Volemose bene?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Uno degli aspetti più caratteristici della condizione ebraica, nell'esilio durante due millenni e oggi anche riguardo a Israele, che è l'ebreo degli stati, è l'impressione di una fondamentale incomprensione, di più, di un cinismo e di una mancanza di simpatia (innanzitutto nel senso etimologico: la capacità di condividere la percezione della sofferenza) da parte della maggioranza immensa che circonda l'esile minoranza ebraica.
E' accaduto nei secoli durante le persecuzioni cristiane, che identificavano come nemico da distruggere se non proprio la vita del singolo l'esistenza del popolo ebraico e dunque l'identità di ciascuno, il suo diritto e dovere di seguire la propria religione e la propria norma di vita, la propria etica.
E' successo con l'accusa del sangue, ridicola dal punto di vista ebraico, perché il “non uccidere” è uno dei dieci comandamenti e la proibizione dell'uso alimentare di qualunque forma di sangue animale (e a maggior ragione umana) è un caposaldo delle regole alimentari che ogni ebreo deve seguire.
Ancora la cosa si è ripetuta durante il Settecento e l'Ottocento, quando si affermarono in Occidente regimi e modi di pensare laici, che si poteva sperare superassero l'antico odio religioso cristiano e invece lo ribadirono in mito sociale (l'operosità ebraica, la volontà di riscatto e di contribuire al bene comune trasformate in aggressione e sfruttamento) e ripresero gli aspetti più irrazionali dell'anti-giudaismo cristiano (il suo carattere razziale, presente già negli statuti della “limpieza de sangre” spagnola e poi diffusi anche altrove.
E' accaduto con la Shoah, quando vi furono sì, alcune migliaia di Giusti capaci di opporsi allo sterminio programmato di un popolo salvando coraggiosamente qualcuno, ma milioni di “volonterosi carnefici” e centinaia di milioni di cinici indifferenti – non solo in Germania e nei paesi alleati fra cui l'Italia, ma anche fra i nemici del nazismo, innanzitutto nel governo britannico.
E' accaduto mille volte con Israele, democrazia esemplare, attenta ai diritti umani ben più dei paesi europei, frutto di un'autodeterminazione nazionale contro l'imperialismo britannico, ma accusato proprio dai paesi europei ex coloniali ed ex razzisti di colonialismo e razzismo.
Accade ancora oggi col rapimento dei tre ragazzi che ormai dura da una decina di giorni ma non smette di emozionare il popolo ebraico in Israele e altrove.
E' un'emozione che il mondo circostante non capisce e non condivide.
Questo rapimento è stato con ogni probabilità perpetrato da Hamas, subito dopo il suo ingresso al governo dell'Autorità Palestinese. Questo ingresso era stato salutato con soddisfazione, come “un passo importante verso la pace” dall'Onu, dall'Unione Europea, da diversi governi europei fra cui quello italiano, dal Vaticano, in sostanza anche dall'ammistrazione Obama nonostante il parere contrario del Congresso.
In particolare il Papa aveva invitato con grandi squilli di fanfare della stampa a incontrarsi il presidente (per fortuna) uscente di Israele Peres e il dittatore dell'Autorità Palestinese (dittatore almeno da sei anni, da quando è scaduto il suo mandato elettivo) Abbas, a un incontro di preghiera, che Peres aveva accettato nonostante il fatto che il governo Israeliano avesse deciso di sospendere tutti i rapporti con l'Autorità Palestinese al cui governo era entrata una forza terrorista non pentita come Hamas.
Alcuni di questi soggetti politici internazionali hanno espresso una qualche forma generica di condanna per il rapimento, spesso in gravissimo ritardo come l'Unione Europea; altri avevano addirittura echeggiato il cinismo di alcuni politici arabi, dicendo come l'Onu che non c'erano prove definitive del rapimento. Nessuno, proprio nessuno, aveva tratto l'ovvia conseguenza del rapimento: chiedere all'Autorità Palestinese di espellere i rappresentanti di Hamas dal governo e di annullare i legami con l'organizzazione terrorista. Anche chi esprimeva dispiacere e speranza della liberazione dei tre ragazzi lo faceva come se il rapimento fosse stato un evento naturale o un fatto criminale qualunque e non un atto politico preciso, il tentativo di Hamas di estendere e innalzare di grado la sua attività terrorista nei territori contesi di Giudea e Samaria: dagli assalti ai coltelli e coi sassi e le molotov che già praticava al crimine più odioso del rapimento politico, in futuro magari al bombardamento coi missili che già pratica quotidianamente da Gaza nell'indifferenza generale.
