Vere e false occupazioni
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
devo confessarvelo, vi scrivo da un paese occupato. Sono venuto qui per ragioni di lavoro, ma la mia solidarietà con il popolo occupato è scattata immediatamente. Un paese mediterraneo, bello, dolce, ricco di ulivi di oleandri, di agrumi, di cipressi, tutto mosso da colline biancastre coperte di macchia mediterranea, un paesaggio severo e gessoso dove la terra è per lo più scoperta, ma ogni tanto si levano alberi solenni. Ho mangiato lo hummus col tahine e le olive che mi hanno offerto, ho ascoltato con piacere un po' triste la loro musica malinconica, ho passato lunghe serate all'aperto, godendomi la brezza dopo la vampa del giorno. Ho ascoltato i loro racconti, il muro che separa il paese, l'esercito straniero che ha cacciato molti dalle loro case, la nostalgia delle belle città e delle spiagge per loro irraggiungibili, le peregrinazioni, le famiglie divise, la mancanza di aiuto concreto da parte della comunità internazionale, la rabbia per dover attraversare check in e mostrare documenti per tornare, al massimo per poche ore, nei loro luoghi aviti. La nostalgia della patria, la fierezza per il passato glorioso, il giusto attaccamento al lavoro compiuto, alla religione degli antenati, all'identità culturale conculcata. Mi hanno parlato della crudeltà dei nemici, della barbarie degli invasori, della difficoltà di uno stato di fatto consolidato da molti decenni, che nessuno al di fuori di loro vuole davvero rovesciare, della potenza del nemico, della remissività della comunità internazionale, innanzitutto dell'Europa.
Ho saputo dei monumenti distrutti, dei luoghi di preghiera chiusi, della pulizia etnica e religiosa... e mi sono profondamente rattristato, ho sentito solidarietà. Vi meravigliate di questi sentimenti? Non capite la mia solidarietà ?
Ma come, una guerra d'invasione, gente cacciata di casa, antiche città espropriate e stravolte... come potrei essere indifferente, quando tutto ciò avviene a poco più di due ore di volo dall'Italia, nel nostro stesso bacino mediterraneo, cui dobbiamo la nostra civiltà...
Ah, mi sono dimenticato di dirvelo, ma certamente l'avete indovinato da voi. Il paese invaso di cui parlo si chiama Cipro, è uno stato regolare membro dell'Unione Europea, gli invasori che hanno preso metà del territorio e città storiche come Famagosta sono turchi.
Vi stupite? Avevate pensato ad altro? Magari a un paese che non c'è e a un'occupazione che giuridicamente non è tale? Che strano... Sarete voi che nutrite pregiudizi? O forse no, in tanti avete pensato la stessa cosa.
Piuttosto, lasciatemi avanzare la seguente ipotesi: qualcuno ha fatto un errore di marketing. Avessero i buoni e simpatici ciprioti fatto un po' di terrorismo, dirottato qualche aereo, messo qualche bomba nei mercati turchi, forse qualcuno farebbe da decenni manifestazioni di solidarietà davanti alle ambasciate turche e magari davanti alle moschee, raccoglierebbe fondi per “la resistenza”, organizzerebbe flottiglie dirette a Larnaka...
E però, giustamente e moralmente, i ciprioti non hanno seguito questa strada. Hanno un governo legittimo, sono parte dell'Onu e dell'Unione Europea di cui i loro invasori sono candidati.
Ma nessuno ha detto chiaro e tondo ai turchi che devono andarsene dai territori occupati, nessuno ha proposto di boicottare i loro prodotti, di disinvestire dalle loro industrie. Nessuno conta le case che gli immigrati anatolici importati dalla Turchia a Cipro costruiscono, nessuno considera queste case o pollai o balconi “crimini contro l'umanità” Nessuno ha fatto mozioni di censura all'Onu, all'Unesco, nei vari parlamenti europei. Nessuno ha dato fastidio agli immigrati turchi che in Europa sono milioni.
Quindi, vedete, nel vostro errore non siete soli. Tutto il mondo si comporta come voi. Ignora l'occupazione vera di una parte cospicua del territorio di uno stato perfettamente legale e si concentra sulla gestione edilizia di un territorio che di fatto, di diritto e per trattato firmato dalle parti non è occupato ma solo conteso, discusso, oggetto di negoziati.
Chissà perché, mi sono chiesto nelle sere fresche di Limassol, rese più piacevoli da qualche bicchiere di vino profumato e un po' aspro. Che sia questione di marketing politico? O forse c'è una piccola, intendiamoci piccola piccola, ombra di antisemitismo in questi comportamenti così differenti? Sarà che la maggior parte della stampa, dei politici e magari anche della gente ha qualcuno che ama odiare, cioè gli ebrei che hanno anche il difetto di essersi fatti un loro stato, mentre non è interessata a partecipare emotivamente ad altri conflitti?
Pensateci.
Ugo Volli