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Ugo Volli
Cartoline
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Alcune lezioni dall'Isis 30/06/2014

Alcune lezioni dall'Isis
Cartoline da eurabia, di Ugo Volli

A destra, terroristi dell'Isis, lo "Stato islamico in Iraq e nel Levante"

Cari amici,

la conquista da parte del movimento terrorista Isis di un territorio vasto come uno Stato fra Siria e Iraq è stata in genere commentata in maniera abbastanza insensata dalla stampa italiana e internazionale, che ha soprattutto raccomandato un'alleanza fra Usa e Iran per sconfiggerlo. Il che è una follia, da molti punti di vista: perché non si combatte un incendio appiccando nuovi fuochi (l'Isis è terrorista, ma terrorista, finanziatore e organizzatore di terroristi è anche l'Iran); perché le vittorie dell'Isis derivano anche dal senso di oppressione dei sunniti iracheni da parte degli sciiti, e un intervento iraniano (cioè sciita) in Iraq allarmerebbe e compatterebbe il fronte sunnita, col risultato di rafforzare l'Isis; perché si aiuterebbe l'Iran a realizzare il suo progetto strategico di una continuità fra il suo territorio, quello iracheno (assommando così una quantità enorme di risorse petrolifere) e quello siriano, con continuità territoriale dal Pakistan e dall'Afghanistan fino al Mediterraneo e alle soglie di Israele; perché un accordo del genere sdoganerebbe inevitabilmente il nucleare iraniano, dando al nuovo megastato dominato dagli ayatollah la dimensione di un'autentica potenza planetaria, proprio quell'emirato islamico che si vuole evitare. Insomma, una follia, che per fortuna non si è ancora realizzata e che alcune voci per fortuna iniziano a sconsigliare anche negli Stati Uniti.

Resta il fatto che la conquista del nuovo territorio da parte dell'Isis è una novità che scombina i giochi del Medio Oriente, ed è importante rifletterci per non restare sorpresi dagli sviluppi. La prima considerazione è che anche dopo un secolo dalla loro invenzione, gli stati arabi di quella zona  restano entità artificiali, senza una autentica base etnica, culturale o di coscienza popolare. Come potrebbe qualcuno pensare di inventarsi oggi uno Stato che unisca il Norditalia e la Provenza, o un pezzo di Francia e un altro di Germania ? Non avrebbe senso, contrasterebbe il senso di identità delle popolazioni.  In Medio Oriente questo è possibile perché in realtà lo spazio politico arabo a nord e a est dell'Egitto e a Sud e a Ovest dell'Anatolia e della Persia è da mille anni percepito come unico. Nel 1916 la Gran Bretagna promise agli arabi un unico Stato che comprendesse l'attuale Arabia Saudita,  quelli che sono diventati Iraq, Siria, Libano, Giordania e Israele (promettendo contemporaneamente questo al movimento sionista). Gli inglesi speravano di diventarne i supervisori, non ci riuscirono, ma l'aspirazione all'unità rimase diffusa fra gli arabi. Le divisioni statuali furono stabilite per trovare un accordo fra le pretese imperialistiche di Francia e Gran Bretagna e per permettere loro di praticare la politica del divide ed impera. Ma come scrive un recente studio - interessante benché molto prevenuto in senso filobritannico - di James Barr, la spartizione del Medio Oriente fu fatta come “A line in the sand” (Simon and Shuster 2011), una linea sulla sabbia, che facilmente si cancella. Bisogna tener presente che quel che è estraneo alla cultura araba non è la mappa attuale con questa suddivisione fra i diversi stati stabilita un secolo fa; ma la nozione stessa di Stato (in quanto autonomo dalla comunità religiosa) e ancor di più quella di Stato nazionale (con l'unica rilevante eccezione dell'Egitto). L'anarchia dominata da bande religiose, che a noi pare uno stato intollerabile, per la cultura araba è normale, anche se essa troverebbe auspicabile il dominio (personale, non statuale) di un califfo. Non sarà facile ritrasformare i “failed states” (oltre a questi, anche l'Afghanistan, la Somalia, il Sudan, la Libia...) in stati secondo il nostro criterio. E' probabile che in quell'area non siano spariti quegli stati, ma lo Stato in quanto tale e che chiunque vi abbia a che fare dovrà fare i conti con organizzazioni effimere, violente, irresponsabili, tendenzialmente terroriste, spesso carismatiche, comunque religiose.

