Il commento di Fulvio Miceli Dal 15/06/2014 al 21/06/2014
Fulvio Miceli
L' ultima settimana è stata segnata da eventi drammatici. In Israele, l'operazione “Brother's Keeper” non ha per il momento portato al ritrovamento di Eyal Yfrach, Gilad Shaar e Naftali Frenkel. Le forze di sicurezza e il governo israeliani ritengono Hamas responsabile del rapimento dei tre adolescenti, dei quali non si ha più notizia da giovedì 12 giugno. L'organizzazione terroristica di matrice islamista fa parte del governo unitario dell' Anp. Il sequestro non è perciò soltanto un terribile dramma umano, che colpisce l'intero Israele, ma pone anche un grave problema politico. Hamas non ha mai fatto mistero della sua volontà di sequestrare militari e civili israeliani, arrivando fino al punto di diffondere un manuale per aspiranti rapitori ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=53854 ). E' però proprio dopo la nascita del governo congiunto con Fatah che questi piani si sono concretizzati. E' evidente come l'accordo ne abbia facilitato l'attuazione, consentendo ai membri di Hamas una libertà di azione che in precedenza non avevano nei territori controllati dall'Anp, dove l'atto terroristico è stato pianificato e organizzato. Grande è perciò la responsabilità di Abu Mazen nell'aver accettato l'accordo con il gruppo islamista, ma grande è anche la responsabilità della comunità internazionale che quell' accordo ha avallato, nonostante Hamas non abbia mai accolto le condizioni che quella stessa comunità internazionale le aveva posto: riconoscimento di Israele, riconoscimento degli accordi già firmati da Israele e Anp, rinuncia alla violenza. Unione Europea, Nazioni Unite e Stati Uniti, riconoscendo il governo unitario Fatah-Hamas e chiedendo a Israele di considerarlo un interlocutore legittimo hanno manifestato la propria inaffidabilità, la contraddittorietà delle proprie politiche e la distanza tra gli illusori obiettivi di queste ultime e la realtà del Medio Oriente. La barbarie del sequestro Eyal, Gilad e Naftali riporta brutalmente a questa realtà e ad alternative che non possono essere eluse: Abu Mazen non può essere contemporaneamente un “partner” di Israele e di Hamas, che Israele dichiara apertamente di volerlo distruggere e che contro gli israeliani pianifica ed attua i crimini più efferati. USA, UE e ONU, per avere una qualche efficacia politica in Medio Oriente dovrebbero iniziare a tener fede ai loro stessi principi: condannare il terrorismo, chiedere il riconoscimento di Israele, non serve a nulla se poi si adotta una politica che i terroristi li premia dichiarandoli interlocutori imprescindibili. L'altro fronte nel quale si è assistito a eventi le cui conseguenze per il Medio Oriente e per il mondo saranno certamente rilevanti e di lungo periodo è l'Iraq, dove l'avanzata del gruppo terroristico “Stato islamico in Iraq e nel Levante”, in marcia verso Baghdad, sta creando una base territoriale al progetto di restaurazione del Califfato già perseguito da Bin Laden. Le cause prossime del collasso dello Stato iracheno risiedono nella combinazione tra il disimpegno militare americano e il settarismo sciita del governo di Nouri Al Maliki, in rotta di collisione con la minoranza sunnita. Le possibili conseguenze di questi eventi sono estremamente pericolose, tanto che appare veramente difficile individuare il “male minore” tra di esse. In Iraq potrebbe in effetti non sorgere nessun “Califfato”, ma il prezzo di questo esito in sé positivo potrebbe d'altro canto rivelarsi estremamente alto: l'Iran, potenza sciita, sta intervenendo in Iraq con truppe speciali, agli ordini di Qassem Suleimani, comandante delle Brigate Quds, che già ha avuto un ruolo di primo piano in Libano, nella guerra del 2006 scatenata da Hezbollah contro Israele, nella guerra civile siriana, dove è stato l'artefice dell'efficace sostegno di Teheran al regime di Bashar Assad e nello stesso Iraq, dove ha guidato campagne terroristiche contro le truppe americane ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=53826 ). L'amministrazione Obama potrebbe essere tentata dal vedere nella contingente convergenza d'interessi con Teheran, o meglio nell'ingresso in scena di un presunto nemico comune, appunto lo 'Stato islamico' che a Mosul e nelle altre città irachene conquistate ha fatto strage di sciiti, l'occasione di una risoluzione positiva del contenzioso con la Repubblica islamica, se non di una vera e propria alleanza ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=253&sez=120&id=53797). Importanti analisti statunitensi, d'altro canto, propugnano ormai apertamente uno scenario strategico di questo tipo ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=53856 ). L'Iran, però, appare alieno a ogni illusoria ipotesi di “riconciliazione” con l'America e l'Occidente. Il regime degli ayatollah persegue i suoi interessi e gli obiettivi dettati dalla sua ideologia, senza mutare le sue scelte strategiche a causa di un'occasionale convergenza tattica con il “Grande Satana” americano. In Iraq, come in Siria, estende la sua egemonia. E a Vienna, dove sono in corso i negoziati sul nucleare, non si mostra minimamente più disponibile al compromesso, e anzi coglie nella difficoltà americana l'occasione favorevole per una sorta di ricatto in base al quale Washington dovrebbe acconsentire ad un accordo nei termini dettati da Teheran in cambio di cooperazione in Iraq ( http://www.nytimes.com/2014/06/19/world/middleeast/conflict-in-iraq-adds-new-angle-to-us-iran-nuclear-talks.html ). Nell'ascesa dello “Stato islamico” non mancano d'altro canto elementi sospetti che rendono credibile persino l'ipotesi che questo gruppo sia esso stesso una pedina della strategia egemonica dell'Iran ( http://jcpa.org/article/isis-irans-instrument-regional-hegemony/ ). Certamente un accordo tra Stati Uniti e Iran che non comportasse la fine, verificabile, del progetto nucleare di quest'ultimo, e del suo sostegno al terrorismo, sarebbe, nell'immediato, dannoso soprattutto per Israele. E' lo Stato ebraico che il regime degli ayatollah vuole cancellare dalla faccia della terra e contro cui si rivolgono primariamente i gruppi terroristici che finanzia, addestra e, in alcuni casi (Hezbollah), dirige. Allo stesso modo non insistere sul rispetto dei diritti umani, che continuano a essere violati anche sotto la presidenza del “moderato” Rohani, sarebbe dannoso soprattutto per gli iraniani, che sono le prime vittime del regime. L'Occidente non dovrebbe tuttavia farsi illusioni. Un Iran nucleare comporterebbe la destabilizzazione di tutta la regione mediorentale, innescando una corsa all'atomica da parte di potenze rivali come l'Arabia saudita. E sfrutterebbe la potenza acquisita per le sue ambizioni, che non sono soltanto regionali. L'ideologia della Repubblica islamica è rivoluzionaria, e mira ad esportare i suoi principi nel mondo. Lo si dovrebbe essere capito almeno dai tempi della fatwa contro Salman Rushdie, uno scrittore indiano e cittadino britannico. Condannandolo a morte, Khomeini affermava contemporaneamente la giurisdizione universale dell'islam. Qualcosa di molto simile, in sostanza, al Califfato perseguito dai sunniti dello "Stato islamico". Tanto che l'idea di combattere quest'ultimo gruppo - anche ammesso che sia una forza realmente indipendente da Teheran - al prezzo di una capitolazione alla sua versione sciita, più ricca e organizzata, militarmente più forte e politicamente più intelligente, appare semplicemente assurda.