Gentile Redazione, in relazione al commento del Direttore dell'Espresso al quale il Signor Prosperi aveva giustamente manifestato le sue critiche, allego copia di una mia email inviata a Manfelloto.
Cordiali saluti
Daniele Coppin
Egregio Direttore Manfellotto, Le scrivo in merito al suo commento ai Rai Storia del 14 maggio scorso sulla nascita di Israele. In particolare, duole constatare che anche chi, come Lei, dovrebbe contribuire ad una corretta informazione, sia per motivi deontologici che per la delicatezza di certi argomenti che si possono definire "sensibili", cada nell'ovvietà di certi luoghi comuni. Infatti, quando Lei afferma che l'ONU avrebbe deciso la fondazione di Israele per affrontare il problema degli scampati alla Shoà , afferma un falso storico, visto che già nella Conferenza di Sanremo del 1920, nel corso della quale fu stabilito anche il destino delle ex province dell'Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale, fu deciso che la Palestina (che allora comprendeva anche la Giordania, quindi un territorio pari ad un terzo dell'Italia con una popolazione di un milione di persone) sarebbe stata destinata a Stato del popolo ebraico. Poi, nel 1922-23, l'Inghilterra riuscì a far escludere dalla Lega delle Nazioni (la futura ONU) il territorio ad est del Giordano (oggi noto come Giordania) da quello destinato due anni prima agli Ebrei ai quali, quindi sarebbe stato andato solo il 23 % della Palestina del Mandato britannico. Nel 1937 la Commissione Peel proponeva un ulteriore spartizione di quel 23 % molto penalizzante per gli Ebrei e, nel 1939, la Commissione Woodhead proponeva addirittura tre diverse ipotesi di spartizione tutte molto penalizzanti per gli Ebrei. Come vede stiamo parlando di trattati e documenti ufficiali che già ben prima della Shoah sancivano, pur se spesso in modo molto sfavorevole agli Ebrei, la creazione di uno Stato del popolo ebraico. Quindi non sarebbe il caso di far credere che Israele sia nato "grazie" alla Shoah ma "nonostante" la Shoah . Un altro "errore" nella sua ricostruzione è quello di far credere che sia agli Arabi che agli Ebrei la spartizione non andasse bene. Agli Ebrei la spartizione, nonostante le progressive riduzioni proposte negli anni precedenti, andava benissimo, come ebbero più volte a sottolineare i loro leader considerato che dopo 19 secoli e innumerevoli persecuzioni culminate nella Shoah la creazione di uno Stato del popolo ebraico, indipendentemente dalle sue dimensioni, era di per se stesso un miracolo. E' quantomeno imprecisa la sua affermazione circa l'espulsione degli Arabi da Israele dove, come lei ben sa, il 20 % della popolazione (1,5 milioni) è costituita da Arabi, la cui presenza sarebbe di difficile comprensione se fosse vero quanto da Lei affermato. E' vero, invece, che gli Arabi furono cacciati dai villaggi che dominando la strada che collegava Tel Aviv con Gerusalemme avevano reso possibile l'assedio arabo di Gerusalemme rotto solo grazie alla realizzazione della cosiddetta "pista birmana". Circa il fatto che gli Stati arabi attaccarono Israele (cosa che Lei ha detto), non si può non notare la "solita" omissione sul fatto che l'attacco fosse stato preceduto da proclami sanguinari e che il suo obiettivo finale fosse la distruzione di Israele. Quanto, poi, alla tregua è vero che Israele ne approfittò per armarsi (vista anche la disparità iniziale di mezzi in favore degli Arabi), ma questo, come Ella sa bene, è prassi normale durante qualunque tregua e non è che gli Arabi non ne approfittarono anch'essi per riarmarsi. Inoltre, prima di quella tregua, il territorio in mano israeliana si era ridotto notevolmente rispetto al piano di spartizione della risoluzione 181, consistendo nella sola pianura costiera e in porzioni di territorio della Galilea. Il discorso dei profughi è stato affrontato anche da Lei a senso unico, considerando solo i 700 mila profughi arabi e ignorando il milione di profughi ebrei che tra il 1948 ed il 1967 furono espulsi o costretti a fuggire dagli Stati arabi. Infine, se è vero che da sessantasei anni il conflitto arabo-israeliano non può dirsi concluso, un accenno ai Tre No di Kartoum del 1967 lo avrebbe potuto anche fare. Mi rendo conto che in pochi minuti di commento tanti elementi non possano essere riportati in modo dettagliato, ma duole constatare come l'uso delle parole ed i concetti espressi siano sempre è solo in senso filoarabo e antiisraeliano. Questo non contribuisce far chiarezza su una questione tanto delicata dalla quale, spesso, scaturiscono pregiudizi antiisraeliani e antiebraici.
