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“Preferisco le vostre condanne alle vostre condoglianze”
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici,
dopo lo shock emotivo di ieri notte è molto difficile scrivere o parlare. Forse, come mi ha detto qualcuno, dovevamo saperlo già, bisognava aspettarselo. Ma di fatto nessuno di noi lo ha immaginato affatto, eravamo così concentrati sulla liberazione di Gilad, Eyal e Naftali che non pensavamo che potessero essere già essere stati uccisi da tempo. Qualcosa di noi è morto con loro. C'è voglia solo di tacere, di consolarsi nel gruppo, pensando che nonostante tutto il popolo ebraico sopravvive a questa tragedia come ha fatto mille volte, dalla Shoah ai pogrom, agli assassinii recenti in Francia e in Belgio. Però parlare bisogna, è necessario ragionare. Vi scriverò dunque di tre cose: responsabilità, solitudine, e conseguenze. Barack Obama L'incontro di preghiera tra papa Francesco, Shimon Peres e Abu Mazen
Il segretario dell'Onu Ban Ki moon La solitudine sta in questo. Durante le due settimane e passa del rapimento di tre ragazzi innocenti – di quel che pensavamo fosse un rapimento ed era un omicidio – non abbiamo sentito affatto attorno la solidarietà che un crimine così efferato doveva suscitare. Obama ha taciuto, anche se una delle tre vittime aveva il passaporto americano (è vero che l'amministrazione americana non si emoziona più che tanto quando sono gli islamisti a uccidere, magari anche un suo stesso ambasciatore, come a Bengasi ). Il papa ha taciuto, anche se aveva appena tenuto un incontro sulla pace – e che pace è quella in cui si ammazzano i ragazzini fuori da scuola?. L'Onu ha parlato di “presunto rapimento” seguendo anche in questo caso il copione degli islamisti, peraltro ripreso anche da molti media (pensate che CNN iera sera, dava l'annuncio della morte dei ragazzi parlando di “presunti rapiti”). L'Europa ha fatto di peggio, in particolare l'ha fatto l'Italia, il ministro degli esteri del PD Mogherini (http://www.francolondei.it/mogherini-contro-israele-renzi-tace-acconsente/), che non ha trovato momento migliore per proclamare falsamente “l'illegalità” degli insediamenti ebraici oltre la linea verde. Gli attivisti filopalestinesi hanno fatto di peggio: guardate queste foto e i commenti relativi, se avete qualche dubbio che nel loro caso si debba parlare di nazismo (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=773595.it/articolo.php?id=773595). Una sciagurata che si fa fotografare davanti a un forno acceso facendo il saluto delle tre dita che i palestinisti hanno usato in queste settimane per festeggiare il rapimento. Adesso tutti (salvo la sciagurata e gli altri palestinisti) si dicono dispiaciuti, mandano messaggi di condoglianze eccetera. Ma questo aggrava il sentimento di solitudine, non dà sollievo. Potevano parlare e cercare di fare qualcosa prima. Oggi sono lacrime di coccodrillo, ci danno la stessa amarezza di certe celebrazioni della Giornata della Memoria. Gli ebrei morti piacciono ai politici, alla stampa, agli intellettuali, alla Chiesa. Quelli vivi molto meno. Mi sono chiesto se il papa, apprendendo dell'uccisione dei ragazzi, abbia ripensato a quella sua sosta davanti alla barriera di sicurezza, che serve esattamente a evitare questi crimini, e se ne sia un po' vergognato. La responsabilità o la corresponsabilità delle vittime è stata tirata fuori spesso in questi giorni. Qualcuno ha più o meno implicitamente rimproverato ai ragazzi di aver fatto l'autostop. Che è come incolpare le donne violentate di uscire, i borseggiati di avere un portafoglio. L'autostop è un modo diffusissimo di muoversi in una società aperta e fiduciosa come quella israeliana, reso indispensabile dalla dispersione in piccoli centri della popolazione. E' ovvio che i terroristi se ne sono approfittati, ma anche i ladri usano le finestre e i violentatori un momento di isolamento della vittima che sta andando a casa su una strada deserta. La colpa è loro, non di chi è colpito. Beitar Illit, uno dei villaggi del Gush Etzion