Israele si era trovata e si trova ancora in quella situazione che dicevo sopra: isolamento umano, più che politico, rifiuto della simpatia da parte delle potenze del mondo, condanna formale che non nasconde la sostanziale complicità con la “resistenza” palestinese, nessuna modifica della decisione di dar vita a uno stato criminale e terrorista accanto a Israele, con l'invito ulteriore allo stato ebraico a “moderarsi”, “trattenere” la propria autodifesa e “non far scalare il conflitto” e via aiutando il terrorismo.
La lezione, che Israele ha appreso da tempo e che questa volta si conferma clamorosamente agli occhi di tutti, è che non c'è “garanzia internazionale” che tenga; che non c'è invocazione “mai più Shoah” che possa essere creduta. Cioè che la vita degli ebrei (degli israeliani, ma gli arabi dicono senza pudore che il loro nemico sono gli ebrei) non può essere affidata alla benevolenza internazionale, ma deve stare nelle loro mani.
E' vero che l'Occidente ha fatto una scelta analoga anche per quanto riguarda le ragazze rapite in Nigeria, gli occidentali prigionieri in Siria (padre Dall'Oglio), in Iran, in Mali; i cristiani perseguitati in tutto il mondo islamico; ma né il cristianesimo né l'Occidente sono a rischio immediato della loro sopravvivenza oggi e certo non possono essere presi oggi a modello di lucida volontà di tutelare la propria esistenza, la propria identità, la vita di chi appartiene alla loro comunità.
Forse l'incomprensione viene anche da qui, dall'attaccamento di Israele a ogni singolo cittadino, a ogni singolo ebreo, la determinazione a pagare ogni prezzo per salvarli, in contrasto al cinismo, al calcolo avaro delle opportunità da parte della comunità occidentale e purtroppo anche delle organizzazioni cristiane, che valutano l'esigenza di non scontrarsi con l'Islam più dei propri valori e della vita stessa di chi vi appartiene (spesso col risultato di perdere sia la stima dei musulmani che la vita e la libertà dei propri cittadini e comunità).
In questo panorama colpisce in particolare quello che a molti ebrei, a molti amici di Israele (e anche a Informazione corretta) è parso l'”assordante silnezio” della Chiesa (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=53873 , http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=53829 , http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/15202#.U6PoePl_uSE ). Dopo aver visitato Israele e la Giudea e Samaria accettando senza proteste di essere usato come tramite della propaganda terrorista (http://warped-mirror.com/2014/06/08/nakba-propaganda-for-pope-francis/ ), dopo aver subito in silenzio l'affronto, la derisione, la beffa di una lettura alla cerimonia vaticana per la pace in cui i musulmani pregavano per “la vittoria sugli infedeli” (non ne ha parlato nessuno, ma il fatto èp clamoroso, trovate le prove qui: http://gatesofvienna.net/2014/06/he-vatican-and-islamic-prayer/), ora il Vaticano non ritiene importante far sentire con forza la propria voce sulla faccenda dei ragazzi rapiti.
Lo ripeto, capisco che poco viene fatto anche per i prigionieri di coscienza, i rapiti, i perseguitati cristiani nel mondo islamico. Ma questa va considerata solo un'aggravante, la prova di una scelta politica di acquiescienza alla violenza e all'ingiustizia. Ma sul caso dei ragazzi rapiti e in generale di Israele, vi è una domanda più specifica: con che diritto può predicare la pace e porsi come pacificatore chi non è in grado di condannare l'attacco alla vita, il vile rapimento, il ricatto sull'esistenza di ragazzi innocenti?
Con che credibilità chi tace su un crimine del genere, o vi accenna solo flebilmente, senza prendere posizioni al di là dell'auspicio, può dare lezioni di pace? C'è qualcuno che pensa che Israele debba sempre chinare il capo e subire, come fu costretto a fare per secoli sotto il dominio cristiano e musulmano, come in parte fece ancora per l'enormità del trauma e l'impreparazione generale durante la Shoah?
Ha qualcuno il coraggio di dirci che dobbiamo porgere l'altra guancia, magari dopo avercene massacrata una pochissimo tempo fa (secondo la misura della storia)?
Questa è la domanda che pongo agli amici cristiani e che – temo – diverrà più urgente via via che (speriamo di no) il tempo passasse senza risultati concreti nella ricerca dei ragazzi rapiti e il mondo sentisse sempre più l'urgenza di dimenticare, di lasciar correre, di ritornare al “volemose bene” e Israele, ostinato, continuasse a cercare i suoi ragazzi.
Contro il male, contro il nazismo, contro il palestinismo e l'islamismo che ne ereditano oggi buona parte del programma politico, basta “volersi bene” e “cercare la pace”. O occorre reagire, difendersi, lottare?
Ugo Volli