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I conti senza l'oste Cari amici, Erano terre nemiche che furono catturate con la forza delle armi. Gli abitanti non accettarono mai l'occupazione italiana e quando ne ebbero occasione accettarono l'offerta concordata fra Hitler e Mussolini di optare per la cittadinanza tedesca, anche al costo di trasferirsi molto lontano, mille chilometri a nordest, nei territori che il nazismo voleva strappare ai polacchi. Molti si arruolarono nell'esercito tedesco e nelle SS. Dopo la guerra i sudtirolesi furono lasciati liberi di rioptare per l'Italia, ma questo naturalmente non fu soddisfacente per loro e l'irredentismo austriaco o pagermanistico si sviluppo fino a diventare terrorismo nei primi anni Sessanta: tralicci elettrici fatti saltare, agguati ai nostri militari, anche alcuni morti. In quegli anni essere italiani in queste terre era un pericolo. Oggi (da qualche decennio) non è più così, non c'è traccia del terrorismo e i rapporti con la popolazione locale, che ha importanti redditi dal turismo e grandi vantaggi fiscali dall'autonomia, sono dappertutto buoni. Di indipendenza o annessione all'Austria non si parla più, lo status quo sembra soddisfacente per tutti. Si è fatta la pace fra nemici? Sì, certo. Sotto la guida di una forza politica identitaria ma non necessariamente indipendentista e aliena dal terrorismo come la SVP ? Senza dubbio. Ma perché è accaduto questo ? Innanzitutto perché il terrorismo è stato sconfitto senza complimenti. I vari “martellatori” della Val Passiria e colleghi sono stati messi nella condizione di non nuocere. E poi perché, sia pure con alcune esitazioni iniziali, gli indipendentisti non hanno trovato sponde nella politica internazionale. Il caso del Sudtirolo è arrivato fino all'Onu su iniziativa austriaca, ma poi è prevalsa l'inviolabilità dei confini, ci si è messi d'accordo per un regime di garanzie e di autonomia. E' un tema importante, quello dell'inviolabilità dei confini, perché in fondo tutte le frontiere sono arbitrarie, ma dalla loro accettazione dipende la pace. Una volta l'equilibrio delle frontiere era motivato da ragioni geopolitiche (il confine “naturale” e soprattutto militare del Brennero); poi, nonostante gli scossoni dell'ex Jugoslavia e dell'ex Cecoslovacchia, il rispetto dello stato di fatto è stata la regola della pace europea degli ultimi settant'anni: non riaprire le vecchie ferite o aprirne di nuove. Non cercare di approfittare delle difficoltà del vicino per ridiscutere questioni chiuse. Chi ci prova, come la Russia in Ucraina, incorre nell'ostilità di tutto il continente, anche se si stratta di zone periferiche, nel “cortile di casa” di un soggetto difficile come l'orso russo. Per questo oggi nel cuore dell'Europa non sono stati né la Scozia né la Catalogna né i Paesi Baschi né la Corsica, dove la maggior parte degli abitanti vorrebbe l'indipendenza; e l'idea della Padania è rimasta confinata nel folklore. Se il mondo crede di fare un piacere alle persone comuni del popolo arabo, mantenendo l'ambiguità che si è vista anche in questi giorni, “comprendendo” più o meno sottobanco le ragioni dei terroristi, tacendo sul crimine orrendo del rapimento dei tre ragazzi fino a essere costretto a viva forza a dire qualcosa, si sbaglia di grosso. Questa infatti è la ricetta per prolungare ed esacerbare il conflitto e danneggiare per questa via le persone comuni, favorendo solo politici estremisti e i criminali che essi assoldano. La pace si ottiene sconfiggendo totalmente i terroristi e isolando tutti coloro che sono loro vicini, chiarendo che ogni accordo dovrà essere accettabile a Israele, che la sua sicurezza non si tocca. Così si è fatto in Alto Adige (o se preferite in Sud Tirolo). Così si potrebbe fare in Giudea e Samaria. Ma sperare in un atteggiamento così normale per lo Stato degli ebrei è fare i conti senza l'oste. Cioè l'antisemitismo
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