Più seria è l'attribuzione della qualifica di colono, con tutto ciò che essa comporta nell'immaginario collettivo. Sento il bisogno di ripetere che non c'è niente di male a vivere e a lavorare al di là della linea verde. Si tratta di una parte del vecchio mandato britannico che la Società delle Nazioni (l'Onu di allora) aveva istituito allo scopo di favorire l'insediamento ebraico. La linea verde non è mai stata riconosciuta come un confine internazionale. I territori al di là di essa sono stati liberati dall'occupazione illegale giordana (mai riconosciuta dalla comunità internazionale) nel corso di guerre di difesa; la mozione dell'Onu che ha concluso quella del '67 richiede per Israele confini difendibili, che non sono certo quelli della linea verde. Infine con gli accordi di Oslo, firmati dai palestinesi, la Giudea e Samaria furono divise in tre zone, una amministrata dall'Anp, una mista, una amministrata da Israele, in attesa di un accordo fra le parti sui confini che non è stato finora concluso. Ora due dei tre ragazzi abitavano nel territorio israeliano pre-67; la scuola che frequentavano ha sede nel Gush Etzion, un gruppo di villaggi nati in maniera perfettamente legali negli anni Venti e Trenta durante il mandato britannico e poi distrutti dai giordani durante la loro pulizia etnica dei territori, infine ricostruiti nel '67. Un reato, come la pulizia etnica, può rendere illegale un insediamento perfettamente legale, costruito con tutte le autorizzazioni su terra regolarmente acquistata? (http://www.americanthinker.com/2014/06/what_made_a_legally_established_settlement_illegal.html) Le conseguenze. C'è una forte pressione su Israele perché si “moderi”, mostri “restraint”, come dicono gli americani, insomma, non faccia niente. Allo scopo, si dice, di “salvare la possibilità di pace”. Ma l'uccisione dei tre ragazzi mostra che non c'è la pace, c'è la guerra. Una guerra particolarmente crudele, che non risparmia nulla e nessuno, che gli arabi hanno dichiarato agli ebrei cent'anni fa (le prime stragi sono del 1920) e che non è mai cessata. E' passata attraverso molte fasi, i pogrom, gli assalti con grandi eserciti, il terrorismo internazionale coi dirottamenti, quello suicida che prendeva gli ebrei al mercato o negli autobus, la guerriglia legale e quella diplomatica, la guerra dei razzi. Quando i terroristi erano sconfitti su un fronte ne aprivano un altro, senza con questo rinunciare a continuare anche con le vecchie tattiche. C'è la guerra degli arabi contro Israele come c'è la guerra dell'Islam contro il resto del mondo. Non bisogna illudersi, la pace non c'è e non ci sarà per lungo tempo. Se Israele è infinitamente più tranquillo e vivibile dei territori circostanti, ciò dipende esclusivamente dalla sua forza, che viene continuamente sfidata dai terroristi. L'uccisione di Eyal, Gilad e Naftali non è un improvviso episodio di follia, un crimine dell'estremismo o dell'intolleranza: è un atto di guerra diretto - come spesso fanno gli islamisti - contro civili innocenti. Bisogna combattere questa guerra e vincerla. Il che avviene a due livelli: distruggendo le forze terroristiche e le loro infrastrutture, soprattutto annidate a Gaza, e mantenendo l'iniziativa strategica anche sul piano propagandistico. Per questo è molto grave la politica anti-israeliana dell'Unione Europea, cui il governo Renzi sciaguratamente si è associato. Perché usa la forza comunicativa economica e politica dell'Europa contro Israele e dunque, consapevolmente o meno, in alleanza coi terroristi. La dichiarazione di Mogherini ha reso più probabile nuovi razzi, nuovi rapimenti e nuovi omicidi, bisogna saperlo e dirlo.
Golda Meir Chiunque si illuda di risolvere le cose con un po' di preghiere in un bel giardino illuminato dal dolce tramonto di Roma, chiunque chieda la continuazione di colloqui al prezzo della liberazione di terroristi che poi ammazzano chi gli capita a tiro, chiunque invoca ritiri o “gesti di buona volontà” sta dando una mano ai terroristi. Chiunque distingua fra nemici buoni e cattivi, moderati ed estremisti, li aiuta a fare il gioco delle parti. C'è una guerra in Israele che è la punta di una guerra globale, bisogna saperlo e cercare di vincerla, anche in memoria dei tre innocenti trucidati. Come diceva Golda Meir, “preferisco le vostre condanne alle vostre condoglianze”.
Ugo Volli
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