Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Nigeria: la minaccia di Boko Haram è globale Cronaca di Stefano Montefiori, intervista di Alessandra Muglia a Wole Soynka
Testata: Corriere della Sera Data: 18 maggio 2014 Pagina: 11 Autore: Stefano Montefiori - Alessandra Muglia Titolo: «Hollande lancia la sfida a Boko Haram - Questa è una crisi globale. Va combattuto chi impone il potere tramite la religione»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/05/2014, a pag. 11, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo "Hollande lancia la sfida a Boko Haram" e l'intervista di Alessandria Muglia a Wole Soynka, dal titolo "Questa è una crisi globale. Va combattuto chi impone il potere tramite la religione".
Abubakar Shekau, capo di Boko Haram
Ecco l'articolo:
Stefano MontefioriFrançois Hollande
PARIGI — Il presidente francese François Hollande invoca un «piano globale» contro il gruppo di terroristi islamisti Boko Haram, e gli Stati africani coinvolti promettono una «guerra totale». Il summit organizzato ieri all’Eliseo rischiava di apparire una stanca cerimonia diplomatica, perché a oltre un mese dal rapimento delle oltre 270 studentesse da un liceo di Chibok, nel Nordest della Nigeria, siamo ancora agli appelli e alle promesse, fatti da coloro che avrebbero dovuto agire da tempo. Ma le esitazioni non sono certo colpa di Hollande, già impegnato nei due conflitti africani di Mali e Repubblica Centrafricana. Anzi, va riconosciuto alla Francia di avere saputo, ieri, richiamare i Paesi della regione alle loro responsabilità. Benin, Ciad, Niger, e soprattutto Camerun e Nigeria, hanno gravemente sottovalutato la minaccia di Boko Haram in passato. Gli ultimi due Stati hanno finora evitato ogni tipo di collaborazione, perché le loro relazioni sono difficili a causa di vecchi conflitti territoriali. Hollande è stato capace di riunirli attorno allo stesso tavolo, e questo è già un primo importante risultato. Il presidente francese ha sorvolato sulle inefficienze africane, ma a criticare il presidente nigeriano Goodluck Jonathan nei giorni scorsi sono stati gli Stati Uniti: «Nonostante le nostre offerte di assistenza e quelle degli altri partner internazionali — ha detto giovedì Robert Menendez, capo della commissione Esteri del Senato — la risposta del governo della Nigeria è stata di una lentezza tragica e inaccettabile». Il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha preso i primi provvedimenti ben due settimane dopo il rapimento, e ancora giovedì ha cancellato una visita a Chibok, luogo dell’azione dei terroristi. È la sua azione complessiva a sembrare inadeguata: i soldati della Nigeria, malpagati e privi di risorse, si sono volentieri affidati finora alle milizie private di autodifesa sorte nelle località cristiane. La lotta al terrorismo è stata delegata in molti casi ai civili, e il risultato è che interi villaggi vengono rasi al suolo dagli islamisti guidati da Abubakar Shekau. La Francia tradizionalmente non ha legami molto stretti con l’anglofona Nigeria, ma ieri ha usato con efficacia il suo peso politico, accresciuto nella regione dopo le missioni militari a Bamako e Bangui. Hollande ha sottolineato i legami di Boko Haram con Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico), la formazione terroristica che Parigi combatte in particolare in Mali, e il presidente del Camerun, Paul Biya, ha parlato a nome anche degli altri Stati africani dichiarando «siamo qui per dichiarare guerra a Boko Haram». Il piano adottato all’Eliseo prevede finalmente il coordinamento delle intelligence dei cinque Paesi africani, lo scambio di informazioni, il comando centrale delle risorse, la sorveglianza delle frontiere, una presenza militare intorno al lago Ciad e una forza di pronto intervento in caso di pericolo. Tra un mese è prevista una nuova riunione in Gran Bretagna, per verificare l’applicazione delle misure decise ieri.
Ecco l'intervista.
