IC 7 - Il commento di Marco Paganoni Dallo 01/06/2014 allo 07/06/2014
Testata: Informazione Corretta Data: 09 giugno 2014 Pagina: 1 Autore: Marco Paganoni Titolo: «Storia di un falso»
Il commento di Marco Paganoni Dallo 01/06/2014 allo 07/06/2014
Figura 1
Circola da molto tempo quella che vorrebbe essere una sintetica e definitiva narrazione della “questione palestinese” costruita accostando quattro mappe storiche in ordine cronologico (Fig. 1). Scopo dichiarato del documento sarebbe quello di mostrare in modo grafico e incontrovertibile l’inesorabile espansionismo israeliano a danno dei palestinesi. La sequenza ha avuto uno straordinario successo, tanto che la si trova riprodotta e riproposta in una enorme quantità di versioni molto simili fra loro: per sincerarsene basta lanciare in Google-immagini le parole “palestinian lost of land” e vedere cosa ne esce. Non c’è da meravigliarsi. In effetti, gli autori della cronistoria hanno fabbricato un documento estremamente semplice ed efficace. Peccato che si tratti di un’impostura. Un’impostura tanto più deleteria proprio perché di lettura così immediata ed apparentemente inoppugnabile. Come in certi spot pubblicitari, un concetto falso – l’inarrestabile espansionismo di Israele a scapito dei palestinesi – viene veicolato e avvalorato grazie a una comunicazione sapientemente ingannevole. La prima impostura è insita nell’idea stessa di raccontare in modo esauriente una vicenda storico-politica complessa mediante la semplice giustapposizione di mappe che “parlano da sé”. Le mappe non solo non parlano affatto, ma anzi tacciono molto e dunque mentono. Ognuna di esse necessiterebbe infatti d’una adeguata spiegazione. Basti considerare, ad esempio, la seconda mappa della sequenza, che rappresenta il piano di spartizione approvato dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1947. Chi la guarda non può sapere né immaginare che quella spartizione – che raccomandava la creazione di due stati, uno ebraico e uno arabo – venne accettata dalla parte sionista e respinta dai palestinesi e dai paesi arabi, i quali dichiararono esplicitamente all’Onu che si sarebbero opposti con la forza alla sua applicazione. Cosa che fecero, scatenando quella prima guerra arabo-israeliana che è lo snodo centrale del conflitto e che sta all’origine di gran parte dei problemi successivi, a cominciare da quello dei profughi arabi ed ebrei. Lasciar intendere che il passaggio dalla seconda alla terza mappa sia dovuto all’istinto espansionista degli ebrei sionisti, quando fu invece la conseguenza del (fallito) tentativo del pan-arabismo imperialista di schiacciare sul nascere l’indipendenza ebraica su un territorio riconosciutogli dall’Onu, significa propinare una menzogna che capovolge la realtà storica dei fatti e delle responsabilità. Figura 2
La seconda impostura consiste nel fatto che la sequenza delle mappe assai opportunatamente omette diverse cruciali tappe intermedie che ne smentirebbero l’assunto. Ed ecco così che, come per magia, scompaiono completamente tutti i ritiri effettuati da Israele. Nel corso delle varie vicende belliche, cioè nel corso delle varie guerre che ha dovuto combattere per contrastare i tentativi di annientarlo, Israele ha sì conquistato territori, ma ne ha anche spesso ceduti. Si è ritirato dal Libano nel 1949, nel 1978 e nel 2000; da porzioni di territorio siriano nel 1974; dal Sinai nel 1949, nel 1957 e nel 1982; dalle città palestinesi nel 1995; dalla striscia di Gaza nel 2005. Dove sono finite le mappe di questi ritiri? Negli anni ’70 una sequenza di mappe che voleva denunciare l’espansionismo di Israele mostrava in bella evidenza l’occupazione del Sinai (Fig. 2). Dov’è finita oggi quella mappa? È davvero irrilevante, ai fini della tesi che si vuole sostenere, il fatto che Israele abbia restituito due volte (la prima in cambio di promesse poi non mantenute, la seconda in cambio di un trattato di pace) un territorio come il Sinai che è tre volte più esteso dello stesso stato d’Israele? Che razza di espansionismo è mai quello di una potenza che, senza essere militarmente sconfitta, cede a più riprese enormi e preziosi territori conquistati? È chiaro che le mappe dei ritiri israeliani