Che dirà Francesco?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: "Gerusalemme dà il benvenuto a Sua Santità Papa Francesco nella sua visita in Israele"
Cari amici,
fra un paio di giorni il Papa andrà in Giordania, nei territori amministrati dall'Autorità Palestinese e in Israele. Si tratta in primo luogo di un viaggio religioso, di un pellegrinaggio e io, come ebreo, su questo aspetto del viaggio non ho naturalmente nulla da dire al Papa. Ma oltre a essere un pellegrino cristiano che visita la terra dove si è svolta l'esistenza di Gesù, Francesco è il capo della Chiesa Cattolica, molto popolare e ascoltato anche al di là della Chiesa, che fa visita allo Stato, finalmente ricostruito del popolo ebraico e a territori che gli sono ostili. E su questo avrei qualcosa da dire. Non ho l'impudenza di dar consigli, ma credo di poter esprimere due o tre cose che mi piacerebbe ascoltare.
Espulsione degli Ebrei dal Portogallo
In primo luogo, mi piacerebbe sentire Francesco ammettere che al di là della retorica recente dei fratelli maggiori, e delle scuse benvenute del suo predecessore Giovanni Paolo, la Chiesa dovrebbe farsi un esame di coscienza sulla sua storia, sui rapporti bimillenari che ha avuto col mio popolo. Dovrebbe dire, secondo me, che questi rapporti sono stati ingiusti e perversi, che la Chiesa ha avuto per secoli e secoli l'obiettivo di cacciare, umiliare, distruggere culturalmente, qualche volta sterminare un intero popolo per ottanta generazioni, col pretesto ridicolo del deicidio, e che questo obiettivo è stato sostenuto dai teologi con lo scopo miserabile di fare risaltare per contrasto la “gloria” della Chiesa trionfante, deducendone argomenti a favore della validità del Cristianesimo – come se una religione si potesse valutare dalle sventure che infligge ai propri “concorrenti”. Questo atteggiamento, che comincia dai Padri della Chiesa e si prolunga almeno fino al Concilio Vaticano II è stato sistematico, anche se ha avuto diverse gradazioni pratiche e poche eccezioni. Si è esteso poi ben al di là della Chiesa, contagiando musulmani, cristiani riformati, laici anche anticlericali, fino a fornire un sottofondo di consenso popolare alla Shoah. Esso è stato moralmente indegno, ha compromesso l'integrità etica della Chiesa e dell'intera civiltà occidentale. Per concluderlo davvero è necessaria una profonda riflessione e un pentimento radicale, non solo delle “scuse”.
Dichiarazione d'Indipendenza d'Israele
In secondo luogo mi piacerebbe che il Papa riconoscesse che di questo atteggiamento fa parte l'opposizione che da sempre e in particolare nell'ultimo secolo e mezzo la Chiesa ha portato all'idea di uno Stato del popolo ebraico sulle terre della Bibbia, un rifiuto che si prolunga ancora oggi in molte posizioni di singoli e istanze ecclesiastiche. Francesco dovrebbe dire oggi che il popolo di Israele ha diritto al suo stato, che questo diritto deriva dalla continuità di un legame fra Israele e la sua terra che anche i cristiani riconoscono e valutano positivamente. Israele non è un abuso, né un corpo estraneo, né una malattia del Medio Oriente (parole che sono state usate non solo dagli islamisti ma anche da certi ambienti cristiani): è tutto al contrario il frutto di un diritto, un dono divino, la rinascita di una nazione che dimostra il potere della speranza e della fede. Mi piacerebbe inoltre sentirlo riconoscere che in tutto l'immenso territorio islamico che va dall'Atlantico al Pakistan e oltre, Israele è il solo posto in cui il culto cristiano (come tutti gli altri culti) è libero, tutelato dalla legge, in cui i cristiani possono tranquillamente esporre i loro simboli religiosi e compiere pubblicamente le loro cerimonie senza che nessuno attenti alla loro sicurezza, il solo stato in cui il loro numero sia in crescita. E questo non per gentilezza o privilegio, ma per la profonda natura democratica dello Stato ebraico. Per essere chiari, vi sono stati di recente alcuni episodi minori di piccolo vandalismo, scritte odiose su alcune chiese, mai attacchi a persone; ma lo stato e l'opinione pubblica di Israele hanno condannato e isolato i loro autori e quando la polizia li individua essi sono processati e condannati.