Alessandra MugliaWole Soynka
«La mobilitazione per le ragazze ostaggio dei Boko Haram deve continuare per contrastare l’arroganza e il senso di impunità che anima chi cerca il potere attraverso la religione». Wole Soyinka è stato un ispiratore della campagna per la liberazione delle oltre 200 giovani. Nel suo discorso inaugurale per le celebrazioni della città nigeriana di Port Harbour quale capitale mondiale del libro, lo scrittore nigeriano premio Nobel per la letteratura bacchettava il presidente Jonathan per la sua inerzia e invitava il pubblico all’azione, in un Paese dove l’attivismo civile è raro. Era il 23 aprile, una settimana dopo il rapimento e sette giorni prima della marcia del «milione di donne» di Abuja. Soyinka pronunciò lì quella che è poi diventata la parola d’ordine di una mobilitazione planetaria. «Spronai Jonathan a “riportare indietro le ragazze”. “Bring back the girls”, scandii parafrasando una sua iniziativa del 2012, “Bring Back the Book”, tesa a diffondere la lettura tra i giovani, a cui io partecipai. Dopo il mio intervento una leader dell’attuale campagna prese la parola per dire che stavano pensando alla stessa frase come slogan. Senza saperlo ci stavamo muovendo nella stessa direzione» racconta al Corriere l’autore di «Sul far del giorno». Sotto la pressione dello sdegno internazionale il governo nigeriano si è finalmente deciso ad affrontare i Boko Haram, ha accettato l’aiuto straniero e il vertice di Parigi. «Per la comunità internazionale intervenire in questa violenza orribile non è un favore, è un dovere — dice —. Si tratta di una crisi globale. L’incontro di Parigi sancisce che un’azione congiunta contro Boko Haram è un imperativo assoluto. Questo meeting avrebbe dovuto svolgersi e diventare un appuntamento fisso già dall’invasione degli estremisti in Mali». Pare che le forze governative abbiano saputo in anticipo del blitz nella scuola di Chibok ma non siano intervenute per evitarlo. «Bisogna indagare sull’autenticità di questo fatto. Serve un’inchiesta ampia per far luce anche su tutti gli altri avvertimenti ignorati nel passato. Perché è stato permesso a Boko Haram di arrivare fino a questo punto? L’uso della religione nella lotta per il potere è cominciato anni fa. Ora la nazione sta attraversando una fase di auto-esame: non ha fallito soltanto il governo ma tutto il Paese». In che senso? «Il Paese ha iniziato a dividersi quando la regione di Zamfara ha adottato la sharia (nel 2000, ndr). Poi altre regioni hanno seguito l’esempio. Non avremmo dovuto permetterlo. Avremmo dovuto reagire. Bisognava scegliere: o si restava una nazione secolare o si diventava una nazione teocratica. Tutto questo è avvenuto senza che l’Occidente quasi se ne accorgesse. Fino a quando non ci sono stati casi di donne condannate alla lapidazione (nel 2002 Amina e Safiya, ndr): allora è montato lo sdegno internazionale». Avrebbero dovuto esserci già allora mobilitazioni come quella attuale? «Certo. Quando il governatore di una regione dichiara che dettami della sua religione sono superiori alle leggi dello stato la gente deve reagire, altrimenti vince la cultura dell’impunità. La mancanza di reazioni ha portato il governatore di Zamfara a prelevare una tredicenne dalla sua scuola in Egitto e a sposarla in Nigeria sfidando sia le leggi egiziane che quelle nigeriane». Lei ha definito la lotta contro il terrorismo islamico una «battaglia delle mente». «I miliziani di Boko Haram sono vittime di un indottrinamento. Il loro fanatismo è il risultato di un lavaggio del cervello. Ora urge anche mettere in campo un’azione di prevenzione a più livelli per evitare che il gruppo si rafforzi: occorre preservare i giovani più a rischio per non farli finire nella loro rete. La campagna “Bring Back the Book” era nata per incoraggiare i ragazzi nigeriani a leggere. Ma evidentemente non è stato abbastanza».
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