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La Stampa Rassegna Stampa
28.05.2014 Tony Blair sull'islamismo: analisi sbagliata e soluzione ineficcace
quando la politica non affronta davvero i problemi

Testata: La Stampa
Data: 28 maggio 2014
Pagina: 1
Autore: Tony Blair
Titolo: «Lo spettro dell'islamismo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/05/2014, a pagg. 1-29, l'articolo di Tony Blair dal titolo "Lo spettro dell'islamismo".
La riflessione dell'ex premier britannico, e inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente, sui crimini di Boko Haram in Nigeria e sul pericolo islamista è però poco convincente sia nell'analisi del problema, sia nelle soluzioni proposte.
La tesi che il fondamentalismo islamico non abbia nulla a che vedere con l'islam è smentita dalla storia. "Islam" significa sottomissione, e fin dalle campagne militari di Maometto si è affermato con la forza, imponendo sui popoli conquistati il proprio dominio politico. Nella storia dell'islam non esiste dunque separazione tra religione e Stato.
E' proprio  questa debolezza dell'analisi di Blair a determinare la vaghezza e l'inconsistenza della soluzione che propone. L'educazione per sottrarre agli islamisti i loro adepti potrà forse migliorare le cose nel lungo periodo, ma intanto l'Occidente si trova ancor oggi a doversi confrontare con una minaccia, quella islamica, che dura da più di 1400 anni.
Non possiamo permetterci di aspettarne altrettanti prima che le soluzioni a lungo termine di Tony Blair incomincino a sortire il loro effetto.

Ecco l'articolo: 


