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La Stampa Rassegna Stampa
27.05.2014 Reportage da Teheran, dimenticando il ruolo dell'Iran in Medio Oriente
che è quello del grande destabilizzatore

Testata: La Stampa
Data: 27 maggio 2014
Pagina: 27
Autore: Claudio Gallo
Titolo: «Palazzoni e grattacieli di lusso. Il nuovo Iran racchiuso in una strada»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/05/2014, a pag. 27, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo  "Palazzoni e grattacieli di lusso. Il nuovo Iran racchiuso in una strada".
Si tratta di un interessante reportage da Teheran, che però non accenna al ruolo dell'Iran nella politica internazionale: quello del grande destabilizzatore dell'area mediorentale.  L'Iran continua a sostenere il terrorismo, a intervenire nella guerra civile siriana, a perseguire la distruzione di Israele. 
A causa dell'omissione di questi fatti, l'articolo perde in parte interesse. Inoltre, fornisce un'immagine poco realistica del presidente Rohani, presentato come un riformatore ostacolato da altri poteri dello Stato. Senza chiedersi se Rohani non voglia in realtà cambiare soltanto l'immagine del regime, lasciandone inalterata la natura oppressiva. 


C.Gallo       Teheran


Missili balistici iraniani

Ecco l'articolo:


Percorrere i diciannove chilometri di Vali Asr, il viale che solca Teheran in verticale, è come camminare dentro una metafora della società iraniana: dalla stazione ferroviaria di piazza Rahahan al Sud, dove le case sono anguste e malandate, a piazza Tajrish, attraverso i grattacieli di vetro e i negozi scintillanti. Dal sud plebeo aggrappato alle politiche assistenzialistiche nate dalla Rivoluzione islamica del 1979, al nord opulento che sogna improbabili svolte liberali in un paese dove il 70 per cento delle imprese sono statali. Ricchi e poveri insieme nella stessa barca squassata della crisi e dalle sanzioni che strozzano il paese, ma in cabine di classe diversa ovviamente. Senza contare i trafficoni che con l'embargo hanno fatto fortuna e adesso girano in Porsche. Le botteghe gastronomiche ai lati della piazza, di fronte alla stazione dei treni, sembrano le stanze di una stessa casa. Gli odori si mescolano inaspettatamente: meglio un centrifugato di carota o una testa di Pecora cotta nelle entraglie assieme alle gambe? Qui votavano in massa per Ahmadinejad, anche se adesso non sono più così convinti, anche perché dal 2009 quando l'impresentabile capo dello stato fu rieletto per la seconda volta, la benzina costava circa 4 centesimi e mezzo di euro il litro e adesso è arrivata a 25. Spinta dalle sanzioni che hanno paralizzato il commercio estero, dal petrolio, alle banche, alle assicurazioni navali, e dagli effetti della politica economica suicida di Ahmadinejad, l'inflazione ufficiale (pur in discesa) è al 32,5 per cento.
II nuovo presidente Hassan Rohani è stato chiamato dalla guida suprema Ali Khamenei a rimettere insieme i cocci del paese: una sfida tremenda sui cui esisti pesa la trattativa nucleare, legata com'è al destino delle sanzioni. In  questa emergenza, la democrazia è l'ultima delle sue preoccupazioni, anche se qualche tentativo lo ha fatto, come quando ha detto che Internet non dovrebbe essere censurato, ma la verità è che non decide lui. Alcuni poteri statali, ad esempio quello giudiziario, sembrano avere come unico obiettivo quello di limitare l'azione del governo. I primi risultati della sua cura cominciano a vedersi nei numeri. Quest'anno il Pil dovrebbe salire del 1,5 per cento, dopo essere precipitato del - 5,6 per cento nel 2012 e del -1,7 lo scorso anno. Progressi che si colgono nelle statistiche ma non arrivano al cuore della gente. «Per me non è cambiato niente», dice Karim sogghignando amaramente sotto i baffoni bianchi. Regge una busta di plastica con del pane e un succo di frutta. Contadino turcomanno, 60 anni, arriva dal Golestan, a Nord. A Teheran è solo di passaggio. «Basta con queste maledette sanzioni, lasciateci respirare», urla mentre si getta sulle strisce pedonali che sciami di auto puzzolenti ostentatamente ignorano, ogni volta un'ordalia. Davanti a un negozio, tre uomini conversano e fumano seduti davanti a una drogheria. Jalal, 57 anni, carnagione scura baffi neri, parla per gli altri: «Ahmadinejad, Rouhani, tutti uguali. Sono impreparati e noi affondiamo. Le sanzioni? Certo se le togliessero...Ma non lo faranno e sarà peggio di prima», dice espirando fumo e pessimismo. Zahra, 34 anni, esce truccatissima dal centro commerciale Vali-ye Asr con un soprabito grigio attillato: «Non vedo nessuna differenza. Tutto aumenta: la luce più 25 per cento, l'acqua più 30 e adesso hanno pure raddoppiato il prezzo dell'autobus. Non credo in un accordo con Obama, le pretese americane non hanno mai fine, vogliono solo umiliarci». «Il nostro problema sono i preti - s'intromette parlando in inglese Saina, 28 anni, capelli bruni che scappano da sotto il velo -. Finché governano loro siamo fottuti». E ride con l'aria di chi l'ha detta grossa. Poco prima della lunga muraglia del palazzo dei re Qajar, dove c'è il trono di marmo, due ragazzini si arrampicano su un gelso a mangiare le bacche nere. Avanti c'è il grande teatro cittadino e sulla piazza la fermata in vetro e acciaio della linea 4 del metrò. Siamo più o meno a metà Vali Asr, il confine immaginario tra la città ricca e quella povera. Sotto il sindaco Ghalibaf la metropoli di 8 milioni di abitanti (quasi 14 con la cintura) è migliorata. Le linee della metropolitana, realizzata dai cinesi, sono passate da due a quattro, finalmente funziona la grande tangenziale, sono stati costruiti ponti, sotto-passi e nuove fermate degli autobus. Solo lo spaventoso inquinamento sembra una piaga invincibile. Due ragazzi escono dalle scale mobili: Nima, 22, anni e Pouya, 23. «Il clima qui è migliorato - spiega Nima - la polizia della moralità non rompe più le scatole, i turisti sono tornati. Ma noi siamo di Isfahan, a casa nostra tutto è rimasto fermo». Falchi, conservatori e Pasdaran guardano gli sforzi di Rohani gufando in silenzio (anche se qualche obliquo attacco non manca), pronti a rialzare la voce in caso di fallimento. Salendo a Nord i negozi diventano più lussuosi, le case più grandi e moderne, i prezzi raddoppiano, triplicano. Mohammed, 50 anni, è vestito da businessman. Sta attraversando piazza Vanak, all'altezza del tribunale dove si divorzia. Dice: «Rohani non può fare miracoli, ha ereditato una situazione disastrosa. Si dice che Ahmadinejad abbia bruciato 100 miliardi di dollari di riserve in valuta. Certo, se togliessero le sanzioni tutto ripartirebbe, ma non so. Ho poca fiducia nella buona fede degli americani». Marjane, 44 anni, bella, elegante, ray-ban neri, sta salendo su un'enorme fuoristrada Toyota bianco con l'incuranza di chi non teme il domani. Neppure lei è contenta: «Non cambia niente - dice - Rohani non può fare granché. Gli americani? Ah, quelli non vogliono nessun accordo, fanno solo ciò che dice Israele». Una volta chiamavano Teheran la città dei platani: la parte settentrionale di Vali Asr è racchiusa in due file di platani che si piegano verso il centro, coprendo a tratti il cielo con un tetto di fronde verdi. Più in su del grande parco Mellat, Piazza Tajrish è appoggiata ai monti Alborz che salgono diritti a dividere Teheran dal mar Caspio: Vali Asr, già Pahlavi Street, finisce qui. «Teheran Times» scrive che i turisti europei sono aumentati del 450 per cento. I grandi alberghi sono pieni di uomini d'affari stranieri, che aspettano nervosi ai blocchi di partenza il riavvio dell'economia di un paese di oltre 83 milioni di abitanti. Il futuro dell'Iran passa per la trattativa sul nucleare a Vienna. Tutti diffidano di tutti ma alle fine le alternative sono più insidiose e irragionevoli di qualunque accordo. La gente di Teheran però viene da lontano e sa benissimo che la ragionevolezza raramente riesce a vincere.

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