena pasquale, del ragazzo accoltellato a morte mentre aspettava l'autobus ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=51348 ) di tutti quelli, in buona parte bambini, feriti gravemente dalle pietre gettate sulle automobili di passaggio. Nell'ultima settimana sono stati sparatati almeno 150 razzi sul territorio israeliano. Senza giustificare nessuno per questo, una reazione era prevedibile e probabilmente anche prevista. E per favore, non mi si dica che una prosecuzione delle trattative di pace o addirittura un accordo con l'Autorità Palestinese avrebbe prevenuto questa violenza. E' facile mostrare con i dati che la violenza aumenta e non diminuisce dopo le trattative e gli accordi; perché essi, nella percezione sbagliata dei palestinisti, sono ritenuti sintomo di debolezza.
Bisogna aggiungere ancora una cosa ed è che, come al solito, il comportamento dei nostri media su questa storia è stato aberrante: salvo qualche rara eccezione, non informazione ma pura propaganda. Dell'assassinio della ragazza in Galilea non ha parlato nessuno. Delle violenze teppistiche organizzate in questi giorni, nemmeno. Dei razzi si è detto pochissimo (ma molto della reazione israeliana, arrivata dopo giorni di attesa per un cessate il fuoco). La pronta individuazione dei colpevoli nel caso del ragazzo arabo è stata presentata come un'ammissione di colpa collettiva. Insomma, una vergogna. Cui ciascuno di noi, con le proprie forze e il proprio raziocinio, deve cercare di porre rimedio.
Ugo Volli