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La Stampa Rassegna Stampa
21.06.2014 Il nuovo romanzo di Meir Shalev
Recensione/commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 21 giugno 2014
Pagina: 21
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'In Medio Oriente dobbiamo dimenticare la voglia di vendetta'»

Riprendiamo dalla STAMPA/TUTTOLIBRI di oggi, 21/06/2014, a pag.21. il commento/recensione di Maurizio Molinari al libro di Meir Shalev "Due Vendette", in uscita da Bompiani, tradotto da Elena Loewenthal, che verrà presentato con l'autore a Torino venerdì 27 giugno, ore 21, al Borgo Medievale del Valentino.


Maurizio Molinari            Meir Shalev

Nel bel mezzo della valle di Itzrael c'è il piccolo villaggio di Alonei Abba, fondato alla fine dell'Ottocento con il nome di Waldheim da famiglie evangeliche tedesche che sarebbero poi diventate una colonia nazista nel cuore del focolare nazionale ebraico. E' qui che vive lo scrittore Meir Shalev, 66 anni, autore di Le due vendette, il romanzo in arrivo in Italia per i tipi di Bompiani, imperniato su due feroci omicidi che, a cavallo di tre generazioni, descrivono la più cruenta sovrapposizione fra memoria e violenza. Dalle finestre di casa di Shalev si vedono due degli edifici in pietra costruiti dagli abitanti di Waldheim, che vennero poi deportati dagli inglesi in Australia durante la Seconda Guerra Mondiale, e lui tiene ad assicurare che «essere immerso in questo passato non ha influenzato il mio lavoro». Resta il fatto che a Waldheim, ad anni Trenta inoltrati, buona parte della popolazione di origine tedesca era nazista, si svolgevano eventi pubblici con svastiche in bella mostra, la Hitlerjugend organizzava campeggi per i più giovani e il Führer era amato dai più sebbene la Palestina dell'epoca fosse sotto il mandato della corona britannica che ne aveva fatto il palcoscenico del risorgimento nazionale ebraico grazie alla Dichiarazione Balfour del 1917. Sui muri della casa di Shalev due foto d'epoca ingiallite illustrano proprio la Waldheim nazista in Terra d'Israele e Shalev ne descrive gli abitanti come «persone che dopo la guerra non sono più tornate, incassando però gli indennizzi per i loro beni, quando la nascita di Israele costituì il riscatto più grande dalla Shoah» e Alonei Abba venne creato da sopravvissuti romeni, cecoslovacchi e austriaci che scelsero di intitolare le disabitate case prussiane a Abba Berdichev, partigiano ebreo ucciso dai nazisti vicino Praga nel 1945, nell'intento di dare vita ad una comunità agricola in Galilea. «La vendetta fa parte della storia del Mediterraneo» dice Meir Shalev, identificando nella trama del romanzo «una dinamica di rapporti sociali che dal Sud della Francia alla Sicilia, dall'Albania al Medio Oriente» tende a ripetersi «con caratteristiche assai simili perché ruotano attorno a questioni inerenti a famiglia e onore». Alcune delle pagine grondano effettivamente violenza e Shalev, autore di romanzi tradotti in 26 lingue, mette in guardia i propri lettori su un libro «diverso dagli altri che ho scritto proprio perché a volte eccede nel carattere sanguinario». Ma l'intento non è legittimare la logica della vendetta. Tutt'altro: «Io stesso, che l'ho scritto, ammetto che non potrei mai comportarmi come uno dei personaggi che ho creato, le loro azioni vanno ben oltre quanto potrei mai fare». Ma è una trama che spinge a confrontarsi con «una realtà, drammatica e spietata, che esiste nelle società in cui viviamo a causa di una somma di tradizioni, abitudini e valori che si ripetono in più Paesi del Mediterraneo». E' dunque la faida generazionale il vero protagonista di Due vendette e Shalev sottolinea come si tratti di «una realtà che spacca le società in cui viviamo, come avviene ad esempio fragli arabi-israeliani perché mentre in alcune tribù beduine è un metodo di vendetta che si rinnova in altri villaggi è vero l'opposto». Da qui l'interrogativo sull'argine o l'antidoto che consente ad una società di emanciparsi dalle faide. «Non sono un sociologo - risponde Shalev - ma parlando a titolo personale posso affermare che è il rispetto della Legge, il timore della punizione e della  polizia, ciò che più limita la tendenza umana alla vendetta contro il prossimo». Da qui il riferimento a Israele, una nazione che Shalev identifica con «un elevato timore della Legge da parte dei cittadini rispetto a quanto avviene nel resto del Medio Oriente» spiegando così il perché, a Seconda Guerra Mondiale iniziata, non vi furono mai tensioni o frizioni fra i tedeschi evangelici filo-nazisti e quelli ebrei riusciti in qualche maniera a fuggire dalla Germania nazista. Ciò che colpisce è come Shalev tenda a identificare la violenza di Due Vendette con altre caratteristiche umane, come l'amore, nell'evidente convinzione che descriverla può consentire ai singoli di conoscerla meglio e dunque di allontanarla, ripudiarla, rifiutarla. In ultima analisi il libro si presenta, omicidio dopo omicidio, come un antidoto letterario alle più feroci tendenze degli esseri umani. E forse è anche per questo che Shalev sceglie per il ruolo di narratore esterno il personaggio di Ruta Tavori, un'insegnante di Bibbia. «Anche i miei genitori erano insegnanti - sottolinea l'autore - ed insegnare in particolare Bibbia in Israele è qualcosa che va ben oltre la religione perché investe la trasmissione dell'eredità nazionale come possono essere le lezioni sull'Iliade e l'Odissea nelle scuole della Grecia contemporanea». Come dire, più forte è l'identità, più alta è la possibilità di riuscire a non cedere alla tentazione della vendetta.

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