Che cosa vuol dire Hamas al governo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
quasi tutti i giornali hanno trattato senza troppa attenzione gli sviluppi politici recenti che riguardano l'Autorità Palestinese. E' stata dedicata loro molto meno attenzione dell' “incontro di preghiera” organizzato dal Vaticano, e possiamo essere sicuri che continuerà ad essere così, come se l'accordo di Fatah ed Hamas fosse analogo all'ingresso di un partito qualunque nella coalizione di governo di un paese occidentale: un fatto interno, che ha importanza solo dentro il sistema politico.
Come se in Italia Sel entrasse nel governo Renzi. Naturalmente non è così. Hamas non ha affatto rinunciato al terrorismo - in realtà neanche Fatah, la componente “laica” capeggiata da Abbas, che è egemone a Ramallah e lo è stata finora sul governo dell'ANP.
Milizie di Hamas
La differenza è che Hamas ha usato in questi anni le sue forze, i suoi soldi, i suoi materiali, il territorio che controlla per esercitare e organizzare il terrorismo, cercare di rapire degli israeliani, sparare razzi su città e villaggi, organizzare sparatorie contro l'esercito Israeliano. E ha proclamato che intende procedere in questa maniera. Mentre Fatah ha mantenuto un doppio binario, lasciando i propri militanti liberi di organizzare il “piccolo” terrorismo dei coltelli, dei sassi, delle provocazioni e delle moltov, occasionalmente anche degli spari; ma non ha impiegato i razzi che pure ha esibito, non ha impegnato le forze militari addestrate dagli Stati Uniti che si presentano come “forze di sicurezza dell'ANP”, non ha cercato attivamente di impegnare in combattimento l'esercito israeliano o di rapire dei cittadini di Israele.
Milizie di Fatah.. dov'è la differenza?
Non che questa tattica derivi da bontà d'animo, pacifismo o rifiuto di principio della violenza; anzi, non mancano le dichiarazioni in cui si dice che “tutte le forme di lotta” sono possibili. Solo che Fatah ha preso atto della sconfitta del terrorismo sul terreno di dieci anni fa (come prima aveva preso atto del fallimento di quello internazionale degli anni Ottanta, e ha optato per la “lotta” sul piano giuridico e diplomatico, giudicata più conveniente, più capace cioè di danneggiare Israele.
Ora i due movimenti si incontrano di nuovo, dopo essersi scontrati violentemente per sette anni a causa di questioni di potere interne, e Hamas dichiara che non modifica la sua linea. Non si sa se il patto terrà, altri del genere ne sono falliti in passato, ma certo l'organizzazione islamista mantiene tutte le sue basi di potere e la sua linea politico-militare. E se le elezioni si faranno dentro l'anno, come è stato promesso, è facile che Hamas prevalga di nuovo come otto anni fa, e anche che la sua apertura al terrorismo si estenda a Fatah, che per esempio ha in questo momento in Barghouti, pluriomicida comandante terrorista, il candidato più probabile alla successione di Abbas, vecchio e stanco.
Il modello che si profila è a scatole cinesi: fuori in bella mostra c'è un governo definito “tecnico”, nel senso che i leader politici e militari dei due movimenti non vi compaiono, ma che conta molto poco, è sostanzialmente uno strumento organizzativo; in uno strato all'interno c'è l'ANP, che è quella che ha firmato gli accordi con Israele e tiene in mano trattative e legittimità internazionale; ancora più dentro c'è l'OLP che non si dice legata agli accordi dell'ANP ed è l'organo politico vero del movimento palestinista, presieduto da Abbas; dentro l'OLP vi sono Abbas e Fatah, che entrambi hanno dichiarato di non sentirsi legati neppure agli accordi di Oslo.
Unità ?
Insomma, un governo più “presentabile” che si poteva e privo di potere, i cui burattinai ultimi sono movimenti entrambi guerriglieri in linea di principio, ma uno attualmente anche in pratica, che si odiavano e si sono messi d'accordo per andare avanti di nuovo assieme “per rafforzare la lotta contro Israele”, come hanno dichiarato.