Tony Blair


Le studentesse rapite da Boko Haram in Nigeria

Il rapimento di oltre 240 ragazze nigeriane ha scioccato il mondo. Ma, purtroppo, il loro non è un caso isolato in Nigeria. Inoltre, la sofferenza della Nigeria è condivisa da molti altri Paesi africani e le motivazioni del rapimento nascono da un’ideologia globale.
Un’ideologia fondata su una visione distorta e falsa della religione.
Che viene insegnata in contesti scolastici formali e informali in tutto il mondo. Certo, le parole orribili e folli del leader di Boko Haram, il gruppo che ha rapito le ragazze, rappresentano solo la frangia più estrema di questa ideologia. Ma, fino a quando non puliremo il terreno in cui questa pianta velenosa mette radici, essa continuerà a minare le possibilità di milioni di giovani di tutto il mondo e a mettere a repentaglio la nostra stessa sicurezza.
Questo problema ormai è diffuso in tutta l’Africa sub-sahariana. Il Mali, il Ciad, il Niger, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, il Kenya e anche l’Etiopia hanno tutti subito o devono affrontare acute paure per la diffusione dell’estremismo. Molti altri Paesi hanno identificato l’estremismo come la loro sfida più importante.
I governi spesso affrontano la sfida con coraggio e determinazione e l’impiego di forze africane in molti Paesi per cercare di mantenere la pace è un omaggio a quella decisione. Ma il fatto è che il problema continua a crescere. Non è un caso. Quando diventai primo ministro del Regno Unito nel 1997, la Nigeria era citata come esempio di cooperazione proficua tra cristiani e musulmani. L’ideologia distruttiva rappresentata da Boko Haram non fa parte della tradizione del Paese; è stata importata.
Insieme alla popolazione cresce il problema. La Nigeria oggi conta circa 168 milioni di abitanti che, secondo stime raggiungeranno i 300 milioni entro il 2030, divisi quasi alla pari tra cristiani e musulmani. Senza un clima di convivenza pacifica le conseguenze per il Paese - e il mondo - saranno enormi.
La povertà e il sottosviluppo giocano un ruolo fondamentale nel creare le circostanze in cui cova l’estremismo. Ma la povertà da sola non spiega il problema. E un fattore importante che frena lo sviluppo è il terrorismo. Oggi come oggi chi investirebbe nel Nord della Nigeria? In un clima del genere come possono crescere le economie locali? La sfida non è circoscritta all’Africa. Il Medio Oriente, come sappiamo, è immerso in un processo di rivoluzioni e moti che è stato immensamente complicata dall’islamismo e dalle sue propaggini più estremiste. In Pakistan oltre 50 mila persone hanno perso la vita negli attacchi terroristici dell’ultimo decennio. La violenza legata alla stessa ideologia ha preso vite innocenti e distrutto comunità in India, Russia, Asia Centrale ed Estremo Oriente.
In cosa consiste quell’ideologia? Ecco il nocciolo della questione. Dal momento che il travisamento accompagna ogni discorso su questa questione, vorrei porre alcune premesse. Questa ideologia non rappresenta l’Islam. La maggioranza dei musulmani non la condivide. La trovano ripugnante. Questo dovrebbe darci speranza per il futuro.
Ma questa ideologia è uno strappo all’interno dell’Islam che rappresenta una minoranza organizzata, consistente, potente e finanziata. Quello che si potrebbe genericamente definire islamismo si basa su una politicizzazione della religione che è fondamentalmente incompatibile con il mondo moderno perché presuppone che vi sia una sola vera religione e una sola interpretazione di quella religione che dovrebbe prevalere e dominare la politica, le istituzioni governative e la vita sociale di tutti i Paesi. Chi non condivide questo punto di vista dev’essere eliminato.
Questa ideologia islamista è uno spettro. A un estremo ci sono gruppi come Boko Haram. Altri gruppi non invocano la violenza (anche se a volte lo fanno), ma predicano comunque una visione del mondo pericolosa e ostile per chi dissente. Per capire cosa intendo basta leggere la dichiarazione dei Fratelli Musulmani del 2013 che denuncia la dichiarazione delle Nazioni Unite in favore delle donne perché, tra le altre cose, difende il diritto delle donne di viaggiare o lavorare senza il permesso del marito. E con l’ideologia, non solo con gli atti di estremismo, che dobbiamo fare i conti.
La mia fondazione, che fornisce supporto pratico per aiutare a prevenire i pregiudizi religiosi, i conflitti e l’estremismo, è attiva in Nigeria da diversi anni e riunisce religiosi cristiani e musulmani per favorire la comprensione reciproca. In oltre 20 Paesi, in tutto il mondo, abbiamo programmi scolastici che mettono in contatto bambini di diverse fedi per favorire la reciproca conoscenza. Anche nelle situazioni più difficili i risultati sono chiari e potenti.
In Sierra Leone dove partecipiamo alla campagna contro la malaria, ci mobilitiamo nelle chiese e nelle moschee per lavorare nelle loro comunità locali e aiutare le famiglie a utilizzare le zanzariere sul letto in modo efficace, così da proteggersi contro una malattia che ogni anno in Africa uccide ancora 750 mila donne incinte e bambini. Abbiamo raggiunto due milioni di persone in un atto di compassione e cura, con risultati che sono tanto notevoli quanto la cooperazione interreligiosa che li rende possibili. Quindi, la battaglia non è persa. Ma dev’essere vista per quello che è. Ogni anno l’Occidente spende miliardi di dollari in rapporti sulla difesa e per la lotta al terrorismo. Eppure ciò per cui stiamo davvero combattendo è la licenza a crescere nei sistemi educativi di molti Paesi con i quali siamo in relazione – compreso il nostro.
L’educazione oggi è un tema che concerne la sicurezza. Il G20 dovrebbe concordare sul fatto che un’educazione aperta, che promuova la tolleranza religiosa, dovrebbe essere responsabilità di tutti i Paesi. Dobbiamo concentrarci sui nostri sistemi scolastici - e poi anche su quelli degli altri.
Le ragazze rapite in Nigeria non sono vittime solo di un atto di violenza, ma di un modo di pensare. Se siamo in grado di sconfiggere quell’ideologia, inizieremo a progredire verso un mondo più sicuro.

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