L'islam che l'Occidente si rifiuta di conoscere
Analisi di Valentina Colombo
Valentina Colombo
Membri "occidentali" dell'ISIS (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) dichiarano che tra poco si dirigeranno, dopo avere invaso Siria e Iraq, verso la Giordania e il Libano. Il mondo sta a guardare pensando di salvaguardare meri interessi economici oppure i cosiddetti equilibri internazionali. Purtroppo, e per fortuna, il mondo non è bianco o nero, sunnita o sciita, musulmano o non, in mezzo agli estremi ci sono persone vere che subiscono le scelte della Realpolitik che vuole imporre una visione manichea.
Da un lato il bene e dall’altro il male, da un lato gli sciiti e dall’altro i sunniti, da un lato l’occidente ebraico-cristiano dall’altro islam, da un lato l’islamofobia dall’altro l’islam. Un’attenta analisi dei fatti e delle dinamiche che muovono il mondo contemporaneo dimostra che il problema nasce da una mancanza di chiarezza, di informazione corretta e di definizioni precise.
Un esempio lampante viene dalla reazione occidentale, a livello istituzionale e mediatico, alla cosiddetta “primavera araba”.
Alla fine del 2011, con la fuga di Ben Ali da Tunisi, i mezzi di comunicazione occidentali hanno iniziato a proporre, come unica alternativa ai dittatori arabi, i Fratelli musulmani definendoli con l’assurdo ossimoro “estremisti moderati”. Ebbene, il 27 ottobre 2011 i due principali quotidiani italiani, “Corriere della Sera” e “Repubblica”, annunciavano la vittoria alle elezioni tunisine da parte del partito Al-Nahdha parlando di islamismo “moderato”. Il giorno successivo il quotidiano arabo internazionale “Al Hayat” conteneva un editoriale di Raghda Durgham dal titolo L’occidente confisca le rivoluzioni a vantaggio degli islamisti che esordiva con queste parole: «Mentre l’occidente parla della necessità di accettare il risultato del processo democratico che ha portato gli islamisti al potere nella regione araba, aumentano i dubbi circa le intenzioni dell’occidente stesso che ha avviato una nuova politica volta a favorire lo sviluppo della corrente islamica indebolendo le correnti moderniste, laiche e liberali».
Anche altri commenti provenienti dal mondo arabo non trasudavano certo tranquillità né serenità per i risultati tunisini. A prescindere dal fatto che il termine moderato riferito sia all’islam sia ai musulmani è del tutto inadeguato, ci si sarebbe dovuti chiedere come potesse essere “moderato” un partito legato ai Fratelli musulmani il cui motto è dato dal verso 60 della sura VIII del Corano che recita come segue: «E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto».
Sebbene Rached al-Ghannouchi, leader di Al-Nahdha, non solo nel corso di tutta la campagna elettorale, ma sin dal suo rientro dall’esilio in Gran Bretagna, abbia giocato al ribasso ovvero rassicurando i tunisini sul fatto di non volere uno stato teocratico, di non volere fare venire a meno i diritti acquisiti dalle donne tunisine, di avere come modello la Turchia, è evidente che si trattava di mero pragmatismo. D’altronde Ghannouchi stesso nel volume Muqarabat al-‘ilmaniyya (Avvicinamenti alla laicità, Dar al-Mujtahid, Tunisi 2011, p. 33) non dava adito a dubbi sulla sua concezione di Stato: «Lo Stato islamico è uno stato di diritto per eccellenza ovvero l’autorità della sharia prevale su quella dello Stato». È pur vero che i più hanno conosciuto al-Ghannouchi solo di recente e soprattutto attraverso le sue dichiarazioni alla stampa internazionale. Sono in pochi ad avere avuto modo di leggerne gli scritti in arabo, primo fra tutti il suo saggio fondamentale Le libertà generali nello Stato islamico (Al-hurriyat al-‘amma fi al-dawla al-islamiyya, Markaz Dirasat al-Wahda al-‘Arabiyya, Beirut 1993, p. 48).