Israele ha reagito all'accordo rompendo ogni contatto con l'ANP, attuando delle sanzioni economiche e giuridiche tutto sommato minori, annunciando un passo avanti per la costruzione di case in alcuni insediamenti e sobborghi di Gerusalemme che secondo gli schemi geografici presenti nei vari piani dovrebbero comunque restare in mano di Israele, anche se si facesse un accordo come vogliono gli Stati Uniti.
Naturalmente tutta la “comunità internazionale” se l'è presa con queste costruzioni e ha ignorato le ragioni del disagio israeliano. L'aspetto notevole è anzi che l'accordo fra Fatah e Hamas è stato salutato dall'Unione Europea, dall'Onu e anche dagli Stati Uniti come un “progresso importante per la pace”, anche se si tratta una legittimazione del terrorismo organizzato contro Israele, col rischio di una sua estensione nei territori amministrati dall'ANP.
Così stanno le cose e così le ha dichiarate con forza Israele.
Che i politici occidentali e anche gli Stati Uniti vedano come un progresso verso la pace quella che Israele coglie come una minaccia terrorista è molto significativo.
Milizie Hezbollah
E' l'estensione del “modello libanese” dove Hezbollah è membro di un governo riconosciuto dal mondo come legale e allo stesso tempo titolare di un esercito privato (fra l'altro molto potente, più di quello italiano) che conduce la sua guerra privata in Siria e minaccia di farla contro Israele. Una estensione ulteriore della teoria dell'”ala militare” e dell'”ala politica” di questi movimenti; forse vi ricorderete che l'Unione Europea, dopo numerose pressioni e l'accertamento che Hezbollah aveva compiuto atti di terrorismo gravi anche sul territorio europeo, aveva sì inserito l'organizzazione nella lista dei terroristi, ma solo la sua “ala militare” non quella “politica”, come se ci fosse una barriera politica e organizzativa fra le due.
Questa è la situazione: nonostante tutti gli avvertimenti, Unione Europea e Stati Uniti sono disposti a finanziare e a lavorare con un governo che è controllato da un movimento terrorista attivo e certamente a volere che questo movimento partecipi alle elezioni, se queste ci saranno, probabilmente le vinca come nel 2008 e erediti gli accordi dell'Autorità Palestinese e il suo insediamento diplomatico, mentre conduce una guerra terrorista contro Israele.
E' una posizione folle, che fa il paio con l'appoggio costante dell'amministrazione Obama alla Fratellanza Musulmana in Egitto, in Tunisia, in Libia, in tutto il mondo arabo.
I nemici di Israele dicono che il governo Netanyahu ora è isolato.
In realtà l'isolamento è relativo, perché su temi sostanziali di tipo economico e militare Israele è meglio connesso di sempre; ma certamente ci troviamo di fronte al paradosso ormai esplicito di un'alleanza fra Unione Europea e amministrazione Obama con i terroristi.
Questo è il quadro. Speriamo che all'interno del mondo occidentale prevalga la reazione che già si profila contro l'appeasement obamiano e della burocrazia di Bruxelles. Non per una speciale attenzione dell'opinione pubblica europea per Israele (l'antisemitismo che motiva l'ostilità europea è diffuso e vincente), ma perché queste scelte fanno parte di una politica di resa che danneggia gravemente quel che resta dell'Occidente e minaccia la sua stessa esistenza. Vedremo se alla civiltà europea e americana resta l'energia necessaria per trovare una strada di uscita dalla sconfitta storica cui la condanna la politica di abbraccio ai suoi nemici di questi ultimi anni.
Per ora, più che mai, Israele ha chiaro che il suo destino è nelle sue mani e che non può dipendere dall'appoggio, nei fatti inesistente, di America ed Europa.
Ugo Volli