Complicità oggettiva Cartoline da eurabia, di Ugo Volli
A destra, Sderot: l'incendio di una fabbrica causato da un razzo kassam
Cari amici,
dal momento del rapimento dei tre studenti israeliani, due settimane fa, da Gaza sono stati sparati circa sessanta razzi verso il Sud di Israele. Altri sono stati lanciati nel momento stesso del funerale, senza dubbio provenienti dalle roccaforti di Hamas (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4536174,00.html). La metà circa è ripiombata sulla testa di chi li ha lanciati, uccidendo fra l'altro una bambina piccola araba (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182127 ), per cui peraltro nessuno ha speso troppe lacrime, dato che la sua morte era responsabilità della buona e santa “resistenza” e non dei perfidi sionisti. Alcuni altri sono caduti sui campi aperti, arricchendo la collezione delle migliaia di regali analoghi arrivati in Israele... pensate che ci sono addirittura delle lampade di Hannukkah fatte con il metallo ricavato da questi razzi e lasciate talvolta ai visitatori. Un certo numero di questi razzi, quelli che miravano giusto sulla città di Ashskelon, sono stati fermati dagli antimissili “Iron Dome”. Questi però sono capaci solo di depotenziare la volontà omicida dei terroristi, che resta tale, non va scambiata con un'innocua manifestazione politica: come portare un giubbotto antiproiettile quando un altro ti spara non toglie che lui stia cercando di ammazzarti. Ma, per efficienti che siano, gli antimissili non possono mai fermare del tutto gli aggressori, non bisogna farsi illusioni, tant'è vero che qualche giorno fa uno di questi razzi ha provocato con un incendio la distruzione di due fabbriche a Sderot. Per fortuna è avvenuto nel weekend, sicché i danni materiali sono stati ingenti, la paura dei cittadini bombardati è stata grande, ma non vi sono state vittime. I giornali e i politici europei naturalmente di questo bombardamento sistematico non hanno quasi parlato, preferiscono indignarsi perché in un sobborgo di Gerusalemme si autorizza la costruzione di una palazzina, oppure per le reazioni di Israele, peraltro sempre mirate sui terroristi e mai indiscriminatamente sui civili. Il lutto per Eyal, Gilad e Naftali ha poi sovrastato la notizia.
La bandiera dell'Unione Europea
Ma noi non dobbiamo perdere la nostra capacità di indignazione. E' possibile che in un paese non diverso dal nostro ci siano città e villaggi che da dieci anni sono sottoposti a un bombardamento della popolazione civile che non cessa mai ? E' possibile che ci siano dei bambini che devono stare in scuole pesantemente corazzate, che sia pericoloso giocare in un giardino se non c'è un rifugio accanto, che siano blindate addirittura le fermate dell'autobus ? E' possibile che l'Unione Europea e i finanziatori diretti o indiretti di Gaza, che non produce nulla se non razzi e proiettili e dipende pesantemente dall'esterno per la sua capacità produttiva (di armi), non riescano a obbligare i loro protetti a smetterla ? Davvero si vorrebbe un'Israele devastata dalla guerra come i suoi vicini, pensando magari che così sarebbe più malleabile ? Non dobbiamo stancarci di chiederlo. Certo che le continue pressioni sul governo israeliano perché “si limiti”, non abbia reazioni “sproporzionate”, perché “non inneschi un'escalation”, riprese all'interno di Israele dalla sinistra inducono a pensare che sia così, che si voglia un'Israele che non induce paura nei suoi aggressori e che dunque possa essere colpito ancora con rapimenti, omicidi, razzi, “piccoli attentati” quotidiani con sassi e molotov, risultando così forse più “sensibile alle ragioni della pace”, disposto a ritirasi su confini indifendibili come vogliono i suoi “amici” europei e americani.
Se questo è l'atteggiamento degli “amici”, per cui non ci sarebbe bisogno di nemici, purtroppo questi ultimi esistono, eccome, per cui dobbiamo anche interrogarci sulle loro ragioni di infliggere questa tortura. Questo è un punto molto delicato. Come per il rapimento e l'uccisione dei tre ragazzi, i terroristi non ce l'hanno con le vittime dirette; non avevano un odio speciale per Gilad, Eyal e Naftali come individui, né ce l'hanno per gli abitanti di Ashkelon, Sderot o Netivot. Quello che combattono è Israele (di cui naturalmente le città vicine a Gaza e i ragazzi rapiti fanno parte). In questo combattimento, secondo la logica tipica della guerra asimmetrica, sfruttano anche le reazioni emotive del loro nemico, cioè le nostre; usano il fatto che quella israeliana è una società democratica, aperta, sensibile ai problemi di chi soffre. Questo è ancora più vero nel caso dei bombardamenti rispetto al rapimento, perché quest'ultimo, anche se per la reazione dei ragazzi si è trasformato subito in omicidio, aveva uno scopo in sé, criminale quanto vi pare ma conseguente: gli ostaggi erano destinati ad essere trattenuti per essere usati in uno scambio per forzare la scarcerazione di criminali condannati, sono dunque trasformati in oggetti, merci, contro qualunque etica, ma efficacemente, se pensiamo a quel che è accaduto in passato. Bisognerebbe forse avere la forza di sventare adesso questo loro commercio, impedendo i riscatti, come fece efficacemente l'Italia una ventina d'anni fa coi rapimenti a scopo di lucro proibendo il pagamento dei riscatti e addirittura bloccando fra molte polemiche i conti delle famiglie dei rapiti. Di fatto, chi ha chiesto solo il rientro dei rapiti non nel senso di volerne la liberazione da parte della polizia, ma attraverso scambi e riscatti, come è avvenuto per Shalit, in qualche modo si rassegna ad essere una pedina nel gioco dei rapitori. E' una constatazione molto difficile e dolorosa, ma bisogna prenderne atto. La strategia dev'essere diversa, deve far sapere ai futuri possibili rapitori che non potrebbero ottenere quel che si prefiggono.
Terroristi al confine di Gaza
Il fine dei bombardamenti è diverso, essi servono a riaffermare la capacità militare di chi li produce, ma soprattutto a rendere difficile la vita degli israeliani, a impedire la “normalizzazione” come la chiamano loro. E' stato questo lo scopo dei grandi attentati terroristici del 2000-2003: spaventare gli abitanti di Israele, indurli a fuggire. Esso non è riuscito allora e tanto meno può riuscire adesso, dopo quella prova e con un'intensità assai più bassa. Ma questo per gli attentatori non è importante. Salvo che nella propaganda non si illudono certamente di vincere contro Israele; vogliono però far del male, terrorizzare, scoraggiare, quantomeno imporre la continuità della loro presenza minacciosa e con questo indebolire lo Stato ebraico. In una situazione normale, cioè se Israele fosse trattato in maniera equa dalla comunità internazionale, questa strategia sarebbe immediatamente fallimentare. L'Ira e l'Eta, per non parlare degli indipendentisti sudtirolesi, sono stati sconfitti non nonostante il loro terrorismo, ma proprio perché lo praticavano: le fonti di finanziamento si sono disseccate, i sostenitori stranieri hanno rifiutato di farsi coinvolgere nei loro crimini, la popolazione che pretendevano di difendere si è dissociata. Con Israele e il terrorismo arabo la storia è diversa.
Anche chi non ha mai approvato il terrorismo basco, anche quelli che sono spaventati oggi dall'avanzata delle bande islamiste tipo l'Isis, non sono chiari nella condanna del terrorismo palestinese: l'Unione Europea finanzia l'Autorità Palestinese che con quei soldi paga il salario dei terroristi condannati, Obama non ha speso la parola per il rapimento dei tre studenti uno dei quali ha la cittadinanza americana, ed è stato assai generico anche dopo la loro uccisione, i rappresentanti diplomatici europei, soprattutto i consoli a Gerusalemme, incluso quello iatliano, si fanno un vanto di intrattenere buoni rapporti con tutti i movimenti palestinesi, incluso Hamas che bombarda Sderot, e alcuni partecipano anche alle attività illegali come l'edificazione di villaggi non autorizzati in zone amministrate da Israele o addirittura ai congressi annuali della “Resistenza popolare” che è un nome in gergo per il terrorismo a bassa intensità.
C'è dunque una qualche complicità occidentale con questa guerra d'attrito, una qualche convergenza sull'obiettivo tattico di Hamas di non lasciare in pace gli israeliani, di tenere aperta con la morte e col terrore la questione palestinese nonostante i successi economici, sociali e politici di Israele. Questo è il problema di cui non si rendono conto gli “amici” occidentali. Certo, il fine di Hamas è il genocidio, e questo non vale per Obama o la sinistra europea. La strategia è diversa. Ma sulla tattica, sul non voler accettare la stabilità della situazione che in quelle terre si è realizzata da quasi mezzo secolo, su questo sì, c'è una complicità oggettiva. Che si traduce poi nei fatti in moltov e sassi, provocazioni quotidiane e coltelli, razzi e talvolta anche in rapimenti e uccisioni.