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Alcune lezioni dall'Isis Cari amici, la conquista da parte del movimento terrorista Isis di un territorio vasto come uno Stato fra Siria e Iraq è stata in genere commentata in maniera abbastanza insensata dalla stampa italiana e internazionale, che ha soprattutto raccomandato un'alleanza fra Usa e Iran per sconfiggerlo. Il che è una follia, da molti punti di vista: perché non si combatte un incendio appiccando nuovi fuochi (l'Isis è terrorista, ma terrorista, finanziatore e organizzatore di terroristi è anche l'Iran); perché le vittorie dell'Isis derivano anche dal senso di oppressione dei sunniti iracheni da parte degli sciiti, e un intervento iraniano (cioè sciita) in Iraq allarmerebbe e compatterebbe il fronte sunnita, col risultato di rafforzare l'Isis; perché si aiuterebbe l'Iran a realizzare il suo progetto strategico di una continuità fra il suo territorio, quello iracheno (assommando così una quantità enorme di risorse petrolifere) e quello siriano, con continuità territoriale dal Pakistan e dall'Afghanistan fino al Mediterraneo e alle soglie di Israele; perché un accordo del genere sdoganerebbe inevitabilmente il nucleare iraniano, dando al nuovo megastato dominato dagli ayatollah la dimensione di un'autentica potenza planetaria, proprio quell'emirato islamico che si vuole evitare. Insomma, una follia, che per fortuna non si è ancora realizzata e che alcune voci per fortuna iniziano a sconsigliare anche negli Stati Uniti. Resta il fatto che la conquista del nuovo territorio da parte dell'Isis è una novità che scombina i giochi del Medio Oriente, ed è importante rifletterci per non restare sorpresi dagli sviluppi. La prima considerazione è che anche dopo un secolo dalla loro invenzione, gli stati arabi di quella zona restano entità artificiali, senza una autentica base etnica, culturale o di coscienza popolare. Come potrebbe qualcuno pensare di inventarsi oggi uno Stato che unisca il Norditalia e la Provenza, o un pezzo di Francia e un altro di Germania ? Non avrebbe senso, contrasterebbe il senso di identità delle popolazioni. In Medio Oriente questo è possibile perché in realtà lo spazio politico arabo a nord e a est dell'Egitto e a Sud e a Ovest dell'Anatolia e della Persia è da mille anni percepito come unico. Nel 1916 la Gran Bretagna promise agli arabi un unico Stato che comprendesse l'attuale Arabia Saudita, quelli che sono diventati Iraq, Siria, Libano, Giordania e Israele (promettendo contemporaneamente questo al movimento sionista). Gli inglesi speravano di diventarne i supervisori, non ci riuscirono, ma l'aspirazione all'unità rimase diffusa fra gli arabi. Le divisioni statuali furono stabilite per trovare un accordo fra le pretese imperialistiche di Francia e Gran Bretagna e per permettere loro di praticare la politica del divide ed impera. Ma come scrive un recente studio - interessante benché molto prevenuto in senso filobritannico - di James Barr, la spartizione del Medio Oriente fu fatta come “A line in the sand” (Simon and Shuster 2011), una linea sulla sabbia, che facilmente si cancella. Bisogna tener presente che quel che è estraneo alla cultura araba non è la mappa attuale con questa suddivisione fra i diversi stati stabilita un secolo fa; ma la nozione stessa di Stato (in quanto autonomo dalla comunità religiosa) e ancor di più quella di Stato nazionale (con l'unica rilevante eccezione dell'Egitto). L'anarchia dominata da bande religiose, che a noi pare uno stato intollerabile, per la cultura araba è normale, anche se essa troverebbe auspicabile il dominio (personale, non statuale) di un califfo. Non sarà facile ritrasformare i “failed states” (oltre a questi, anche l'Afghanistan, la Somalia, il Sudan, la Libia...) in stati secondo il nostro criterio. E' probabile che in quell'area non siano spariti quegli stati, ma lo Stato in quanto tale e che chiunque vi abbia a che fare dovrà fare i conti con organizzazioni effimere, violente, irresponsabili, tendenzialmente terroriste, spesso carismatiche, comunque religiose. Ora però si dà il caso che l'Isis abbia catturato i posti di confine fra Iraq e Giordania e minacci direttamente questo regno. Alcuni vedono la minaccia come immediata e pensano che Israele si troverà a dover combattere direttamente contro il gruppo terrorista (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182285); altri ritengono il pericolo meno prossimo (http://www.jpost.com/Middle-East/Experts-ISIS-tide-unlikely-to-flood-Jordan-although-trouble-in-kingdom-may-be-internal-360504). Comunque il pericolo di un'invasione della Giordania da parte di bande jihadiste è possibile ora e lo sarà sempre nei prossimi anni; sembra che gli Stati Uniti abbiano chiesto a Israele di tener pronto l'esercito per difendere la Giordania (http://www.timesofisrael.com/amman-may-ask-israel-us-to-help-it-fight-isil/). Il che è già di per sé straordinario, dà il segno della disperazione e della sconfitta americana, perché la richiesta americana a Israele era sempre stata di tenersi fuori dai conflitti arabi e questa è anche stata la politica israeliana, fin dai tempi della prima guerra del Golfo.
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