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Informazione Corretta - La Stampa - La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.07.2014 Nessuna 'spirale della violenza', ma un' aggressione islamista contro Israele
Commento di Fiamma Nirenstein, cronache di Maurizio Molinari,Davide Frattini, intervista ad Aharon Appelfeld

Testata:Informazione Corretta - La Stampa - La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Paolo G. Brera - Davide Frattini
Titolo: «Non c'è 'ciclo della violenza' in Israele - Guerriglia per il corpo di Mohammed - L’odio corre sul Web. Tzipi Lvni: 'Fermatevi' - Ma i nemci ora si parlino, l'unica via è il dialogo - La rivoluzione di Rachel»

Riportiamo una commento di Fiamma Nirenstein, postato su Facebook oggi, 04/07/2014:

A destra, scontri nel quartiere Shufat di Gerusalemme


Fiamma Nirenstein


Non c’è “ciclo della violenza” in Israele. C’è un aggressore integralista islamico, identico a quello che in questo momento fa centinaia di migliaia di morti in tutto il Medio Oriente, che odia gli ebrei, ha ricevuto l’ordine di ucciderli nella sua stessa carta costitutiva, rapisce a sangue freddo tre ragazzini e li uccide cantando di gioia, come si sente nella terribile cassetta arrivata nelle nostre mani. 
Se il ragazzo palestinese ritrovato ieri mattina nella foresta di Gerusalemme è stato ucciso da un gruppo di israeliani delinquenti psicopatici e razzisti (cosa per niente sicura al momento) questo non ha niente a che fare con l’assassinio sistematico e programmatico perpetrato da decenni da Hamas, una grande organizzazione che controlla un esercito, una porzione territoriale notevole, Gaza, una quantità di denaro. 
Se gli assassini fossero ebrei di estrema destra, prima di tutto sono degli assassini, e questo non ha niente a che fare nè con l’ebraismo, nè col fatto che si tratti, se così fosse, di “coloni” categoria vituperata anche se il mondo ha appena avuto l’occasione di incontrare la grandissima pietà, onorabilità, la dignità infinita dei genitori dei ragazzi uccisi. Tutte persone che vivono nei famigerati Territori, come tante altre persone per bene che hanno agli occhi del mondo il difetto di ritenere che per accettare la cessione di parte dei luoghi oggi abitati dagli ebrei, Israele ha diritto a una maggiore sicurezza. 
Cosa che davvero oggi esiste. Pensate se il Golan fosse stato sgombrato: sarebbe oggi terreno dell’assassino Assad o dei mostri qaedisti. Pensate se la valle del Giordano fosse stata concessa: sarebbe ora preda dell’ISIS, e li avremmo affacciati sul Mediterraneo. Un po 'di buon senso e nessuna equivalenza morale, non è proprio il caso.

Riprendiamo, dalla STAMPA di oggi, 04/07/2014, a pag. 10,  l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Guerriglia per il corpo di Mohammed " e a pag. 11 l'articolo, sempre di Maurizio Molinari, dal titolo   "L’odio corre sul Web. Tzipi Lvni: 'Fermatevi' ", da REPUBBLICA,  a pag. 17, l'intervista di Paolo G. Brera ad aharon appelfeld dal titolo "Ma i nemci ora si parlino, l'unica via è il dialogo", dal CORRIERE della SERA, a pag.12, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "La rivoluzione di Rachel".
Di seguito, gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Guerriglia per il corpo di Mohammed"