Venendo a temi più vicini, ci sono alcune lezioni essenziali per Israele che si debbono prendere da questa situazione. Innanzitutto, il progetto americano di addestrare truppe locali e di delegare loro il controllo del territorio e la lotta al terrorismo è fallito clamorosamente in Iraq come in Afghanistan. Le truppe da loro formate si disfano come neve al sole di fronte alla prima avversità e spesso tornano ad essere quel che erano sempre state, milizie legate a una fazione terrorista. Questo è importante da dire, perché gli americani hanno basato le loro proposte per risolvere il conflitto fra Israele e l'Autorità Palestinese sull'esistenza di una forza militare da loro addestrata che  dovrebbe essere capace di resistere ai terroristi, cioè di svolgere in Giudea e Samaria il ruolo che ha oggi l'esercito israeliano, nonostante il fatto ben noto che buona parte dei terroristi palestinesi degli ultimi anni provenissero proprio da queste forze.


Manifestazione a favore dello "Stato Islamico" in Giordania

Ora però si dà il caso che l'Isis abbia catturato i posti di confine fra Iraq e Giordania e minacci direttamente questo regno. Alcuni vedono la minaccia come immediata e pensano che Israele si troverà a dover combattere direttamente contro il gruppo terrorista (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182285); altri ritengono il pericolo meno prossimo (http://www.jpost.com/Middle-East/Experts-ISIS-tide-unlikely-to-flood-Jordan-although-trouble-in-kingdom-may-be-internal-360504). Comunque il pericolo di un'invasione della Giordania da parte di bande jihadiste è possibile ora e lo sarà sempre nei prossimi anni; sembra che gli Stati Uniti abbiano chiesto a Israele di tener pronto l'esercito per difendere la Giordania (http://www.timesofisrael.com/amman-may-ask-israel-us-to-help-it-fight-isil/). Il che è già di per sé straordinario, dà il segno della disperazione e della sconfitta americana, perché la richiesta americana a Israele era sempre stata di tenersi fuori dai conflitti arabi e questa è anche stata la politica israeliana, fin dai tempi della prima guerra del Golfo.


Da Giudea a Samaria a Israele 

Dovrà intervenire Israele ? Potrà farlo apertamente ? E questo suo intervento non rischierebbe di causare una rivolta aperta contro la monarchia hashemita, che è già contestata dalla maggioranza palestinese residente in Giordania e da tribù beduine che di recente a quanto pare si sono radicalizzate ? Non lo so, forse oggi non lo sa nessuno. Già la domanda è una smentita totale del punto di vista che vorrebbe il disarmo di Israele, la sua “pacifistizzazione”, l'affido della sicurezza alla comunità internazionale o all 'America, che in questo momento sono impotenti. Già la situazione attuale insegna ancora una volta che la sicurezza di Israele può essere affidata solo alla sua stessa forza. Ma ammettiamo che l'intervento in Giordania non sia possibile o sia inutile, che sotto la spinta dell'Isis il regime giordano crolli o traballi come quello iracheno. Speriamo di no, ma facciamo questa ipotesi. A questo punto l'Isis o qualche altro movimento terrorista sarebbe al confine del Giordano, quello che Obama e Kerry volevano cedere all'Autorità Palestinese, garantendone la sicurezza con una sorveglianza elettronica e satellitare; e senza dubbio punterebbe a sfondarlo per “liberare” la “Palestina”. Reggerebbero anche solo un giorno le forze di sicurezza palestinesi a una spinta delle milizie sunnite ? Permettetemi di scommettere che no. Forse l'esercito giordano, che ha una tradizione combattiva e disciplinata, difenderebbe Amman; ma certo le milizie di Fatah addestrate dagli americani non sparerebbero un colpo contro l'Isis, anzi si unirebbero felicemente alle truppe terroriste. Un fatto strategico riconosciuto da tutti è che la difesa del confine orientale di Israele si può fare solo nella profonda infossatura del Giordano; una volta che i nemici avessero superato questo ostacolo e fossero in vetta ai monti della Giudea e della Samaria, fermarli sarebbe davvero difficile: fino a Tel Aviv è tutta discesa, con molte comode valli, con i soli ostacoli degli insediamenti (le orribili “colonie”). Interverrebbero a quel punto gli Stati Uniti, l'Europa, l'Onu ? Permettemi di dubitarne. Israele dovrebbe combattere una battaglia per la vita e per la morte in condizioni di disastroso svantaggio strategico.

Ecco, questo è l'altro insegnamento che viene dalla costituzione dell'Isis: i piani americani per la sicurezza di Israele valgono quanto il loro addestramento delle truppe irachene e afgane, cioè nulla. Israele non può permettersi di abbandonare la valle del Giordano né gli insediamenti in Giudea e Samaria, se vuol garantire un po' di sicurezza ai suoi cittadini di Tel Aviv. Per fortuna Obama non è riuscito a piegare Netanyahu (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4535964,00.html) e l'estrema sinistra pacifista israeliana è una piccola minoranza. Se le cose fossero andate come volevano (e continuano a volere) loro, ora il pericolo sarebbe davvero imminente.



Ugo Volli
   


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