Distinti saluti
Daniele Coppin
****************************
Ho risposto così al giornalista Bruno Manfellotto:
Egregio dottor Bruno Manfellotto, la ringrazio di avermi mandato il testo del suo intervento a Rai Storis. La sua lettura mi ha permesso di capire meglio le ragioni della mia reazione. La parzialità che avevo riscontrato in effetti non deriva da singole false affermazioni, ma dalla scelta dei fatti da riferire e dei termini usati. E' vero, tre minuti sono pochi per raccontare un periodo così complesso e tragico, tuttavia a me sembra che fosse possibile un maggiore equilibrio. Lei parla di un Israele che, dopo la risoluzione 181 dell'ONU, arma il suo esercito e invade territori cacciandone gli abitanti, ma non ricorda che gli arabi esprimono il loro rifiuto alla risoluzione non limitandosi a organizzare "scioperi e sommosse" (il che sembra alludere a democratiche e sacrosante lotte tipo quelle sindacali), ma organizzandosi in bande, armate in particolare da Irak e Siria, in una situazione di guerriglia che provoca parecchie centinaia di vittime, molte delle quali civili, sia fra i sionisti che fra gli arabi. Nel suo intervento, la guerra dichiarata dai paesi arabi sembra essere una conseguenza non del rifiuto netto e assoluto dell'esistenza dello stato di Israele da parte degli stati arabi (rifiuto spesso reiterato tuttora in modo più o meno sanguinario), ma unicamente dell'aggressività dei sionisti, che sarebbe culminata nel rifiuto di Ben Gurion (stranamente da lei denominato presidente di un "governo ombra" anzichè leader del "consiglio di stato provvisorio israeliano") di una qualsiasi mediazione per un cessate il fuoco. Un'altra tregua proposta dall'ONU in giugno sarebbe invece stata accettata da Israele ma solo per rafforzare l'esercito. La sua conclusione: "Da allora sarà guerra infinita" suggerisce che la responsabilità delle altre quattro guerre, sempre scatenate dagli stati arabi con il dichiarato obiettivo di distruggere lo stato israeliano, sia invece conseguenza del continuo armarsi di Israele e del suo pervicace rifiuto di qualsiasi tentativo di pace Dunque, l'impressione che il suo intervento tende a suggerire è che Israele sia stato fin dall'inizio un paese che non pensa che ad armarsi e ad aggredire popolazioni inermi, che da parte loro si limitano a legittime e civili proteste, un paese che provoca le guerre e rifiuta ogni tentativo di mediazione o proposte di pace, che invece da parte araba verrebbero prontamente accettate, un paese che usa le tregue solo per armarsi meglio, insomma, che è l'unico responsabile della situazione di guerra infinita del Medio Oriente (e infatti è questo il leit motiv di gran parte della stampa attuale). A me sembra che la sua ricostruzione storica rifletta un atteggiamento antisionista, che può essere considerato, come sottolineò anche Napolitano, una versione attuale dell'antisemitismo, e che possano suggerire la semplicistica conclusione che tutto dipende, se non proprio dal carattere intrinsecamente aggessivo e guerrafondaio dei suoi abitanti, da questa colpa originale che è l'esistenza stessa dello stato di Israele. Il che potrebbe anche essere ammissibile, a patto però che non fosse esistito l'antisemitismo europeo, non tanto quello vecchio di duemila anni, ma quello nella sua versione moderna di fine ottocento iniziato con l'affare Dreyfus e culminato con le camere a gas dei nazisti con la attiva collaborazione anche dei nostri fascisti italiani. Certo, di questo gli arabi non hanno colpe, (a parte quella di essersi alleati con Hitler, di aver poi espulso 600.000 ebrei dai loro territori, quella di discriminare con provvedimenti vari i profughi palestinesi e di usarli per cinici obiettivi di politica interna ed estera, anzichè integrarli come fece Israele con i profughi esplusi dai loro stati, e a parte anche la diffusa fanatica adesione a un Corano che intima di uccidere fino all'ultimo ebreo su questa terra, ecc.). Però noi di colpe ne abbiamo parecchie e secondo me potrebbero suggerirci una posizione più equilibrata nei nostri giudizi.
Distinti saluti,
Paola Lupo
L'intervento del direttore dell'Espresso riconferma che antisionismo e antisemitismo si equivalgono. Nessuna arrampicata sugli specchi - o la scusa del poco tempo a disposizione - può giustificare le sue affermazioni. Comme hanno ben messo in evidenza le due lettere che pubblichiamo.
IC redazione