Il Muftì dell'Autorità Palestinese Muhammad Hussein
Infine mi piacerebbe che Francesco facesse questi discorsi anche agli arabi che incontrerà, che dicesse al clero locale che lo schieramento politico a favore di una parte non è l'atteggiamento giusto per i religiosi, che facesse sapere in pubblico e in privato ai dirigenti e ai sudditi dell'Autorità Palestinese che la Chiesa è testimone con le sue scritture della storia ebraica della terra di Israele, di Gerusalemme e del suo Tempio e che ogni attacco alla verità di questa storia è anche un attacco alla verità del Vangelo. Dovrebbe dirlo con molta chiarezza a tutti, dato che incontrerà molti malintenzionati, fra l'altro anche quel Muftì dell'Autorità Palestinese Muhammad Hussein che ha spesso predicato in favore del genocidio degli ebrei, della loro uccisione fino all'ultimo uomo (se non ci credete, leggete qui: https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/14619fbb4e0854de). Dovrebbe condannare nella maniera più ferma il vero e proprio nazismo islamico che si esprime in queste forme. Ne avrà il coraggio? Dovrebbe anche dire, come autorità spirituale esterna, che la pace si fa innanzitutto accettando l'altro, non pretendendo di portare indietro le lancette dell'orologio della storia di un secolo. Dovrebbe insomma spiegare a Abbas, ai dirigenti e al popolo palestinese che, anche riconoscendo le loro perdite e le loro sofferenze, la condizione per uscirne non è quella di rivendicarne la compensazione per via della distruzione dello Stato di Israele o della sua conquista dall'interno, ma un sincero riconoscimento dell'altro e del suo diritto e un accordo sulla fine della vertenza, che accettasse una divisione della terra fra popolo arabo e popolo ebraico come situazione di diritto. E' questo che ha portato la pace in Europa dopo le due guerre mondiali, non la continuazione infinita di rivendicazioni contrapposte.
Paolo VI a Gerusalemme Giovanni Paolo II e Bashar Assad
Dirà queste parole di verità Papa Francesco? Darà alla sua visita il senso di ristabilire l'equilibrio di una posizione che è stata in passato fortemente squilibrata in senso antisraeliano e filoarabo (si pensi alla visita di Paolo VI, che non nominò mai la parola Israele, o al silenzio di Giovanni Paolo II di fronte ai deliri antisemiti pronunciati da Assad nella grande moschea di Damasco, che fra l'altro era stata in precedenza una chiesa cristiana, si pensi ai documenti del sinodo dei vescovi del Medioriente di tre anni fa, a quel Monsignor Capucci che era arrivato al punto di contrabbandare armi per i terroristi sulla sua automobile con targa diplomatica, si pensi all'adesione di prelati cattolici al documento teologicamente antisemita Kairos Palestina)? Cambierà qualcosa? Francamente ne dubito e temo anzi che il Papa si allinei alla retorica antisraeliana corrente in questi tempi. Sarebbe una grande occasione perduta. Non tanto per Israele e per gli ebrei, che salvo alcuni moderni Candide sanno di doversela cavare da sé e sopravvivere nonostante il malanimo della maggioranza, come hanno dovuto fare negli ultimi duemila anni; ma per la Chiesa che rispetto all'atteggiamento verso gli ebrei e Israele ha un grande debito con la storia e con se stessa.
Ugo Volli