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Ugo Volli
Cartoline
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Un sondaggio che dice qualcosa 26/05/2014
Un sondaggio che dice qualcosa
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
ci credete voi ai sondaggi? Io non tanto, incoraggiato in questa sfiducia anche da molti risultati elettorali. I metodi statistici permettono certamente di costruire campioni significativi, ma spesso questi sono troppo costosi o complicati da realizzare. La stessa cosa si può domandare in molti modi diversi e le risposte sono sempre fortemente dipendenti dalle domande. La gente tende a rispondere come crede opportuno fare, cioè conformandosi a quel che crede la maggioranza pensi o  ritiene l'intervistatore desideri; spesso non ha risposte per la questione che gli viene posta, ma si vergogna a dire “non so”, o semplicemente questa possibilità non gli viene offerta. In parte a questi limiti un sondaggista onesto può porre rimedio con astuzie e trucchi suggeriti dal mestiere o con un  certo “naso” per arrangiare i risultati come sembra a lui giusto o opportuno. Il risultato è che spesso i sondaggi corrispondono almeno un po' alle aspettative di chi li commissiona.  E però, se non si prendono i numeri alla lettera e soprattutto se si confrontano sondaggi successivi con lo stesso questionario, qualcosa si può capire. Non solo, questo è spesso l'unico metodo per capire atteggiamenti e pensieri collettivi che non sono espressi altrimenti. Perciò spesso, quando sono significativi, cerco di raccontarveli, soprattutto se non corrispondono ai luoghi comuni propalati dalla stampa benpensante.

Salim Joubran Israel Supreme Court justice
Salim Joubran, arabo-israeliano, giudice della Corte Suprema

L'ultimo, che mi sembra molto importante, riguarda gli arabi israeliani. Sono un po' meno del 20% della popolazione, ricoprono posizioni di rilievo nella società israeliana e ne condividono molto: non solo il sistema politico, giuridico e sociale di tipo occidentale che li favorisce immensamente non solo rispetto ai loro fratelli siriani o iracheni o libici sconvolti dalla crudeltà delle guerre civili, ma anche rispetto a quelli come gli egiziani, i sauditi o i giordani che soffrono di dittature, chiusure religiose e terrorismo, ma sono al riparo dalla guerra aperta. Gli arabi israeliani sono la prova vivente della possibilità di una normalizzazione fra i due popoli. Hanno partecipato poco alle sollevazioni palestiniste degli scorsi decenni, hanno fornito poca manodopera al terrorismo, votano sì in prevalenza per partiti etnici estremisti, ma poi frequentano liberamente università, luoghi di lavoro, mercati, spiagge, impianti sportivi, condividendo spazi e opportunità con i loro concittadini della maggioranza e naturalmente autogovernano democraticamente le loro città e sono liberi di seguire la loro religione e di sviluppare la loro cultura. E' facile pensare che, se non fosse stato per l'organizzazione sistematica del terrorismo da parte di Fatah, Hamas e dei loro compari, tutti gli arabi di Giudea e Samaria avrebbero potuto godere di uno sviluppo analogo.


       
E' importante dunque capire come la pensano, se al di là della rappresentanza politica, che è per lo più affetta da estremismo propagandistico, vi siano delle tendenze significative del loro orientamento collettivo. I segnali di evoluzione non mancano, come la crescita molto rapida della coscrizione nell'esercito degli arabi cristiani e nel servizio civile naturale delle donne druse, gli uni e le altre non obbligati a farlo. Ma cosa pensino esattamente è difficile da dire. Per questo il sondaggio che riporto è interessante. E' stato compiuto dall'Università di Haifa, che è piuttosto di sinistra e molto frequentata da studenti e professori arabi, con l'Israel Democracy Institute (http://www.thetower.org/0352-poll-more-israeli-arabs-dump-palestinian-identity-accept-jewish-state/).

Alcuni dati sono questi: il 53 per cento riconosce il diritto di Israele a esistere come Stato del popolo ebraico. Erano il 47% nel 2012. Sessantaquattro per cento pensa che Israele sia un buon posto per vivere, in paragone al 59% del 2012. Il 52 per cento è favorevole a un nuovo ciclo di “intifada” se la situazione degli arabi non migliora. Sono molti, ma nel 2012 erano il 59. Il 71 per cento teme che lo status dei loro diritti politici e civili peggiorare; ma erano il 79% due anni fa.  Insomma, non è affatto vero che, come ha scritto un giornalista del Jerusalem Post, questi atteggiamenti siano rimasti immutati (http://www.jpost.com/National-News/Israeli-Arab-attitudes-toward-the-state-remained-stable-in-2013-study-shows-352773). Con lentezza, ma in maniera coerente, la percezione degli arabi israeliani del loro rapporto con lo stato migliora, e sarebbe difficile poter dire altrettanto di qualunque minoranza etnica o religiosa in tutto il Medio Oriente. Il che del resto è coerente col loro rifiuto di far parte di uno Stato palestinese in Giudea e Samaria, ripetutamente espresso. Se non vi saranno altre ondate terroristiche organizzate, questa situazione non potrà che migliorare ancora. La pace vera, non quella dei politici internazionali, non può che nascere da questo tipo di “normalizzazione”-


Ugo Volli

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