Il cuore, se potesse pensare Sultana Razon
Rizzoli euro 17,50
Si legge con rispetto, commozione e infinita ammirazione il memoir che Sultana Razon, moglie dell’illustre oncologo Umberto Veronesi, nata in una famiglia ebrea sefardita di origini turche, medico pediatra per oltre quarant’anni, ci dona in pagine di struggente intensità e bellezza.
E’ ai figli e ai nipoti che Sultana, soprannominata Susy, dedica il suo libro autobiografico “prima che l’oblio e la morte ricoprano di un velo polveroso gli avvenimenti, i pensieri e le esperienze di una vita”.
Perché Sultana ha avuto una vita dura, faticosa, allietata dalla nascita di sei bambini, una vita nella quale l’impegno dell’educazione dei figli si aggiunge al lavoro di medico pediatra, ricco di soddisfazioni per il costante impegno profuso, ma anche di momenti di sconforto per le invidie e le gelosie dei colleghi; una professione, quella cui Sultana Razon si è dedicata con passione e spirito di sacrificio, che negli anni Sessanta-Settanta non godeva né delle agevolazioni per madri con figli né di tecnologie avanzate in grado di far fronte a molte malattie infantili.
In tutto ciò si inserisce il ruolo, tutt’altro che facile, di moglie di uno scienziato la cui fama si andava estendendo in ogni angolo del mondo e che richiedeva una donna forte e capace di occuparsi delle mille incombenze familiari durante le lunghe assenze del marito ai congressi, ai convegni internazionali o per l’esercizio della professione in ospedale.
Ma quello di Sultana non è solo il racconto di una vita intensa costellata da dolori, successi, lutti, sofferenze, malattie, illusioni e cocenti umiliazioni. In queste pagine scorrono i ricordi dolorosi, che non ha mai voluto condividere con i figli per non turbarli, della sua esperienza nel campo di sterminio di Bergen-Belsen dove ancora bambina era stata internata con i suoi familiari. Una testimonianza preziosa, un tassello di storia che si inserisce fra i numerosi racconti sulla Shoah eppure importante perché”ogni singola esistenza presenta qualcosa di particolare, qualcosa di unico”.
La dura lotta per la sopravvivenza comincia per Sultana già da Taglio di Po, un piccolo paese della provincia di Rovigo dove insieme ai genitori, agli zii e ai cuginetti viene inviata al confino. Dopo l’armistizio del 1943 la situazione si aggrava per gli ebrei al punto che nel mese di novembre gli adulti vengono arrestati e i bambini lasciati al loro destino. L’offerta da parte di una contadina di un tetto dove ospitarli “…posso dare un riparo a questi bambini, ma non posso dar loro da mangiare” induce Sultana a soli 11 anni a non darsi per vinta cercando, spesso elemosinando, del cibo per sé, la sorellina di otto anni e i cugini.
Fin dai primi giorni Sultana, nonostante la solitudine, la fame e il freddo dimostra una tempra fuori dal comune: accetta volentieri l’offerta di una suora cui aveva chiesto l’elemosina di un piatto caldo di ministra per tutti ma si dimostra irremovibile nel rifiutare la conversione che le offre un sacerdote in cambio della salvezza dai nazisti.
Per Sultana la religione dei padri non poteva essere messa in discussione.
Una forza di volontà e di carattere che le saranno immensamente utili una volta arrivata a Bergen Belsen. Nel febbraio 1944 infatti i genitori e gli zii vengono liberati e condotti insieme ai bambini a Fossoli, vicino a Carpi in Emilia, il medesimo campo dove è stato rinchiuso Primo Levi prima di essere deportato ad Auschwitz.
“In un’alba livida con una leggera nebbiolina” vengono fatti salire su treni merci e per la prima volta Sultana prova paura osservando gli sguardi cattivi dei nazisti, le loro urla gutturali, rabbiose con a fianco cani lupo ringhiosi.
La descrizione del viaggio verso i campi della morte non si discosta dalle tante terribili testimonianze di coloro che sono tornati da quell’inferno. Ciò che colpisce nel racconto è il rifiuto dell’autrice, dopo oltre sessant’anni dalla fine della guerra, di recarsi in Germania e ascoltare la lingua tedesca perché Sultana, come molti altri sopravvissuti, è convinta che tutto il popolo germanico sia stato responsabile dell’aberrazione di Hitler. “L’odio viscerale e la soddisfazione nel maltrattarci e nel percuoterci senza alcuna ragione non potevano derivare da ordini ricevuti, ma da sentimenti spontanei, conculcati da anni di propaganda esecrabile”.