Maurizio Molinari


Bandiere di Fatah, barricate annerite, stazioni del treno devastate, immagini del giovane Mohammed Abu-Khdeir ovunque e grida di «Allahu Akbar» per sfidare gli agenti. È Shuafat Road il teatro di una protesta palestinese che punta a strappare a Israele il controllo di un lembo di territorio di Gerusalemme. Il casus belli è la morte violenta di Mohammed, 17 anni, avvenuta giovedì in un bosco fuori città: la polizia israeliana ancora non ha un movente ma per i feddayn di Shuafat, il quartiere dove vive la famiglia Abu-Khadeir i colpevoli sono ben noti.
«Questo bambino è stato ucciso dai coloni, che agiscono come gangster» dice il gran mufti di Gerusalemme, Sheik Mohammed Hussein, interpretando il sentimento collettivo per rendere omaggio a Hassan Abu-Khdeir, padre della vittima, sulla Al-Maari Street dove gli anziani del quartiere hanno creato un mini-accampamento di solidarietà. Tutti vogliono identificarsi con Hassan. C’è chi lo abbraccia, chi lo bacia, chi lo tira per la giacca e chi lo prende per mano. Con occhi stanchi e voce fioca, Hassan ha un momento per tutti. Alle tv si dice «devastato», confessa di «non aver dormito da quando ho saputo della morte di mio figlio» e grida l’«indignazione» per «non poter ancora avere la sua salma».
È questo il motivo per cui, per il secondo giorno consecutivo, la Shuafat Road è terreno di battaglia. Il quartiere palestinese a ridosso dell’omonimo campo profughi - l’unico dentro il perimetro urbano di Gerusalemme - aspettava la salma ieri mattina dall’obitorio di Abu Kabit ma fino al calar della sera non era arrivato. Fonti della famiglia parlano di una «trattativa con Israele» perché «ci hanno offerto la salma a condizione di fare il funerale alle 2 del mattino» mentre «Haaretz» scrive che i genitori volevano le esequie nella moschea di Al Aqsa, sulla Spianata delle Moschee, ma mai nessuno ha avuto tale permesso.
L’impressione diffusa fra gli abitanti di Shuafat è che il braccio di ferro sul rilascio della salma nasca dal tentativo delle autorità israeliane di limitare l’impatto di un funerale destinato a trasformarsi in protesta di massa. Viene interpretato così anche il fermo al posto di blocco di Hebron di Sabr Al-Alul, il medico palestinese incaricato di partecipare all’autopsia ma - a causa di un ritardo di due ore - giunto a cose fatte. «Muhammed è stato assassinato dai coloni e ora Israele ci nega la salma per proteggerli» gridano i parenti della vittima.
È la miccia che rilancia i feddayn all’assalto della polizia. Si tratta di qualche centinaio di giovani, fra i 20 e 30 anni. Hanno i volti coperti dalle kefiah o passamontagna con i colori palestinesi. C’è chi sventola bandiere nere o bianche, con il nome di Allah e le insegne di Fatah. Ma ci sono anche le strisce verdi di Hamas, attorno alla testa di chi osa di più. Le retrovie della protesta sono nel dedalo di vicoli che si diramano dalla E-Sahel Street. È qui che grandi sassi vengono frantumati per meglio bersagliare gli agenti come è qui che i feddayn si ritirano quando la polizia si fa strada con i lacrimogeni. Le forze di sicurezza israeliane sembrano voler evitare l’affondo, si limitano a controllare a distanza i manifestanti, chiudendo Shuafat Road ai due estremi, per evitare il contagio della protesta verso altri quartieri arabi.
È una tattica che lascia il controllo di Shuafat Road ai feddayn, il cui intento è trasformarla in angolo di Gerusalemme «liberata dall’occupazione», come ripetono in un inglese stentato. A segnare i confini sono i cassonetti della spazzatura bruciati: i manifestanti li usano per sfidare la polizia come per delimitare l’area controllata, da Aluf Yakutiel Adam a Ben Jabil, con al centro la moschea di Al-Maari. Ciò che più attesta la conquista del territorio è la demolizione delle stazioni del treno leggero, creato dalla municipalità israeliana per sancire un’unione della città che Shuafat rigetta. Da qui panchine divelte, segnali bruciati, vetri infranti e strutture demolite coperte di scritte «Morte a Israele» e «Morte agli ebrei». In attesa del funerale di Mohammad che si terrà oggi dopo la preghiera del venerdì, aprendo la strada ad una resa dei conti sul controllo di Shuafat Road

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "L’odio corre sul Web. Tzipi Lvni: 'Fermatevi' "

Il desiderio di vendetta contro gli arabi per l’uccisione dei tre ragazzi sequestrati in Cisgiordania si riversa sul web e il ministro della Giustizia Tzipi Livni promette «misure veloci ed energiche» per punire «il dilagare di razzismo e istigazione alla violenza».
Lo specchio di cosa sta avvenendo online è la pagina di Facebook intitolata alla «Vendetta per l’uccisione di Eyal, Gilad e Naftali» che in pochi giorni ha registrato oltre 16 mila «likes» accompagnati a volte da foto di giovani che hanno scritto la parola «Nekama» (vendetta) su parti del proprio corpo: dal palmo della mano o del piede fino al torso. Sebbene i volti restino spesso - ma non sempre - nascosti, le foto svelano che si tratta di uomini e donne, in gran parte giovani e a volte con indosso la divisa dell’esercito.
La reazione di Livni è arrivata con un’intervista alla radio delle Forze armate nella quale ha affermato che «è arrivato il momento di fare i conti con queste campagne di odio che avvengono sui social media». E ciò significa «non solo fare leva sull’educazione delle nuove generazioni perché non possiamo aspettare 25 anni, facendo crescere i nostri giovani nell’accettazione di violenza e omicidi».
Da qui la necessità di «misure immediate e inequivocabili» a cominciare da «quei soldati che si fotografano con le loro divise ed armi o da quei giovani che scrivono sul loro corpo messaggi di morte per gli arabi» in quanto si tratta di «gesti terribili, inaccettabili per i quali devono pagare un prezzo».
I primi provvedimenti sono scattati poche ore dopo, nei confronti di quattro soldati del battaglione Nahal Haredi ovvero composto da ebrei ultraortodossi. «Si tratta di una vicenda molto grave, adotteremo provvedimenti severi» ha fatto sapere un portavoce delle forze armate, richiamandosi alla decisione del premier Benjamin Netanyahu di «perseguire i responsabili del crimine contro il ragazzo palestinese» invitando «tutte le parti a non cedere alla tentazione di farsi giustizia da soli».