non possono comparire in questa sequenza perché mostrerebbero quante volte Israele ha già accettato di cedere territori in cambio d’una speranza di pace. Solo facendole scomparire si può falsamente rappresentare Israele come una macchia d’olio che si allarga in modo implacabile. La terza impostura si nasconde nella legenda. Cosa rappresenta la parte di terra colorata in verde? In questa versione (le altre sono tutte molto simili) si legge: “terra palestinese”. Ma cosa significa? Consideriamo la prima mappa. Certamente la parte in verde non indica la terra “abitata da arabi palestinesi”, giacché sappiamo che in gran parte non era affatto abitata, come ad esempio tutta la regione meridionale (il Negev) che ancora oggi è l’area meno densamente popolata del paese. Né può intendersi come terra di “proprietà palestinese”: si trattava in gran parte di terre demaniali o possedute da latifondisti assenteisti che vivevano a Damasco o a Beirut, certamente non palestinesi. E sicuramente non può intendersi come terre “di sovranità palestinese” giacché né prima di allora, né dopo, vi è mai stata una sovranità statale arabo-palestinese. Dunque, la dicitura “terra palestinese” nella prima mappa è priva di significato: è un falso. Nella seconda mappa l’area in verde indica lo “stato arabo” proposto dall’Onu che non si poté realizzare a causa del violento rifiuto arabo. Questa mappa non fotografa una situazione reale sul terreno: è la mappa di una proposta rimasta sulla carta (oltretutto contraffatta nella parte riguardante Gerusalemme, una città che l’Onu non considerava affatto “terra palestinese”): giustapporla alle altre è in sé un ulteriore inganno. La terza mappa indica la situazione dopo da guerra del ‘48 e gli armistizi del ‘49. Qui la parte in verde indica i territori occupati dalla Giordania e dall’Egitto, cosa che viene accortamente taciuta lasciando credere che vi fosse una qualche indipendenza palestinese. La quarta mappa è l’unica dove l’area verde può essere legittimamente definita, con qualche approssimazione, “terra palestinese”. Essa infatti rappresenta le aree che Israele ha trasferito al controllo dell’Autorità Palestinese con gli accordi del 1995. Dunque “terre palestinesi” in seguito a un ritiro di Israele, non a una sua ulteriore avanzata come la sequenza delle mappe vorrebbe far credere: un altro inganno. Infatti va ricordato che la prima forma embrionale di sovranità nella storia dei palestinesi non è nata grazie ai turchi, agli inglesi, ai giordani o agli egiziani: è nata grazie agli israeliani e al loro accordo coi palestinesi. Ma questo la mappa non lo dice. Oltretutto un accordo ad interim, cioè provvisorio: il che significa che l’area palestinese colorata in verde, e non quella israeliana, è destinata ad allargarsi con l’accordo definitivo: un allargamento già previsto dalle proposte di accordo avanzate da Israele nel 2000 (con Ehud Barak) e nel 2008 (con Ehud Olmert), ma respinte dai palestinesi: altro dettaglio che la mappa non spiega.
Figura 3
Cosa sono dunque queste terre colorate in verde, per gli autori della mendace cronistoria per mappe? Qual è il comun denominatore che, nella loro testa, le rende un concetto omogeneo da contrapporre alle “terre ebraiche” o israeliane? Temo che la risposta si possa trovare in una delle tante versioni della cronistoria (Fig. 3), quella in cui gli autori si sono lasciati sfuggire il vero sotto-testo. Qui, nella prima mappa, la locuzione vaga e fuorviante “terra palestinese” viene sostituita senza eufemismi dalla dicitura: “terra della umma islamica”. Ora è chiaro. Scordiamoci pure lo scontro fra due diritti all’autodeterminazione; scordiamoci il contenzioso territoriale fra due popoli e due stati. Il nodo è un altro: è il “diritto” eterno della “comunità dei fedeli” al controllo totale su tutta la terra; è l’imperdonabile affronto inferto da una minoranza di non-musulmani – gli ebrei – che ha osato rendersi indipendente su un pezzo di terra che “spetta” alla comunità dei fedeli. Questa, temo, è l’unica mappa “onesta” della serie: quella che spiega come mai le prospettive di pace e coesistenza restano remote, a dispetto delle buone intenzioni di tanti, seppure spesso in buona fede.