E’ solo per la lungimiranza del padre che porta con sé i passaporti turchi, benché scaduti, (nel 1944 la Turchia è un paese neutrale e ha rapporti di collaborazione con la Germania) che viene loro consentito di rimanere assieme (i bambini venivano immediatamente mandati alle camere a gas) e inviati in un campo recintato dove sono rinchiusi prigionieri provenienti da paesi neutrali: Svizzera, Turchia, Spagna.
L’orrore si spalanca dinanzi agli occhi di Sultana che scrive “…per me la parola libertà non aveva più senso. Credevo che il nostro essere ebrei significasse essere malmenati, insultati, affamati, oppressi e uccisi da popoli sanguinari e superiori”.
Nel maggio del 1945, quando il fisico di Sultana è ormai irrimediabilmente minato dalla tubercolosi polmonare, vengono prelevati dal campo e dopo un viaggio estenuante durato molte ore giungono a Goteborg in Svezia, destinazione Istanbul. La loro prodigiosa salvezza è il risultato di uno scambio di prigionieri con i residenti tedeschi in Turchia a seguito dell’entrata in guerra di questo paese con la Germania.
Dopo molte peripezie, in una tranquilla mattina del gennaio 1946, Sultana e la sua famiglia possono tornare in Italia.
Le pagine che seguono raccontano il coraggioso ritorno alla vita della famiglia Razon , la forza e il coraggio profusi nel ricostruire un’esistenza che l’ideologia nazista aveva cercato di annientare.
Sono pagine di indimenticabile bellezza quelle che ci regala l’autrice che nel suo racconto non dimentica mai di ringraziare chi ha offerto loro ospitalità o un aiuto nel primi difficili anni del dopoguerra e nelle quali spicca come un faro nella luce la tenacia e il coraggio di una ragazzina che a soli tredici anni riprende in mano le redini della sua vita per iniziare un percorso di crescita e maturità che la porterà ad affrontare, senza mai piangersi addosso, ostacoli, malattie, difficoltà economiche, lutti dolorosi come la morte per un tumore della mamma, pregiudizi nei confronti delle donne che svolgono la professione di medico, ma anche gioie e successi professionali.
Non è consentito riassumere in poche righe il racconto della vita di Sultana Razon che a volte pare proprio un romanzo tale è l’intensità e la forza della narrazione.
Lascio quindi ai lettori il piacere di apprezzare ogni singola pagina e scoprire in esse l’affetto di una mamma per ciascuno dei suoi figli, l’ammirazione di una moglie per un marito famoso, la caparbia di un medico nel conseguire obiettivi professionali sfidanti, il turbamento di una donna dinanzi alla scoperta di avere un tumore e molto altro.
Sultana Razon è una donna forte e coraggiosa che all’età di ottant’anni non esita a esprimere il proprio parere su questioni etiche, morali, politiche e sociali.
In un’epoca in cui i rapporti umani si sono deteriorati e sviliti, quello di Sultana Razon è un esempio morale per molte donne, giovani e meno giovani, che hanno molto da imparare dal modo in cui questa donna ebrea ha affrontano la vita a testa alta senza mai piegarsi a compromessi o accettare raccomandazioni.
Nonostante il marito Umberto sia di religione cattolica lei non ha mai abbandonato la religione ebraica e ancora oggi si reca nel tempio di Milano sebbene sia contraria a qualsiasi tipo di fanatismo religioso.
Non nasconde la sua preoccupazione per il terrorismo che colpisce in ogni parte del mondo e il timore che l’Iran possa costruire la bomba necessaria per distruggere lo Stato d’Israele. “..quando gruppi di fanatici ti vogliono annientare perché non la pensi come loro, o perché non accettano i progressi della civiltà tecnologica, allora ti devi difendere con tutte le tue forze,….per salvare la nostra civiltà frutto di centinaia di anni di conquiste progressiste nell’etica, per salvare tutti dall’oscurantismo e da una visione arretrata dei diritti degli uomini, delle donne e dei bambini”.
Sultana Razon Veronesi ha scritto un libro che si conficca nel cuore con dolcezza e passione, che lascia una scia luminosa dietro di sè: un libro che non si dimentica.
Giorgia Greco