LA REPUBBLICA - Paolo G. Brera: "Ma i nemci ora si parlino, l'unica via è il dialogo"

paolo g. brera          
Paolo G. Brera      Aharon Appelfeld

In questa situazione terribile vedo due cose buone, e non è poco». Aharon Appelfeld, il grande scrittore israeliano che da bimbo fuggì da un campo di sterminio vivendo in un bosco, ha imparato sulla sua pelle a scovare e assaporare la parte sana della mela.

Cosa succede in Terra Santa?
«La situazione è incandescente. Un ragazzo arabo è stato ucciso, e non sappiamo da chi. Alcuni arabi dicono siano stati estremisti ebrei, ma la polizia sta ancora investigando. E ci sono scontri a Gerusalemme, ma di piccolo cabotaggio ».
Teme un’altra Intifada?
«Dobbiamo domandarci come calmare la situazione. Non è facile, perché l’intera area sta bruciando: Libano e Siria, Iraq e Kurdistan... ».
Accennava a due aspetti positivi.
«Il comportamento dei genitori dei tre ragazzi uccisi è stato nobile: non hanno chiesto vendetta. L’altro ottimo aspetto è che Abu Mazen abbia condannato le uccisioni. Si può partire da qui per placare gli animi».
Netanyahu invece ha detto: “Scateneremo l’inferno”.
«Non penso che agirà da emotivo ».
Sta bombardando Gaza.
«Il punto è sempre la negazione di Israele. Siamo sotto attacco permanente dalla gente di Gaza. Come possiamo fermare tutto ciò? Ci sono punti di vista differenti, per le persone razionali dobbiamo reagire senza alzare il tiro».
A Gaza la vita è difficilissima.
«Certo, ma almeno Israele si è ritirato: c’erano insediamenti e soldati, ora non più. Nonostante ciò, gli spari continuano».
Le bombe li fermeranno?
«Israele ha vissuto un trauma. Non erano soldati ma ragazzini che rincasavano; Hamas è molto presente nei Territori, è una minaccia costante. Abbiamo vissuto 18 giorni di trauma nazionale, poi sono arrivati i razzi da Gaza... Come dobbiamo rispondere? Non c’è una risposta semplice, per me dovremmo provare a parlare con chiunque voglia il dialogo».
Anche con Hamas?
«Sì, se sono pronti a rinunciare alla distruzione di Israele e se rispettano le regole del Quartetto».
È l’odio che ha ucciso il ragazzino arabo?
«Sono speculazioni. Gli arabi dicono che è stata una vendetta, la polizia sta ancora indagando».
E lei crede alla polizia?
«Perché non dovrei? È importante che Israele sia accettata come una nazione che dice la verità, e in poco tempo la conosceremo».
È ottimista?
«Lo ero dieci anni fa, ma sono invecchiato... È molto difficile fare profezie nella nostra regione».
Cosa dice ai ragazzi ebrei?
«Che devono essere razionali e umani. Devono ascoltare gli altri, soffriamo noi ma anche i palestinesi. Ci vuole equilibrio».
E ai palestinesi?
«Direi le stesse cose: tenta di capire i tuoi cosiddetti nemici».
E andarsene?
«Sarebbe fuggire: occorre restare, tentando di capire l’altro. Sono un umanista, non cambierò me stesso».

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "La rivoluzione di Rachel"


Davide Frattini         Rachel Frenkel

La preghiera in aramaico non nomina la morte anche se è dedicata a un morto. Il kaddish intonato da Rachel Frenkel al funerale del figlio Naftali ha simboleggiato la forza di questa madre che per diciotto giorni ha sperato di poterlo riabbracciare, senza piangere fino al momento del funerale. E ha rappresentato un momento quasi rivoluzionario — fa notare il quotidiano Haaretz — per le donne della comunità ortodossa israeliana: non che per loro sia proibito recitarlo, ma il permesso è accordato raramente. Non era mai successo in pubblico, davanti alle telecamere e con il rabbino capo David Lau seduto in prima fila.


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