Qui nel paragrafo dedicato a “La questione dell’apostasia” scrive: «L’apostasia è la miscredenza, in modo consapevole e per propria scelta, dopo avere abbracciato l’islam. Questo attraverso la rinnegazione, oppure una forma simile, dei fondamenti dell’islam, quali gli articoli di fede, le leggi divine o simboli. Ad esempio attaccare la dignità divina o della profezia, oppure autorizzare ciò che è vietato dalla religione oppure negare i doveri religiosi e così via. I versi coranici hanno enunciato più volte la ripugnanza di questo reato e minacciato chiunque se ne renda colpevole di un castigo cocente, senza però esplicitare una pena precisa nella vita terrena. Invece la tradizione islamica identifica la pena nella condanna a morte: “Uccidete chiunque cambi religione”. Tutti i Compagni – Dio si compiaccia di loro – concordano sulla condanna a morte degli apostati».
Sempre nello stesso volume, a pagina 54, affronta il tema della sharia come fonte di legislazione: «Come non stipulare l’islamicità di un capo (di Stato), il cui compito essenziale è quello di mettere in pratica la religione, orientare la politica dello Stato nei limiti dell’islam, di educare la nazione islamica secondo i precetti dell’islam, di esserne la guida nella preghiera, di predicare […] e di essere un esempio da imitare? Il Corano è chiaro. Ha stabilito che il sovrano debba essere musulmano: “Obbedite a Dio, all’Inviato e a coloro tra di voi che detengono l’autorità” (Corano, IV, 59). È assurdo, impossibile chiedere a un non musulmano assumere il potere, vigilare sulla religione e la gestione degli affari terreni».
Questi sono solo alcuni esempi del pensiero del leader del partito Al-Nahdha che chiariscono perfettamente che si tratta di un’ideologia politica giustificata dall’islam. Quel che stupisce è che l’occidente non abbia voluto ascoltare le persone che in Tunisia, in particolare, e nel mondo arabo, in generale, conoscono i Fratelli musulmani dai loro discorsi in arabo, ovvero dalle fonti dirette, non dai discorsi impacchettati per l’occidente in francese e in inglese. Basterebbe ricordare l’ammonimento di Mohammed Charfi, intellettuale tunisino ed ex Ministro dell’Istruzione, che nel suo saggio Islam et liberté ha definito in mondo molto esplicito gli islamisti “moderati”: «Gli osservatori definiscono oggi moderato l’islamista che innanzi agli occidentali usa un linguaggio ragionevole e che non sceglie apertamente l’azione violenta. Anche se lo stile calmo e il rifiuto della violenza sono sinceri, dal momento che il movimento è sempre legato alla sharia e alla sacralizzazione della storia, la moderazione rimane provvisoria e indica una strategia d’attesa, perché gli ingredienti della radicalizzazione non sono scomparsi».
Ebbene secondo Charfi gli islamisti «cesseranno di essere un movimento di sovversione politica solo quando ammetteranno che il diritto positivo moderno, diverso dalla sharia, è legittimo». E questo momento non è ancora arrivato né nel mondo islamico né in Occidente. Mentre imperversa la guerra in Siria e in Iraq, mentre il jihad è dormiente in tutto il Medio Oriente, è necessario sottolineare la necessità di chiarezza.
Se, come si è detto i Fratelli musulmani, al pari della loro filiale palestinese Hamas, dovrebbero essere annoverati tra le associazioni terroristiche, è inaccettabile che questo venga fatto da un paese come l’Arabia Saudita che in base alla stessa logica anti-terroristica condanna a dieci anni di carcere e a mille frustate il blogger trentenne Raif Badawi per avere criticato il wahhabismo. Non si può accettare che l’Arabia Saudita impartisca lezioni sul terrorismo all’Iraq, quando è risaputo che Al Qaeda è nata dall’ideologia wahhabita. Così come non si può accettare che le associazioni islamiche in Italia e in Occidente siano in mano a persone ideologicamente schierate con i Fratelli musulmani e che le suddette associazioni siano dei referenti delle istituzioni poiché controllerebbero le moschee con lo scopo di salvaguardare la sicurezza interna.
Se questa tattica fosse stata vincente, allora non sarebbero dovute partire dall’Europa migliaia di jihadisti per la Siria. Purtroppo la triste e amara verità è che i valori, il rispetto della vita umana, il rispetto dei musulmani brava gente, passano regolarmente in secondo piano innanzi a obiettivi ritenuti primari, quali la “temporanea” sicurezza interna e internazionale. Questo atteggiamento permeato da un profondo relativismo porterà a un suicidio dell’Occidente e a un omicidio/suicidio del Medio Oriente con enorme soddisfazione di chi, con estremo pragmatismo, attende di impadronirsi delle redini del mondo, grazie a un’ideologia politico-religiosa intrisa di petrolio e gas naturale.