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La Stampa Rassegna Stampa
26.05.2014 La crisi economica egiziana sarà la vera sfida per Al Sisi
Reportage di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 26 maggio 2014
Pagina: 17
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Nasce l'Egitto di Al Sisi ed è subito incubo austerity»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/05/2014, a pag. 17, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Nasce l'Egitto di Al Sisi ed è subito incubo austerity"


Francesca Paci Abdel Fattah Al Sisi


Dietro l’ombra di Al Sisi, il prossimo scontato presidente egiziano che da mesi spacca il Paese, c’è quella della bancarotta economica da cui verrebbe definitivamente travolto qualsiasi dibattito sull’eredità della rivoluzione del 2011. Nelle strade del Cairo pattugliate per il voto di oggi e domani si respira ancora l’entusiasmo per l’artefice della polverizzazione dei Fratelli Musulmani. I manifesti di Al Sisi sono ovunque, diversamente da quelli del suo unico sfidante Sabbahi. Ma rispetto a qualche mese fa, quando i liberal speravano che la Costituzione riportasse la transizione in una cornice più democratica, l’umore si è incupito. Secondo un sondaggio Pew la popolarità di Al Sisi è al 54%, una percentuale non bulgara che tiene dentro molti elettori poco convinti ma terrorizzati dall’instabilità.
«La vera sfida è l’economia, la scusa della lotta al terrorismo durerà poco, Al Sisi deve aggiustare un Paese con un debito totale pari al 150% del Pil che è stato declassato sei volte in tre anni dalle agenzie di rating: se fallisce la gente dilagherà nelle piazze» osserva l’analista Ahmed Neguib. Mentre gli osservatori politici ragionano della durata del processo democratico, quelli economici come Wael Ziada pesano il presente: «Dobbiamo rivitalizzare il mercato per attrarre investitori stranieri e l’unica strada passa per misure impopolari come il taglio dei sussidi». Ci provò invano l’ex presidente Morsi.
Tanto Sabbahi quanto Al Sisi si sono tenuti alla larga dall’argomento. Il primo ha promesso giustizia sociale e l’aumento del salario minimo, il secondo si è dilungato sulla «Mappa del Futuro» basata sulla costruzione di 48 nuove città e un «corridoio dello sviluppo» sulla sponda occidentale del Nilo. Ma è al vincitore che toccherà la prova del fuoco e lui, pur dribblando le domande economiche degli intervistatori, lo sa.
«Al Sisi non ne ha parlato in campagna elettorale perché non può permettersi di perdere consensi ma ha un piano preciso e doloroso a cominciare dal passaggio dall’energia sussidiata al libero mercato» rivela il broker Hani Tawfik, uno dei 30 esperti convocati due mesi fa dal futuro presidente. Dal suo ufficio nel quartiere bene di Heliopolis si vedono il nuovo ponte e il cavalcavia realizzati in pochi mesi dai cantieri dell’esercito. La ricetta di Tawfik è lacrime e sangue: «Un Paese come l’Egitto dovrebbe incassare tasse pari al 30% del Pil, significa 92 miliardi di euro contro i 20 miliardi di euro che invece incassa. Gli egiziani devono pagare le tasse. Quanto ai sussidi, 40 miliardi di euro l’anno, la soluzione è azzerarli, distribuire per un anno 36 euro al mese a testa a tutti gli over 22 e poi cambiare sistema dando denaro liquido solo a chi ne ha bisogno e non ha chi come me guida una Mercedes».
Tempi duri all’orizzonte. «Venderemo cara la pelle» giura il 23enne Khaled Hani che guadagna 80 euro al mese facendo il commesso part time. Oltre a rappresentare il 70% della popolazione, gli under 30 sono «i ragazzi di Tahrir» quelli che si sono ribellati a Mubarak e poi a Morsi. Ma il Paese, dice Tawfik, è stanco: «Ne abbiamo abbastanza, la democrazia è un lusso da benestanti e laureati». A Luxor, dove la perdita di 5 milioni di turisti in 3 anni ha pesato più che altrove, la guida Francis Amin Mohareb racconta una fede mistica in Al Sisi: «Voteranno tutti per lui». Che Al Sisi sia pronto o meno, le aspettative sono enormi. Troppo, sibila l’imprenditore Ali Tawfik, titolare della Autoplast, una delle 100 fabbriche della cittadella industriale di Al Ashar min Ramadan dove lavorano 100 mila persone. Fuori dallo stabilimento bambini a cavalcioni di somarelli raccolgono ferro da riciclare. «Senza una riconciliazione nazionale qualsiasi piano economico fallirà» dice. Lui non voterà: «Ci parlano di libero mercato ma è un inganno, nessun imprenditore può vincere un appalto contro l’esercito che non paga i terreni e usa la manodopera gratis dei soldati»

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