sabato 21 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
06.06.2014 Lo svolta di Obama: trattare per la liberazione degli ostaggi
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 06 giugno 2014
Pagina: 17
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Archiviata la dottrina della fermezza: Obama si espone ai ricatti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/06/2014, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Archiviata la dottrina della fermezza: Obama si espone ai ricatti"

     
Maurizio Molinari     Barack Obama


Bowe Bergdahl

La liberazione del sergente Bowe Bergdahl in cambio di cinque comandanti taleban è una scelta strategica con cui il presidente Barack Obama ha compiuto un gesto di rottura rispetto ai predecessori innescando un domino di eventi dalle conseguenze imprevedibili: il Congresso è inquieto, a Washington emergono lacerazioni nell'amministrazione, i media processano la Casa Bianca e l'America si mostra ricattabile da parte dei suoi nemici. II gesto di rottura rispetto ai predecessori impegnati a combattere contro il terrorismo non è nell'aver negoziato con i jihadisti, quanto nell'aver liberato dei personaggi considerati «pericolosi per la sicurezza nazionale». Ronald Reagan trattò con Teheran per liberare negli Anni Ottanta gli ostaggi in mano agli Hezbollah libanesi così come Bill Clinton e George W. Bush negoziarono in segreto con i sequestratori mediorientali e ceceni di reporter americani - i cui quotidiani non hanno mai svelato tali episodi - ma nessuno si era finora spinto fino a favorire gli avversari con concessioni concrete, capaci di rafforzarli sul territorio. Basti ricordare le vivaci proteste con cui il portavoce del Dipartimento di Stato Kurt Volker nel 2007 smentì l'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema che aveva attribuito al Segretario di Stato Condoleezza Rice l'avallo al negoziato italiano con i taleban per la liberazione del reporter italiano Daniele Mastrogiacomo. Barack Obama ha cambiato rotta rispetto a tale approccio autorizzando il rilascio dal carcere militare di Guantanamo di cinque nomi di spicco del regime dei taleban già alleati di Al Qaeda - Abdul Haq Wasiq, Mullah Norullah Noori, Mullah Mohammad Fazi, Mullah Khairellah Khairkhwa e Mohammad Nabi Omari - affidandoli per 12 mesi alla custodia del Qatar, ovvero l'unico Stato arabo sostenitore dei Fratelli Musulmani, considerati un'organizzazione terroristica dalla maggioranza dei Paesi arabi. La decisione della Casa Bianca espone nell'immediato l'America a possibili analoghe richieste da parte dei sequestratori di altri sei connazionali detenuti in più continenti, senza escludere l'ipotesi di nuovi rapimenti jihadisti per continuare a liberare altri leader taleban da Guantanamo oppure da parte di altre organizzazioni criminali - come i narcos messicani - per ottenere i propri boss detenuti negli Usa. Nulla da sorprendersi se deputati e senatori della commissione Intelligence del Congresso, repubblicani ma anche democratici, sollevano obiezioni alla «necessità del rilascio avvenuto» tanto più che alcuni ex commilitoni del sergente Berghdahl avvalorano il sospetto che avesse disertato prima di cadere prigioniero. E' una cornice che spiega perché, dentro e fuori Washington, rimbalzino voci velenose sul recente viaggio-lampo di Obama a Kabul, durante il quale venne rivelata per una «svista» della Casa Bianca l'identità del capo stazione locale della Cia che si sarebbe opposto con vigore alla liberazione dei comandanti taleban. II siluramento de facto dello 007 ribelle è avvenuto 48 ore prima del rilascio di Berghdahl. Da qui i paragoni, che si rincorrono sui media, fra la liberazione del sergente e l'assassinio a Bengasi dell'ambasciatore Chris Stevens l'11 settembre 2012: se allora fu Susan Rice, nelle vesti di ambasciatrice Onu, a sostenere in pubblico la tesi dell'assalto della «folla spontanea» per celare la scelta della Casa Bianca di non intervenire contro il blitz di Al Qaeda, ora è il Presidente ad avvalorare una ricostruzione del rilascio del soldato dell'Idaho bersagliata da molteplici dubbi e smentite. C'è la dottrina Obama del dialogo con i nemici alla base della liberazione di Berghdahl ma l'ipotesi che il Presidente abbia danneggiato la sicurezza nazionale indebolisce, davanti ai cittadini come agli avversari, la credibilità di un'amministrazione che ha ancora davanti 30 mesi di vita. 

Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT